Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3102 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3102 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 11/10/1962;
avverso l’ordinanza emessa il 19/09/2024 dalla Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione della dr.ssa NOME COGNOME Presidente del Collegio del Tribunale di Roma, presentata da NOME COGNOME condannandolo al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro.
Nel presente procedimento COGNOME è imputato del delitto di corruzione in atti
giudiziari, in quanto, secondo l’ipotesi di accusa, avrebbe corrotto NOME COGNOME componente della Commissione Tributaria del Lazio (e, dunque, pubblico ufficiale), corrispondendogli utilità mediante NOME COGNOME, al fine di favorirlo nella controversia proposta da i kagiste RAGIONE_SOCIALE di COGNOME contro l’Agenzia delle Entrate relativamente all’esistenza di un credito IVA della predetta società e decisa con sentenza emessa in data 24 aprile 2015; le utilità sarebbero consistite nell’organizzazione di alcun i tserate in compagnia di alcune donne, nella consegna di un regalo consegnatogli da NOME COGNOME in data 24 aprile 2015 e nel pagamento, anche a mezzo di intermediari, di cene e consumazioni in locali notturni.
Secondo l’imputato, la dr.ssa COGNOME quale Presidente di altro collegio del Tribunale di Roma, avrebbe conosciuto di prove rimaste ignote alla difesa nell’ambito del diverso giudizio dibattimentale n. 15515/19 R.G.N.R. per corruzione in atti giudiziari celebratosi nei confronti del coimputato di COGNOME il magistrato tributario COGNOME e conclusosi con sentenza di condanna emessa in data 14 settembre 2020.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione avverso tale ordinanza, chiedendone l’annullamento.
L’avvocato COGNOME con il primo motivo di ricorso, censura la mancanza di motivazione in relazione alla dichiarazione di ricusazione depositata in data 24 luglio 2024 e presentata a mezzo pec nell’interesse di NOME COGNOME in data 24 luglio 2024; la Corte di appello, infatti, avrebbe motivato esclusivamente sulla dichiarazione di ricusazione sottoscritta da NOME COGNOME e depositata in cancelleria dall’avvocato NOME COGNOME in data 5 luglio 2024.
Con il secondo motivo il difensore deduce che, mentre nella sentenza n. 6388/2020 R.G.N.R., che ha definito il procedimento penale n. 15515/19 R.G.N.R. / è stato accertato che il dott. COGNOME aveva una significativa disponibilità di danaro contante, asseritamente costituita dal prezzo del delitto di corruzione commesso, nel presente procedimento il presupposto dell’ipotesi di accusa sarebbe costituito proprio dalla mancata disponibilità di contanti, nel medesimo ambito temporale, da parte di COGNOME.
L’assunto del Tribunale di Roma nel precedente dibattimento sarebbe, dunque, incompatibile con l’accoglimento dell’ipotesi di accusa nel presente processo, quanto alla prova del sinallagma corruttivo.
Il Presidente del Tribunale, peraltro, avrebbe manifestato un sistematico ostracismo nel rigettare le richieste probatorie della difesa, tale da fondare la
richiesta di ricusazione.
La Corte di appello, inoltre, pur avendo dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione, avrebbe svolto un vaglio di merito sulla stessa e, dunque, avrebbe illegittimamente pregiudicato il diritto riconosciuto alla parte dall’art. 41, comma 3, cod. proc. pen. di esporre le proprie ragioni nell’udienza in camera di consiglio.
L’avvocato NOME COGNOME con unico motivo di ricorso, ha dedotto, congiuntamente, l’erronea applicazione dell’art. 41 cod. proc. pen. e l’inosservanza dell’art. 127 cod. proc. pen.
Il provvedimento impugnato, infatti, sarebbe illegittimo, in quanto è stato adottato senza fissare previamente l’udienza in camera di consiglio ed è stato motivato ricorrendo alla categoria dell’inammissibilità, senza tuttavia indicare alcun vizio di natura formale che fondi la stessa.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, la Corte di appello, investita di una richiesta di ricusazione, deve decidere nel merito, ricorrendo alle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen., e può decidere in camera di consiglio senza la presenza delle parti solo se l’istanza di ricusazione è inammissibile.
La Corte di appello, pur dichiarando l’istanza inammissibile, avrebbe motivato nel merito e, dunque, avrebbe violato il diritto della parte al contraddittorio, sancito dall’art. 41, comma 3, cod. proc. pen.
Il procedimento conclusosi in primo grado nei confronti di NOME COGNOME inoltre, sarebbe probatoriamente collegato al presente, in quanto corrotto sarebbe il medesimo soggetto, le condotte oggetto di entrambi i processi si collocano nel 2015, sarebbero stati commesg nell’esercizio della giurisdizione tributaria e si fondano sulla disponibilità di significative disponibilità di denaro contante da parte di COGNOME; tale ultima circostanza di fatto, peraltro, sarebbe stata ricostruita in chiave diametralmente opposta nei due processi.
La Corte di appello, inoltre, non avrebbe motivato il mancato riconoscimento a COGNOME dell’accesso, ai sensi dell’art. 493 o dell’art. 507 cod. proc. pen., alle fonti di prova costituite dagli atti di questo nuovo processo, una volta scoperte dalla difesa.
Erroneo sarebbe, inoltre, l’argomento della Corte di appello secondo il quale la dichiarazione di ricusazione avrebbe dovuto investire l’intero collegio, essendo pur sempre consentita anche la ricusazione di un solo membro dello stesso.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 14 novembre 2024, il Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto di rigettare i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti, sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
L’avvocato COGNOME con il primo motivo, ha censurato la mancanza di motivazione in relazione alla dichiarazione di ricusazione depositata in data 24 luglio 2024 e presentata a mezzo pec nell’interesse dell’imputato istante NOME COGNOME in data 24 luglio 2024.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello di Roma ha, infatti, espressamente dato atto nell’ordinanza impugnata della dichiarazione di ricusazione depositata in data 24 luglio 2024; le deduzioni difensive espresse nella stessa sono, inoltre, pressoché identiche a quelle della precedente dichiarazione in data 5 luglio 2024, e, dunque sono state congiuntamente valutate nell’ordinanza impugnata.
L’avvocato COGNOME con il secondo motivo di ricorso, e l’avvocato COGNOME nel proprio ricorso hanno censurato che la Corte di appello, pur avendo dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione, avrebbe svolto un vaglio di merito sulla stessa senza previa fissazione dell’udienza camerale.
Il motivo è manifestamente infondato.
5.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’inammissibilità della richiesta di ricusazione per manifesta infondatezza deve essere dichiarata con procedura camerale de plano, senza sentire le parti interessate in camera di consiglio, previa fissazione di udienza ed avviso, in quanto l’articolo 41, comma primo, cod. proc. pen., prescrive che il collegio provveda «senza ritardo» e non richiama, al contrario del successivo comma terzo, relativo alla decisione di merito della ricusazione, le forme dell’art. 127 cod. proc. pen. (ex plurimis: Sez. 4, n. 42024 del 06/07/2017, COGNOME, Rv. 270770 – 01; Sez. 1, n. 6621 del 28/01/2010, COGNOME, Rv. 246575; Sez. 3, n. 19964 del 29/03/2007, COGNOME, Rv. 236733).
Non sussiste, inoltre, alcuna incompatibilità logica tra la dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di ricusazione, avanzata dall’imputato nei confronti di componenti del collegio in base a motivi manifestamente infondati fe la circostanza che il provvedimento dichiarativo, ancorché adottato de plano, illustri le ragioni
della ritenuta manifesta infondatezza con motivazione complessa (Sez. 3, n. 18043 del 26/03/2019, COGNOME, Rv. 275952 – 01; Sez. 2, n. 27611 del 19/06/2007, COGNOME, Rv. 2 239214).
5.2. La Corte di appello, con motivazione logica e coerente, ha dichiarato la manifesta infondatezza della istanza di ricusazione, posto che ictu ()cui/ non ricorre alcuna delle cause di ricusazione tassativamente indicate dall’art. 37 cod. proc. pen.
Le dichiarazioni di ricusazione presentate dall’imputato e dai suoi difensori sono, infatti, prive di adeguata “base legale”, in quanto non ricorre alcuna delle ipotesi tipiche tassativamente previste dall’art. 37 cod. proc. pen.
I processi penali pendenti nei confronti del magistrato tributario NOME COGNOME per corruzione in atti giudiziari presentano, infatti, al massimo, una connessione investigativa o probatoria.
La Corte di appello, con motivazione puntuale e logica, ha rilevato che il Tribunale ha già rimarcato «l’assoluta mancanza di connessione oggettiva tra i due procedimenti di cui si tratta, essendo le vicende processuali del tutto diverse e indipendenti l’una dalle altre».
La Corte di appello ha, dunque, congruamente escluso che nel caso di specie possa farsi riferimento alle statuizioni della sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzione, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto.
La sentenza di condanna pronunciata nei confronti del COGNOME NOME nel giudizio dibattimentale n. 15515/19 R.G.N.R. non concerne, infatti, il fatto per il quale si procede a carico del COGNOME Stefano nel presente procedimento.
Le norme che prevedono le cause di ricusazione sono, del resto, norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale e alla capacità del giudice sia perché consentono un’ingerenza delle parti nella materia dell’ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice; ne consegue che la mera connessione probatoria tra due procedimenti, che non comporti una valutazione di merito svolta da uno stesso giudice sul medesimo fatto e nei confronti di identico soggetto, non determina la sussistenza di una ipotesi di ricusazione (Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017, dep. 2018, Rv. 272845 – 01).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, dunque, non – V – p- i – à ritenere “pregiudicante” l’attività dei giudici ricusati che abbiano partecipato al collegio che ha valutato, in altro e diverso procedimento a carico
dello stesso imputato, le stesse fonti di prova in relazione ad un diverso reato o comunque a diversi fatti (ex plurimis: Sez. 6, n. 14 del 18/09/2013, dep. 2024, COGNOME, Rv. 258449 – 01).
Non dà luogo a ricusazione, ai sensi dell’art. 37 cod. proc. pen. come risultante a seguito della parziale dichiarazione di illegittimità di cui alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, la circostanza che il magistrato abbia già preso parte a un giudizio a carico dell’imputato per fatti diversi, sebbene caratterizzati dalla pretesa identità delle fonti probatorie valutate e da valutare, atteso che una stessa fonte, considerata rilevante ed attendibile in un processo, potrebbe non esserlo in un altro (Sez. 6, n. 37635 del 11/09/2024, COGNOME, Rv. 287030 – 01, fattispecie in cui il giudice, che aveva fatto parte del collegio pronunciatosi sulla partecipazione dell’imputato ad un’associazione di tipo mafioso, era stato chiamato nuovamente a giudicarlo, sulla base di fonti di prova assenta mente identiche, per la partecipazione allo stesso sodalizio, ma in relazione ad un periodo di tempo successivo a quello di cui al precedente giudizio).
5.3. La Corte di appello ha, inoltre, correttamente ritenuto inapplicabile l’art. 37, comma 1), lett. b), cod. proc. pen., in quanto la pronuncia di una sentenza non costituisce manifestazione indebita di convincimento fuori dall’esercizio delle funzioni giurisdizionali.
Il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice richiede, infatti, che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale (ex plurimis: Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, Rv. 232067; conf. Sez. 2, n. 26974 del 24/07/2020, Cittadini, Rv. 279649 – 01; Sez. 5, n. 3033 del 30/11/2017, dep. 2018, Romeo Gestioni S.p.a., Rv. 272274; Sez. 6, n. 43965 del 30/09/2015, COGNOME e altro, Rv. 264985; Sez. 3, n. 17868 del 17/03/2009, COGNOME e altro, Rv. 243713).
Le ordinanza di rigetto delle richieste di integrazione istruttoria proposte dalla difesa di COGNOME non esprimono alcun indebito convincimento e sono, peraltro, impugnabili ricorrendo agli ordinari mezzi di gravame.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2024.