Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27585 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27585 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 18/07/1975
avverso l’ordinanza del 18/11/2024 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione, proposta in data 15/11/2024, nell’interesse di COGNOME NOME, nei confronti del giudice dott. NOME COGNOME COGNOME per inosservanza della forma di cui all’art.38 cod. proc. pen., in quanto trasmessa a mezzo posta elettronica certificata.
Avverso la suindicata ordinanza l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a tre motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizi di motivazione, in relazione agli “artt. 37 e 38 cod. proc. pen. in combinato
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disposto con gli artt. 47 e 48 CDFUE e con gli artt. 24, 25, 27 e 29 Cost, unitamente agli artt. 21 e 41 CDFUE, in osservanza delle citate sentenze del Consiglio di Stato in ordine all’agere amministrativo e alla recente ordinanza delle SS.UU. sul diniego di giustizia e/o di giurisdizione, nonché violazione del diritto di difesa”. Si deduce che la Corte di appello ha dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione, presentata dal ricorrente nei confronti del giudice dott. COGNOME “laddove lo stesso ha commesso illeciti, attribuendosi una potestà non disposta in capo allo stesso dalla legge, violando anche l’art. 606, comma 1, lett. A) cod. proc. pen., inammissibile in uno Stato di diritto come giustamente ha rilevato la Corte di appello di Roma inviando gli atti alla DNA e DDA di Firenze!”.
Assume il ricorrente che la Corte di appello “rappresenta falsamente che sia stato il COGNOME a inviare il ricorso con modalità telematica inammissibile”, che “la manifesta inammissibilità o infondatezza dell’istanza di ricusazione decisa inaudita altera parte – violando il diritto al contraddittorio – sussiste solo allorquando vi è “difetto delle condizioni di legge” ovvero “costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata” e che, comunque, “è legittimo e ammissibile il deposito telematico della ricusazione del giudice a mezzo pec e/o PST come effettuato da parte di codesta difesa con atto a firma della parte e autenticato (non dal Cancelliere) ma da codesta difesa n.q. di difensore speciale costituito e confermato”. Si chiede dichiararsi la nullità del provvedimento impugnato.
Quanto ai motivi di ricusazione, afferma il difensore che, “sussistendo “denunce” tra i magistrati della stessa Procura e Tribunale contro l’imputato COGNOME, non si chiede solo la ricusazione ma la rimessione degli atti alla Procura competente ex art. 11 cod. proc. pen., individuata in quella di Firenze, per quanto sopra esposto”. In particolare, il Giudice dott. COGNOME avrebbe anche violato il principio della presunzione di innocenza del COGNOME, “accusato ingiustamente e condannato, applicandogli con l’uso della forza pubblica una misura cautelare e/o di prevenzione abnorme, assumendo una potestà non disposta dalla legge in capo al giudice dibattimentale, quindi privo di tale potere”, avendo il giudicante tenuto una condotta “abnorme” in quanto “istigando più e più volte il COGNOME e l’avv. COGNOME (compagna del COGNOME, sempre al fine di ricevere una qualche reazione del COGNOME), attendeva una reazione, certo che anche i suoi ordini illeciti sarebbero stati eseguiti dai militari presenti in aula su suo ordine”.
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2.2 n secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione e di travisamento del fatto, in relazione agli artt.38 e 192, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che tale eccezione non fosse stata promossa con le formalità di legge, in quanto promossa dallo stesso imputato, con l’invio personale della pec alla cancelleria della Corte d’appello. Si deduce, altresì, che il giudice dott. COGNOME sia giunto “finanche a commettere illeciti al fine di istigare il COGNOME o codesta difesa finanche a commettere violazione del segreto istruttorio!”.
2.3 II terzo motivo di ricorso eccepisce l’incompetenza funzionale del Tribunale di Termini Imerese ex art.11, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo e secondo motivo di ricorso, per le questioni proposte, possono essere trattati congiuntamente.
2.1 I motivi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
2.2 Secondo la giurisprudenza di legittimità “in tema di ricusazione, qualora la relativa causa sia sorta nel corso dell’udienza, la parte ha solo l’onere di formulare la dichiarazione di ricusazione prima del termine dell’udienza, con esplicita riserva di formalizzare tale dichiarazione nel termine di tre giorni, previsto dall’art. 38, comma secondo, cod. proc. pen., non potendo essere imposto alla parte di abbandonare l’udienza per presentare la dichiarazione di ricusazione, con i relativi documenti, nella cancelleria competente” (Sez. U., Sentenza n. 36847 del 26/06/2014, Rv. 260096 – 01),
Nel caso in esame, l’istanza di ricusazione, proposta dal ricorrente, NOME COGNOME è stata trasmessa, tramite pec del difensore, alla cancelleria della Corte di appello, entro tre giorni dalla data in cui era sorta la causa, che aveva dato origine alla stessa.
Tale modalità è stata, dalla Corte territoriale, erroneamente ritenuta in contrasto con la previsione di cui all’art. 38 cod. proc. pen. Al riguardo, si osserva che, pur avendo, il D. L. vo n. 150 del 2022, previsto, quale ordinaria modalità di deposito degli atti penali, ivi comprese le istanze di ricusazione del
giudice, l’utilizzo del portale del processo penale telematico ex art. 87, comma 6 ter, del menzionato decreto, l’obbligatorietà di tale disciplina è stata rinviata, per quanto attiene a talune tipologie di atti, tra i quali l’istanza di ricusazione, prima dai D.M. emessi in data 4 e 18 luglio 2023, poi dal D.M. del 29 dicembre 2023 e, da ultimo, dal D.M. n. 206 del 27 dicembre 2024, intitolato “Regolamento concernente modifiche al decreto 29 dicembre 2023, n. 217, in materia di processo penale telematico” (pubblicato sulla G.U. 30.12.2024, n. 304). Segnatamente, l’art. 1, comma 9, del D.M. 206/2024 ha stabilito che “Rimane consentito ai difensori il deposito mediante posta elettronica certificata, come disciplinato dall’articolo 87-bis del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, per tutti i casi in cui il deposito può avere luogo anche con modalità non telematiche”. Per tali ragioni, considerato che, con riferimento agli atti e alle istanze da depositare presso la Corte di appello, il comma 5 dell’art. 1 citato ha previsto l’obbligatorietà del deposito tramite modalità telematiche, ai sensi dell’art. 111 bis cod. proc. pen., (solo) a partire dal 1° gennaio 2027, l’invio dell’istanza di ricusazione da parte del ricorrente, mediante posta elettronica certificata, avvenuto entro tre giorni dalla scoperta del (presunto) motivo di “incompatibilità” (genericamente intesa) del giudicante a decidere della vicenda processuale, sottoposta al suo vaglio, poteva ritenersi corretto.
2.2.1 Tuttavia, nelle specie, l’istanza di ricusazione è stata presentata dalla parte personalmente, la cui firma non risulta autenticata dal difensore, che sottoscrive l’atto digitalnnente, e che non risulta neppure munito di procura speciale.
Come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi dell’art. 38 c.p.p., comma 4, “il difensore non è legittimato a proporre la dichiarazione di ricusazione se non quando egli ne abbia ricevuto mandato dalla parte. In questo caso egli può compiere, in qualità di rappresentante, l’atto di ricusazione, pur senza avere ricevuto la procura speciale di cui all’ultima parte dello stesso comma” (Sez. U, n. 18 del 05/10/1994, dep. 1995, COGNOME, Rv. 199805); in questa prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il giudice può essere ricusato soltanto dalla parte, per cui è da escludere – salvo il caso del latitante o dell’evaso che per legge sono rappresentati a tutti gli effetti dal difensore – un’autonoma, parallela legittimazione di quest’ultimo, il quale, pur potendo validamente proporre l’atto di ricusazione, deve avere indefettibilnnente ricevuto, a tal fine, apposito mandato, anche se non necessariamente nelle forme della procura speciale, ma pur sempre tale da rivelare l’espressa volontà della parte mirante alla ricusazione del giudice (Sez. 1, n. 6965 del 07/12/1999,
dep. 2000, COGNOME e altro, Rv. 215234): pertanto, esclusa la sufficienza del generico mandato defensionale, il difensore non munito di procura speciale deve
essere investito da un mandato specifico (Sez. 1, n. 24099 del 26/05/2009,
COGNOME e altro, Rv. 243969).
Non riveste queste connotazioni l’atto allegato dal difensore alla dichiarazione di ricusazione, che, nella intestazione, contiene l’espressione “in
nome e per conto”, che risulta sottoscritto dall’imputato, la cui firma non è però
autenticata dal difensore.
Non risulta, neanche, soddisfatto l’onere, in capo al difensore, di munirsi di un mandato specifico del ricusante, che non risulta neppure allegato. La firma
digitale del difensore, nello spazio in cui è apposta, riguarda soltanto la firma dell’atto e non l’autentica della firma del ricusante.
Il ricorso è comunque aspecifico e generico e non chiarisce quale sia il soggetto che propone l’istanza.
La declaratoria di inammissibilità dei primi due motivi di ricorso implica l’assorbimento del terzo motivo di ricorso.
Il ricorso va dichiarato inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29/04/2025.