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Ricorso tardivo: quando è inammissibile l’appello

La Procura Generale impugnava un’ordinanza che, in sede di esecuzione, aveva riconosciuto la continuazione tra più reati e rideterminato la pena. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché tardivo, essendo stato presentato oltre il termine perentorio di quindici giorni dalla notifica del provvedimento. La decisione sottolinea l’importanza cruciale del rispetto dei termini processuali, a prescindere dalla fondatezza delle questioni di merito.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Tardivo: la Cassazione ribadisce l’inammissibilità

Nel processo penale, il rispetto dei termini è una regola fondamentale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato questo principio, dichiarando inammissibile un appello a causa di un ricorso tardivo, senza nemmeno entrare nel merito della questione. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere come un errore procedurale possa precludere la discussione di argomenti legali altrimenti validi.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’ordinanza della Corte di appello di Roma, che agiva come giudice dell’esecuzione. La Corte aveva accolto la richiesta di un condannato, riconoscendo il vincolo della “continuazione” tra due diverse sentenze di condanna per reati legati agli stupefacenti. In pratica, i giudici avevano ritenuto che i diversi episodi criminali fossero parte di un unico disegno criminoso. Di conseguenza, avevano ricalcolato la pena complessiva, determinandola in quattro anni e otto mesi di reclusione e 7.500 euro di multa, applicando un aumento sulla pena base del reato più grave.

L’Impugnazione della Procura Generale e il problema del ricorso tardivo

Contro questa decisione, la Procura generale presso la Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione. La Procura lamentava una violazione di legge nel calcolo della pena. Sosteneva, infatti, che l’aumento applicato per la continuazione fosse troppo basso, poiché non rispettava il minimo di un terzo della pena base previsto per i soggetti dichiarati recidivi reiterati, come nel caso del condannato.

Tuttavia, prima di poter analizzare la fondatezza di questa doglianza, la Corte di Cassazione ha dovuto affrontare una questione preliminare e assorbente: la tempestività del ricorso stesso. Il successo di un’impugnazione, infatti, dipende non solo dalla validità delle argomentazioni, ma anche e soprattutto dal rispetto delle scadenze procedurali. Un ricorso tardivo è destinato a fallire ancora prima che la discussione abbia inizio.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per una ragione puramente procedurale: era stato presentato fuori tempo massimo. L’ordinanza impugnata era stata notificata via PEC alla Procura generale il 21 ottobre 2023. Il ricorso per cassazione, invece, era stato depositato solo il 17 novembre 2023.

Secondo l’articolo 585, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, il termine per proporre impugnazione nei procedimenti in camera di consiglio (come quello in esame) è di quindici giorni, decorrenti dalla notifica del provvedimento. Un semplice calcolo dimostra che il ricorso è stato presentato ben oltre questa scadenza perentoria. La tardività ha quindi costituito un vizio insanabile, che ha impedito ai giudici di esaminare nel merito le censure sollevate dalla Procura riguardo al trattamento sanzionatorio.

Le conclusioni: il valore delle regole procedurali

La decisione evidenzia un principio cardine del diritto: le regole procedurali non sono semplici formalità, ma garanzie fondamentali per il corretto svolgimento del processo. Il mancato rispetto di un termine perentorio, come quello per l’impugnazione, comporta la decadenza dal diritto di esercitare quella facoltà processuale. In questo caso, nonostante la Procura potesse avere argomenti validi sul calcolo della pena, il suo ricorso tardivo ha reso impossibile qualsiasi discussione. La sentenza serve da monito sull’importanza della diligenza e della precisione nel monitorare le scadenze processuali, il cui mancato rispetto può avere conseguenze definitive sull’esito di un giudizio.

Qual è il termine per impugnare un’ordinanza emessa in camera di consiglio?
Secondo l’art. 585, comma 1, lett. a) del codice di procedura penale, il termine stabilito per i procedimenti in camera di consiglio è di quindici giorni, che decorrono dalla notifica del provvedimento.

Cosa succede se un ricorso viene presentato oltre il termine stabilito dalla legge?
Se un ricorso viene presentato dopo la scadenza del termine perentorio, viene dichiarato inammissibile. Ciò significa che i giudici non possono esaminare il merito della questione e il provvedimento impugnato diventa definitivo.

Perché il ricorrente (in questo caso, un ente pubblico) non è stato condannato al pagamento delle spese processuali?
La Corte di Cassazione, richiamando una sua precedente sentenza a Sezioni Unite (n. 3775 del 2017), ha stabilito che, in caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente che sia una parte pubblica, come il Pubblico Ministero, non deve essere condannato al pagamento delle spese processuali o di somme in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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