Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44504 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 44504 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Rizziconi il 28/10/1945
avverso l’ordinanza del 13/11/2023 emessa dalla Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Firenze, con l’ordinanza impugnata, ha rigettato la dichiarazione di ricusazione proposta da NOME COGNOME nei confronti dei magistrati del Tribunale di Firenze, che, dopo aver restituito gli atti al Pubblico Ministero del Tribunale di Livorno in data 2 maggio 2022, hanno disposto il sequestro di prevenzione nei confronti della parte istante, con decreto emesso in data 11 maggio 2023, e sono chiamati a decidere sull’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME, ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l’annullamento, proponendo un unico motivo di ricorso.
2.1. Il difensore premette che:
a) il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Livorno, nel procedimento di prevenzione iscritto al n. 3/2023 R.G.M.P., con la proposta depositata in data 24 gennaio 2022, integrata con atto del 30 marzo 2022, ha richiesto nei confronti di NOME COGNOME l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale per tre anni con obbligo di soggiorno e della confisca, previa adozione del provvedimento cautelare del sequestro, di un consistente patrimonio, composto da circa cento unità immobiliari, intestate al proposto, alla moglie e ai figli, e da disponibilità finanziar detenute, per l’ammontare di euro 5.353.840,00, in Liechtenstein;
b) il Tribunale di Firenze, composto dai magistrati dott.ssa NOME COGNOME presidente, dott.ssa NOME COGNOME e dott. NOME COGNOME giudici a latere, con decreto emesso in data 2 maggio 2022, ha disposto, ai sensi dell’art. 21, comma 2, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, la restituzione degli atti al Pubblico Ministero «per la richiesta degli ulteriori elementi informativi indicati in parte motiva»;
il Tribunale, in questo provvedimento, ha rilevato l’incompletezza delle indagini e ha inviato il Pubblico Ministero a fornire elementi probatori ulteriori.
c) il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Livorno in data 11 novembre 2023 ha depositato un «seguito di proposta di applicazione di misura patrimoniale», iscritto al n. 4/2022 R.G.M.P., nel quale, dopo aver integrato gli elementi probatori addotti relativamente alla valutazione di sproporzione e aver individuato due ulteriori conti correnti all’estero intestati al figlio del proposto, ribadito le richieste già operate in precedenza;
d) il Tribunale di Firenze, nella medesima composizione, con decreto emesso in data 11 maggio 2023, ha disposto il sequestro di prevenzione di tutti i beni mobili e immobili intestati a NOME COGNOME alla moglie e ai figli;
e) il proposto, con memoria depositata in data 5 ottobre 2023, ha invitato il Collegio, composto dai predetti magistrati, ad astenersi dal decidere sulla confisca di prevenzione;
L’istante ha posto a fondamento della propria richiesta sia l’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nel testo che risulta a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale del 14 luglio 2000, n. 283, in quanto il Collegio ha precedentemente espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto nel procedimento di prevenzione n. 4/2022 R.G.M.P., e, sia l’art. 37 comma 1, lett. a), cod. proc. pen., in relazione all’art. 36, comma 1, lett g), cod. proc. pen., in quanto il Collegio sarebbe incompatibile a decidere per aver
compiuto atti del procedimento tali da pregiudicarne la terzietà e l’imparzialità, e, segnatamente, per aver adottato il provvedimento di restituzione degli atti all’organo proponente in data 2 maggio 2022;
Ad avviso del proposto, infatti, il provvedimento di restituzione degli atti adottato dal Tribunale in data in data 2 maggio 2022, esprimendo ampie e analitiche valutazioni di merito, avrebbe assunto efficacia pregiudicante nei confronti degli stessi giudici chiamati a decidere sulla pressoché identica proposta successivamente formulata da parte del Procuratore della Repubblica di Livorno.
f) il proposto ha rinnovato la richiesta di astensione all’udienza dell’Il ottobre 2023;
g) il Tribunale di Firenze, con ordinanza emessa in data 11 ottobre 2023, ha rigettato la richiesta di astensione;
il Tribunale, in questo provvedimento, ha rilevato che le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 25951 del 24/02/2002, hanno statuito che il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen. – come risultante a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 283 del 2000 – è applicabile al procedimento di prevenzione nel caso in cui il giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale, ma hanno precisato che la decisione sul sequestro non determina alcuna incompatibilità a decidere della confisca;
h) NOME COGNOME in data 11 ottobre 2023 ha depositato, ai sensi dell’art. 38, comma 3, cod. proc. pen., presso la cancelleria della Corte di appello di Firenze, dichiarazione di ricusazione del Collegio composto dai giudici dott.ssa NOME COGNOME presidente, dott.ssa NOME COGNOME e dott. NOME COGNOME giudici a latere, per le medesime ragioni giuridiche esposte nella richiesta di astensione;
i) il proposto, con memoria depositata in pari data, ha inoltre eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 24 d. Igs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non è prevista nel processo di prevenzione l’incompatibilità del giudice che abbia disposto, ai sensi dell’art. 20, comma 2, d.lgs. cit. la restituzione degli atti all’organo proponente, a decidere, successivamente all’integrazione probatoria, sul sequestro o, comunque, sulla confisca.
Ad avviso del ricorrente, la mancata previsione di tali incompatibilità contrasta con gli artt. 24, 111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantiscono il diritto di difesa in ogni stato e grado del processo e che lo stesso deve necessariamente svolgersi davanti a un giudice terzo e imparziale;
j) la Corte di appello di Firenze, con il provvedimento impugnato, ha rigettato la richiesta di ricusazione.
2.2. Il difensore, deducendo un unico motivo di ricorso, censura la mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine all’incompatibilità dei giudici ricusati a decidere sul sequestro di prevenzione dopo aver adottato, nel provvedimento di restituzione degli atti, valutazioni di merito in relazione alla medesima persona e ai medesimi elementi (la pericolosità generica negli stessi periodi temporali e la sproporzione reddituale e patrimoniale).
Il difensore rileva che la Corte di appello ha rigettato come «totalmente infondata» la censura proposta e ha stigmatizzato come «quantomeno singolare» l’argomento del difensore «laddove si afferma che sarebbe motivo di ricusazione il provvedimento che il giudice adotta sulla base di una espressa previsione normativa».
Il difensore, tuttavia, eccepisce di non aver contestato l’illegittimità del provvedimento di restituzione atti, adottato dal Tribunale in conformità all’art. 20, comma 2, d. lgs. n. 159 del 2011, quanto il fatto che lo stesso Collegio, nella medesima composizione, dopo aver disposto la restituzione degli atti, possa decidere sulla nuova proposta di misura di prevenzione personale e patrimoniale nei confronti della stessa persona.
Il Tribunale di Firenze, infatti, nel provvedimento di restituzione atti, avrebbe espresso penetranti valutazioni sul merito della proposta e avrebbe fornito specifiche indicazioni all’organo proponente sugli ulteriori atti di indagine da compiere, nonché sull’ulteriore documentazione da acquisire perché potesse essere disposto il sequestro.
Queste valutazioni, essendo ampiamente anticipatorie degli apprezzamenti di merito che avrebbero dovuto essere espressi nella decisione sulla proposta della confisca di prevenzione, determinerebbero l’incompatibilità dei predetti magistrati a decidere in ordine al provvedimento ablatorio, richiesto nei confronti della medesima persona e sulla base delle medesime circostanze di fatto, e ne legittimerebbero la ricusazione.
Il difensore chiede, dunque, che la Corte di cassazione dichiari la fondatezza della dichiarazione di ricusazione formulata, riconoscendo l’incompatibilità a decidere sulla proposta di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale dei giudici che in precedenza abbiano disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, in virtù dell’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., nel testo che risulta dalla sentenza additiva n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, per come interpretato dalla sentenza delle Sezioni unite n. 25951 del 24/02/2022.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 25 giugno 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di rigettare il ricorso.
Con memoria depositata in data 25 luglio 2024, l’avvocato NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il difensore, deducendo un unico motivo di ricorso, censura la motivazione dell’ordinanza impugnata e chiede che la Corte di cassazione accolga la dichiarazione di ricusazione dei giudici che hanno disposto il sequestro e che sono chiamati a decidere della confisca di prevenzione dopo aver espresso, nel provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero, valutazioni di merito riferite alla medesima persona e alle medesime circostanze di fatto.
Dall’esame diretto degli atti processuali (ammesso in sede di legittimità quando è censurata una violazione della legge processuale, ex plurimis: Sez. U, n. n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 229092), risulta che il Tribunale di Firenze, investito della proposta di applicazione di misure di prevenzione nei confronti di NOME COGNOME ha disposto, con decreto emesso in data 2 maggio 2022, la restituzione degli atti all’organo proponente, rilevando l’incompletezza delle indagini.
Il Tribunale di Firenze, nella medesima composizione, con decreto emesso in data 3 aprile 2024, ha disposto, in via cautelare, il sequestro di prevenzione nei confronti del ricorrente e ha contestualmente fissato l’udienza dell’Il ottobre 2023, in camera di consiglio, per decidere sulla richiesta di applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali.
L’art. 20, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 sancisce che «rima di ordinare il sequestro o disporre le misure di cui agli articoli 34 e 34bis e di fissare l’udienza, il tribunale restituisce gli atti all’organo proponent quando ritiene che le indagini non siano complete e indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l’applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34bis».
La disposizione, introdotta nella trama sistematica del codice antimafia dall’art. 5, comma 4, della I. 17 ottobre 2017, n. 161, attribuisce il potere al tribunale, prima che sia fissata l’udienza in contraddittorio, di disporre la restituzione degli atti all’organo proponente quando la proposta di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali sia incompleta sotto il profilo probatorio.
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Nell’intento del legislatore, dunque, qualora il mancato accoglimento della proposta di applicazione delle misure di prevenzione dipenda da lacune istruttorie, il tribunale non deve rigettare la richiesta di sequestro e fissare l’udienza in contraddittorio, ma, per evitare che il proposto, reso edotto dell’iniziativa cautelare, possa porre in essere atti di dispersione o di occultamento dei propri beni, deve restituire gli atti all’organo proponente per consentirgli di integrare la piattaforma probatoria.
L’esercizio del potere di restituzione degli atti lascia, peraltro, immutato il potere del tribunale, riconosciuto dall’art. 19, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011, di procedere ufficiosamente, una volta aperta la fase in contraddittorio e ove ritenuto necessario, a indagini ulteriori rispetto a quelle già compiute dall’organo proponente.
Nella disciplina vigente il proposto o, comunque, il soggetto inciso dall’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale non può ricusare il giudice che, dopo aver disposto la restituzione degli atti all’autorità proponente ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, abbia adottato in via cautelare il sequestro e sia chiamato a decidere della confisca.
Il legislatore non ha, infatti, previsto una disciplina delle cause di ricusazione applicabili nel processo di prevenzione.
4.1. La giurisprudenza di legittimità, nel silenzio della legge, ha ritenuto applicabili al procedimento di prevenzione le disposizioni in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice dettate dagli artt. 34, comma 1, 35, 36, comma 1, lett. a), b), c), d), f), h) cod. proc. pen. (ex plurimis: Sez. 1. n. 43081 del 27/05/2016, Arena, Rv. 268666 – 01), ovvero tutte le ipotesi previste da tali disposizioni in cui il giudice si trovi in una delle condizioni di «appannamento» dell’apparenza di imparzialità, dovute a cause extragiudiziarie o, comunque, esterne al procedimento.
4.2. Controversa è stata, invece, la possibilità di ricusare il giudice chiamato ad applicare le misure di prevenzione per effetto delle valutazioni in precedenza espresse nei confronti del medesimo soggetto in sede di cognizione penale o in un altro procedimento di prevenzione.
L’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., prevede, infatti, la possibilità per le parti di ricusare il giudice, oltre che per le situazioni esterne al procedimento previste dall’art. 36, comma 1, lett. a), b), c), d), f), cod. proc. pen., anche quando i giudice si trovi in una delle situazioni di incompatibilità stabilite dall’art. 34 codice di rito.
Un orientamento della giurisprudenza di legittimità ha negato tale possibilità nel procedimento di prevenzione, in quanto l’attività pregiudicata dalla precedente
valutazione di merito deve attenere alla responsabilità penale dell’imputato; il giudizio retrospettivo operato dal giudice della prevenzione non è, infatti, volto a ricostruire uno specifico fatto di reato, ma ad accertare le condotte della persona in funzione della formulazione di una prognosi di pericolosità attuale e/o di illecita accumulazione patrimoniale (Sez. 2, n. 37060 del 11/01/2019, COGNOME, Rv. 277038 – 01; Sez. 6, n. 51793 del 13/09/2018, COGNOME, Rv. 274576 – 01; Sez. 5, n. 23629 del 19/02/2018, Torcasio, Rv. 273281 – 01; Sez. 1, n. 43081 del 27/05/2016, Arena, Rv. 268665 – 01; Sez. 1, n. 15834 del 19/03/2009, COGNOME, Rv. 243747 – 01), e il procedimento di prevenzione non è definito da una sentenza, ma da un decreto (Sez. 2, n. 2821 del 02/12/2008, De Rito, Rv. 24272001; Sez. 6, n. 22960 del 30/01/2008, COGNOME, Rv. 240363-01).
Un opposto orientamento ha, invece, ritenuto applicabile al processo di prevenzione la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice, stante la natura giurisdizionale di questo processo, la valenza sostanziale di sentenza del decreto che dispone la misura di prevenzione, la sua incidenza su diritti fondamentali, quali la libertà personale (di cui all’art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (di all’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU) e il diritto di proprietà e di iniziativa economica ( cui agli artt. 41 e 42 Cost. e 1 Prot. add. CEDU), e la conseguente necessità di garantire, anche in tale ambito, l’imparzialità del giudice (Sez. 1, n. 4330 del 10/12/2020, Lampada, Rv. 280753-01; Sez. 6, n. 41975 del 02/04/2019, Inzitari, Rv. 277373-01; Sez. 5, n. 32077 del 24/06/2014, Valente, Rv. 261643 – 01; Sez. 6, n. 15979 del 08/03/2016, Lampada, Rv. 266533 – 01; Sez. 1, n. 32494 del 10/07/2015, Lampada, Rv. 264621 – 01; Sez. 5, n. 3278 del 16/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242942 – 01).
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno risolto il contrasto di giurisprudenza, richiamando la sentenza n. 238 del 2000 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto.
In questa sentenza la Corte costituzionale, ha, peraltro, rilevato che, nella precedente pronuncia n. 306 del 1997, pur avendo dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità proposta, ha già avuto occasione di affermare che il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudice può verificarsi anche nei rapporti tra il procedimento penale e quello di prevenzione, quando la valutazione pregiudicante sia stata espressa nel primo in sede di accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, quale condizione di applicabilità delle misure cautelari.
Le Sezioni unite hanno, dunque, rilevato che la Corte costituzionale ha stabilito che le valutazioni espresse in un precedente giudizio penale possono pregiudicare il giudice della prevenzione, pur nella diversità delle finalità e dell’oggetto del processo penale di cognizione dal procedimento di prevenzione.
La sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2000, pertanto, non ha una valenza meramente «unidirezionale», ma «bidirezionale»; la pronuncia non si limita a sancire l’efficacia “pregiudicante” che le valutazioni espresse nel processo di prevenzione possono assumere sulla successiva decisione di merito, ma considera anche l’efficacia pregiudicante che le valutazioni espresse nel giudizio di merito o di altro processo di prevenzione possono assumere sul giudice della prevenzione.
Non vi è, peraltro, ragione per la quale l’imparzialità del giudice debba atteggiarsi diversamente nel processo di prevenzione dal processo penale, in quanto l’imparzialità è tra i natura/la di qualsiasi forma di processo; fallace è, inoltre, la differenziazione tra i procedimenti basata sulla ritenuta diversità di struttura della valutazione giudiziale, di tipo prognostico nel giudizio di prevenzione e di natura cognitiva in quello penale, in quanto la terzietà del giudice deve presiedere a qualsiasi procedimento, in quanto precondizione della giurisdizione.
Le Sezioni unite hanno, inoltre, precisato che «se il differente oggetto dell’accertamento può in astratto giustificare l’autonomia dei procedimenti (come già riconosciuto da Corte Cost. n. 275 del 1996), sul piano dell’attività di indagine e di raccolta del materiale investigativo, perde, invece, consistenza argomentativa rispetto alla tutela dei diritti fondamentali delle diverse situazioni soggettive»; difetto di imparzialità del giudice, infatti, «comporterebbe inevitabilmente lo svuotamento sostanziale del significato proprio di tutte le regole e le garanzie processuali, che si risolverebbero in un mero e facoltativo simulacro».
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno, dunque, statuito che il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37, comma 1, cod. proc. pen. – come risultante a seguito dell’intervento additivo effettuato dalla Corte costituzionale con sent. n. 283 del 2000 – è applicabile anche al procedimento di prevenzione nel caso in cui il giudice abbia, in precedenza, espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale (Sez. U, n. 25951 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 283350 – 01).
4.3. Il motivo di ricorso devoluto alla cognizione del Collegio, tuttavia, non può essere deciso ricorrendo alle statuizioni della sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale o al principio di diritto enunciato delle Sezioni unite nella sentenza Lapelosa.
Queste pronunce, infatti, riguardano fattispecie nelle quali la valutazione pregiudicante è stata adottata in procedimento distinto da quello pregiudicato o, comunque, pregiudicabile.
Nel caso oggetto del presente ricorso, invece, la valutazione pregiudicante, che consegue alla restituzione degli atti all’organo proponente, è intervenuta nel medesimo procedimento di prevenzione, senza alcuna interferenza con precedenti giudizi penali o con altri procedimenti di prevenzione.
4.4. Nel caso di specie, del resto, anche se la proposta di applicazione delle misure di prevenzione depositata dal Pubblico Ministero dopo la restituzione degli atti reca un numero di ruolo diverso da quello originario, il procedimento deve ritenersi pur sempre il medesimo, in quanto permangono identici, rispetto alla richiesta originaria, il proposto, la causa petendi e il petitum (salvo che per la mera aggiunta di due conti correnti intestati al figlio del proposto).
La proposta depositata dopo il provvedimento è, peraltro, stata significativamente denominata dal Pubblico Ministero «seguito di proposta di applicazione di misura patrimoniale».
Il dato meramente formale dell’iscrizione di un nuovo procedimento, a fronte della riproposizione, sulla base di una piattaforma probatoria integrata, di una proposta pressocché identica a quella originaria nei propri elementi costitutivi non può radicare la diversità del procedimento di prevenzione, in quanto, altrimenti, la garanzia dell’imparzialità del giudice riceverebbe una diversa tutela a fronte delle determinazioni, meramente amministrative, della cancelleria del tribunale.
L’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., dunque, non consente che le valutazioni espresse dal giudice in una fase diversa del medesimo procedimento di prevenzione, come nel provvedimento di restituzione degli atti adottato ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, possano fondare la sua incompatibilità a decidere della confisca e che il proposto o i terzi incisi dalla misura di prevenzione patrimoniale in tal caso possano ricusare i giudici.
La disciplina delle misure di prevenzione non contempla, infatti, cause di incompatibilità interne al primo grado di giudizio.
Il Collegio dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale mancata previsione e solleva d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 1, lett. a), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sul sequestro e sulla confisca di prevenzione, abbia disposto nel medesimo procedimento, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, la restituzione degli atti all’autorità proponente, per contrasto con gli artt. 24, 111, 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 CEDU e 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La questione di costituzionalità proposta è rilevante, in quanto la disposizione censurata deve essere applicata per decidere del motivo di ricorso proposto.
6.1. Il ricorrente censura, infatti, l’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. pen operata della Corte di appello di Firenze, volta a escludere in radice l’ammissibilità della ricusazione del giudice della prevenzione che abbia in precedenza adottato un provvedimento di restituzione degli atti all’organo proponente, ma, per le ragioni esposte, solo l’accoglimento della questione di costituzionalità proposta consentirebbe di dichiarare la fondatezza del ricorso.
6.2. Il dubbio di legittimità costituzionale sollevato da questa Corte non può, peraltro, essere risolto ricorrendo ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 37 cod. proc. pen.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, i motivi di ricusazione del giudice sono da ritenersi tassativi e non estensibili in via analogica (Sez. 3, n. 42193 del 01/10/2003, Urbani, Rv. 226693 – 01; Sez. 2, n. 31946 del 9/04/2002, NOME, Rv. 222271); parimenti le disposizioni relative ai casi di incompatibilità che possono dare luogo a legittime dichiarazioni di ricusazione hanno carattere eccezionale e tassativo (ex plurimis: Sez. 6, n. 22960 del 30/01/2008, Di NOME, Rv. 240363 – 01).
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, peraltro, sono state investite del quesito relativo all’applicabilità dell’intera disciplina delle cause di incompatibili del giudice delineata dal codice di procedura penale e, dunque, anche dell’ammissibilità della ricusazione del giudice della prevenzione nel caso in cui la pronuncia pregiudicante sia intervenuta nello stesso procedimento, ai sensi dell’art. 34 cod. proc. pen., richiamato dall’art. 36, comma 1, lett. g), cod. proc. pen.
Le Sezioni unite, tuttavia, nella sentenza Lapelosa, hanno ritenuto la questione di diritto non pertinente alla soluzione del quesito sottoposto alla loro cognizione e, al par. 2.2 del Considerato in diritto, hanno rilevato che l’ampliamento del catalogo tassativo delle cause di incompatibilità del giudice della prevenzione potrebbe essere operato solo ricorrendo alla proposizione di un incidente di costituzionalità, ritenuto non rilevante in quel caso.
6.3. Non ricorrono, del resto, gli estremi per applicare la causa di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., relativa alla manifestazione d indebito convincimento da parte del giudice, nell’esercizio delle proprie funzioni.
Il Tribunale di Firenze, infatti, nel disporre la restituzione degli atti al Pubblic Ministero ha legittimamente rilevato le carenze probatorie della proposta di
applicazione delle misure di prevenzione, senza esorbitare dall’ambito delle valutazioni consentite dall’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011.
Il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice richiede, del resto, che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessità funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale (ex plurimis: Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, Rv. 232067; conf. Sez. 2, n. 26974 del 24/07/2020, Cittadini, Rv. 279649 – 01; Sez. 5, n. 3033 del 30/11/2017, dep. 2018, Romeo Gestioni S.p.a., Rv. 272274; Sez. 6, n. 43965 del 30/09/2015, COGNOME e altro, Rv. 264985; Sez. 3, n. 17868 del 17/03/2009, COGNOME e altro, Rv. 243713).
Ritiene, inoltre, il Collegio che la questione di costituzionalità proposta sia non manifestamente infondata.
7.1. Il pregiudizio per l’imparzialità-neutralità del giudice può essere determinato anche dalle valutazioni espresse nel provvedimento di restituzione degli atti all’organo proponente ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011.
Questo provvedimento può, infatti, esprimere una valutazione positiva sul merito della proposta (e, segnatamente, non solo sulla pericolosità del proposto, ma anche sulla sproporzione patrimoniale), che non conduce all’accoglimento del sequestro solo per minimali carenze istruttorie, segnalate dal tribunale all’organo proponente.
L’apprezzamento di merito svolto dal tribunale nel restituire gli atti può, dunque, essere così incisivo da risolversi, sotto il profilo sostanziale, in una sorta di provvedimento di accoglimento condizionato all’integrazione delle lacune probatorie o, comunque, in una anticipazione del futuro accoglimento, una volta emendate le carenze riscontrate.
Se, dunque, il tribunale chiamato a giudicare della proposta dell’applicazione della misura di prevenzione è composto da alcuni o da tutti i giudici che hanno adottato il provvedimento di restituzione degli atti, l’indipendenza del giudice è obiettivamente vulnerata, in quanto è condizionata dalla «forza della prevenzione» ossia dalla «tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda» (C. cost., sent. n. 172 del 2023; C. cost., sent. n. 64 del 2022, C. cost., sent. n. 306 del 1997).
L’identità del soggetto e dei presupposti di fatto sui quali il tribunale è chiamato a pronunciarsi (e, dunque, dell’oggetto del procedimento di prevenzione)
rende concreto il pregiudizio per l’imparzialità del giudice che il provvedimento di restituzione degli atti all’organo proponente in tal caso determina.
7.2. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 24 del 2019, ha affermato l’esistenza di un vero e proprio «statuto di garanzia costituzionale e convenzionale delle misure di prevenzione, personale e patrimoniali».
Pur non avendo tali misure carattere sanzionatorio o repressivo, esse incidono pesantemente sui diritti di libertà di movimento, di proprietà e di iniziativa economica, tutelati a livello costituzionale e, dunque, «dovranno soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la stessa Conv. EDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione, tra cui: «c) la necessità che la sua applicazione sia disposta in esito a un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni “giusto” processo garantito dalla legge (artt. 111, primo, secondo e sesto comma, Cost., e 6 CEDU, nel suo “volet civil”), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di col nei cui confronti la misura sia richiesta».
La garanzia dell’imparzialità e della neutralità del giudice, del resto, costituisce uno dei più rilevanti aspetti del principio del giusto processo (ex plurimis: C. cost., sent. n. 283 del 2000).
La Corte costituzionale ha, infatti, affermato che «il principio del giudice terzo e imparziale, che in passato la giurisprudenza di questa Corte aveva ricavato da altri parametri (artt. 3, 25, 101 e 108 Cost.), ha assunto autonoma rilevanza con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), sì da costituire connotato essenziale e necessario dell’esercizio di ogni giurisdizione. Si è quindi precisato che «l processo in tanto può dirsi “giusto” in quanto sia garantita l’imparzialità del giudice»; e si è sottolineato che l’imparzialità «non è che un aspetto di quel carattere di “terzietà” che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio» (C. cos sent. n. 179 del 2024).
Il diritto fondamentale all’imparzialità del giudice trova, del resto, ulterior ed esplicito riconoscimento sia nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che sancisce il «diritto a un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale»), che nell’art. 6, paragrafo 1, CEDU (che stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente e imparziale») e nell’art. 14, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (secondo c
«Ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge»).
7.3. La mancata previsione di un causa di ricusazione del giudice che abbia disposto la restituzione degli atti, in ragione degli apprezzamenti di merito espressi in questo provvedimento, lede, dunque, il diritto fondamentale del proposto ad un giudice imparziale e, al contempo, vulnera il suo diritto di difesa, in quanto non gli consente di attivare i rimedi oppositivi volti a garantire la terzietà del giudice.
La Corte di appello di Firenze ha escluso la fondatezza della dichiarazione di ricusazione proposta dal ricorrente, in quanto nessuna incompatibilità potrebbe sussistere rispetto alla decisione di primo grado per effetto dell’adozione di un provvedimento cautelare, quale quello di sequestro, trattandosi di una decisione comunque attribuita all’unico giudice funzionalmente designato per il grado.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, non si configura alcuna incompatibilità, ai sensi dell’art. 34 cod. proc. pen., a partecipare al giudizio per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca a carico del giudice che abbia precedentemente adottato il provvedimento di sequestro, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dal momento che tale provvedimento ha carattere interinale e provvisorio, o destinato ad essere sostituito da una pronuncia decisoria finale e non può dirsi riferibile ad una fase antecedente ed autonoma del procedimento (così Sez. 6, n. n. 49254 del 14/10/2016, Bianco, Rv. 268169 – 01).
E’ stata, inoltre, ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio di prevenzione patrimoniale del giudice che abbia in precedenza adottato un provvedimento di sequestro, avendo quest’ultimo carattere interinale e provvisorio, inserito in procedimento destinato a concludersi in una pronuncia decisoria finale (Sez. 5, Sent. n. 38458 del 18/07/2012, COGNOME, Rv. 253570 01; Sez. 1, n. 15684 del 07/02/2002, COGNOME, Rv. 221844 – 01) e tale orientamento è stato confermato anche dalle Sezioni unite Lapelosa al § 8.2.1 del Considerato in diritto.
8.1. Ritiene, tuttavia, il Collegio che questi principi di diritto non sian pertinenti alla soluzione della questione di diritto posta dal ricorrente.
La Corte costituzionale, a più riprese, ha escluso l’incompatibilità a decidere il merito del giudice che abbia provveduto in via cautelare nella stessa fase, in quanto «ll’interno di ciascuna delle fasi – intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva – va, in ogni caso, preservata
l’esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere» (Corte cost., sent. n. 93 del 2024, e i precedenti ivi citati, con riferimento alla incompatibilità a decidere sull’opposizione all’archiviazione per particolare tenuità del fatto, del giudice persona fisica che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna, ritenendo sussistere la suddetta causa di esclusione della punibilità e disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero).
La giurisprudenza della Corte costituzionale, tuttavia, distingue, quanto all’insorgenza di situazioni di incompatibilità rilevanti ai sensi dell’art. 34 cod. pro pen., i provvedimenti cautelari adottati dal giudice nel processo di merito, che hanno valenza meramente endofasica, dai provvedimenti del giudice di restituzione degli atti al pubblico ministero.
Questi ultimi, infatti, assumono efficacia pregiudicante, in quanto la trasmissione degli atti al pubblico ministero determina la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari. Tanto è accaduto, ad esempio, con riferimento al caso della incompatibilità del giudice per le indagini preliminari che, dopo aver rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, sia chiamato a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso (C. cost., sent. n. 16 del 2022). Al caso della incompatibilità alla trattazione dell’udienza preliminare del giudice che abbia ordinato, all’esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, la trasmissione degli atti al pubblico ministero, a norma dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen. (Corte cost., sent. n. 400 del 2008). Nonché al caso della incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all’esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell’art. 521 comma 2, cod. proc. pen. (Corte cost., sent. n. 455 del 1994).
Il pubblico ministero, per effetto del provvedimento del giudice di restituzione degli atti, è, dunque, reintegrato nelle proprie attribuzioni originarie e può scegliere anche di archiviare il procedimento e di non reiterare l’esercizio dell’azione penale.
Proprio da tale rilievo è sorta, appunto, l’esigenza costituzionale che la nuova udienza preliminare (sentenza n. 400 del 2008), il nuovo dibattimento (sentenza n. 455 del 1994) o la nuova richiesta di decreto penale (sentenza n. 16 del 2022), per lo stesso fatto storico e nei confronti del medesimo imputato, siano attribuiti
alla cognizione di un giudice diverso da quello che ha disposto la restituzione degli atti e, dunque, pienamente indipendente e non reso sospetto dalla forza della prevenzione.
8.2. Muovendo da tali principi, deve rilevarsi che la restituzione degli atti disposta ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, nel contesto del medesimo procedimento di prevenzione, definisce la fase di deliberazione del tribunale e determina la riespansione della fase delle indagini.
Per effetto del provvedimento di restituzione degli atti, dunque, l’organo proponente è restituito nell’integralità delle proprie attribuzioni e può anche decidere di archiviare (e, dunque, di non proseguire) il procedimento di prevenzione.
Il deposito della nuova proposta di applicazione della misura di prevenzione apre, infatti, una nuova fase del medesimo giudizio di primo grado, che sebbene omologa alla precedente, è distinta e proprio in questa fase la valutazione “contenutistica” espressa nel provvedimento di rigetto della prima proposta esplica la propria efficacia pregiudicante.
La restituzione degli atti all’organo proponente ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 presenta, dunque, analogie solo apparenti con il potere accordato dall’art. 421-bis, comma 1, cod. proc. pen. al giudice dell’udienza preliminare, quando le indagini siano incomplete, di indicarne ulteriori al pubblico ministero, in quanto, in tal caso il processo penale “rimane” pur sempre pendente nella fase dell’udienza preliminare; questa disposizione sancisce, infatti, che il giudice, nell’ordinanza per l’integrazione delle indagini, fissa il termine per il lo compimento e la data della nuova udienza preliminare per il proseguimento di un giudizio temporaneamente sospeso.
La restituzione degli atti disposta nel procedimento di prevenzione produce, invece, effetti analoghi a quelli delle “indagini coatte”, disposte, ai sensi dell’ar 409, comma 4, cod. proc. pen., dal giudice per le indagini preliminari investito della richiesta di archiviazione.
Per effetto di tale ordine, infatti, il giudice per le indagini preliminari non pu trattenere gli atti presso il proprio ufficio (Sez. 3, n. 2212 del 06/05/1991, COGNOME, Rv. 187089 – 01), ma deve restituirli al pubblico ministero, il quale all’esito dei nuovi accertamenti compiuti potrà decidere se esercitare l’azione penale (Sez. 5, n. 1694 del 14/04/1999, COGNOME, Rv. 213207 – 01) o richiedere nuovamente l’archiviazione (Sez. 5, n. 611 del 05/02/1999, COGNOME, Rv. 214601 – 01; Sez. 6, n. 2100 del 08/06/1998, Oulai, Rv. 211957 – 01).
8.3. Muovendo da tali premesse deve, dunque, rilevarsi che la restituzione degli atti disposta dal tribunale, chiamato ad applicare il sequestro e la confisca di prevenzione, assume efficacia pregiudicante ai sensi dell’art. 34 cod. proc. pen.
(richiamato, per il tramite dell’art. 36, comma 1, lett. g), cod. proc. pen., dall’art 37, comma 1, lett. a), in quanto:
le valutazioni espresse nel provvedimento di restituzione degli atti hanno ad oggetto la medesima res iudicanda oggetto della successiva proposta;
il giudice che restituisce gli atti non solo conosce, ma valuta anche gli elementi probatori e, dunque, decide nel merito della misura di prevenzione, sostanzialmente esprimendosi sulla fondatezza della proposta;
il provvedimento di restituzione degli atti, determinando la regressione del procedimento di prevenzione alla fase iniziale, reintegra l’organo proponente nelle proprie attribuzioni.
Alla stregua dei rilievi che precedono, la Corte, ai sensi dell’art. 23, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara, d’ufficio, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lett. a), in relazione all’art. 36, comma 1, lett. g), cod. proc. pen., che richiama l’art. 34 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sull’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, abbia disposto nel medesimo procedimento, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, la restituzione degli atti all’autorità proponente, per contrasto con gli artt. 24, 111, 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 CEDU e 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In conformità all’art. 23, comma 4, della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere disposta l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso.
La Cancelleria provvederà, inoltre, a notificare la presente ordinanza al ricorrente, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e alla sua comunicazione ai Presidenti delle due camere del Parlamento.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 24, 111 e 117 della Costituzione.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al Presidente del
Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due camere del Parlamento.
Così deciso il 10/09/2024.