Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5070 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5070 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/09/2018 del TRIB. SORVEGLIANZA di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, datata 04/09/2018, il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha dichiarato l’inammissibilità sopravvenuta dell’istanza proposta nell’interesse di NOME, diretta ad ottenere l’ammissione dello stesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale. I provvedimento reiettivo osservava come – essendo stata accertata l’ineffettività del domicilio indicato, presso cui svolgere l’affidamento ex art. 47 legge 26 luglio 1974, n. 354 – non risultasse possibile concedere il beneficio in parola, non disponendosi di un luogo preciso, al quale ancorare le prescrizioni inerenti alla misura richiesta.
Ricorre per cassazione, con atto di impugnazione inoltrato il 17/05/2023, NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, chiedendo l’annullamento del provvedimento sopra detto per violazione di legge processuale ex art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 159 e 678, comma 3.2, cod. proc. pen., essendo tale atto fondato su una errata dichiarazione di irreperibilità. Il provvedimento impugnato – in ipotesi difensiva – è errato, quanto fallace è il decreto di irreperibilità che ne rappresenta il fondamento, a causa dell’incompletezza delle ricerche condotte dalla polizia giudiziaria; la denunciata incompletezza deriva, in particolar modo, dal mancato compimento di verifiche presso l’autorità di polizia, concernenti l’eventuale rilascio al ricorrente un permesso di soggiorno, dal quale poter desumere un recapito o, quantomeno, dall’omesso compimento di tali ricerche attraverso l’autorità consolare, al fine di verificare la permanenza, nella disponibilità del condannato, di un domicilio in Marocco. All’illegittimità del decreto suddetto non può che conseguire, in maniera derivata, la nullità di tutti gli atti successivi e conseguenti; tra questi, rie l’ordinanza impugnata, che non ha ammesso il condannato alla misura alternative alla detenzione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il AVV_NOTAIO Generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per essere lo stesso tardivo, non risultando presentata alcuna istanza di restituzione in termini.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per tardività.
Noto è, in primo luogo, l’insegnamento della Corte di cassazione, che ha ripetutamente chiarito come – allorquando venga posta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, deducendosi quindi un “error i procedendo”, questo è giudice dei presupposti della decisione contestata, sulla quale esplica il proprio controllo, quale che sia il ragionamento seguito dal Giudice di merito per giustificarla e quale che sia l’apparato motivazione esibito. Deriva da ciò consegue che la Corte, in presenza di una doglianza di carattere processuale, può e deve prescindere dalla motivazione addotta dal giudice a quo e così, ove necessario anche accedendo agli atti, è tenuta a valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, pure laddove essa non appaia correttamente giustificata, ovvero giustificata solo “a posteriori (Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 275636 – 01; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 255304; Sez. 5, n. 19388 del 26/02/2018, COGNOME, Rv. 273311).
L’esame degli atti mostra come NOME COGNOME abbia indicato – nell’istanza, poi disattesa, volta a ottenere il denegato affidamento in prova – un domicilio di fatto, nel quale poter svolgere la misura richiesta. Tale domicilio corrisponde all’indirizzo di Cesarano di San Marco (TV), alla INDIRIZZO; si tratta del medesimo indirizzo indicato nell’ordine di esecuzione. Dalla lettura del decreto di irreperibilità del 15/09/2017, poi, si apprende della mancata notifica a condannato dell’ordine di esecuzione con la relativa sospensione; l’ordine di esecuzione – può leggersi sempre nel decreto di irreperibilità – è stato invece notificato al difensore nominato, che ha poi presentato l’istanza di affidamento in prova, con sottoscrizione della nomina specificamente per quell’atto da parte di COGNOME.
3.1. La fissazione dell’udienza è stata comunicata, a mezzo posta elettronica, al difensore nominato e al condannato a norma dell’art. 170 cod. proc. pen., risultando la dizione “mancata consegna per irreperibilità del condannato”.
3.2. In ragione della omessa notifica dell’ordine di esecuzione è stato emesso, in data 15/09/2017, il successivo decreto di irreperibilità. Dal relativo verbale redatto dai carabinieri, peraltro, risulta che il condannato è stato cercat presso l’ultima residenza (ossia, presso il medesimo indirizzo indicato sopra, presente in tutti gli atti). Dal medesimo verbale si apprende come siano stati preventivamente interpellati i vicini di casa; questi riferivano ch presumibilmente, il NOME aveva fatto rientro al suo Paese di origine. I condannato, infine, risultava cancellato dall’ufficio anagrafe per irreperibilità.
3.3. La relazione dell’UEPE e l’informativa dei carabinieri, atti formati all’indomani della fissazione dell’udienza e su richiesta del Tribunale di sorveglianza, ribadiscono l’impossibilità di un contatto con NOME. Addirittura,
viene dato atto di come lo stesso legale di fiducia non riesca a mettersi in contatto con il condannato; presso il domicilio di fatto indicato, inoltre, risultava al tem stanziata altra famiglia.
3.4. All’udienza fissata non è stato presente il difensore nominato, per cui si è proceduto alla nomina di un difensore d’ufficio. Il Tribunale, infine, s pronunciato in udienza, in data 4 settembre 2018, dichiarando “l’inammissibilità sopravvenuta dell’istanza stante l’accertata ineffettività del domicilio indicat presso il quale poter ancorare le prescrizioni della misura alternativa”.
Per riassumere, quindi, la tesi difensiva è nel senso che il decreto di irreperibilità sia affetto da nullità assoluta, cagionata dalla incompletezza del ricerche; a cascata, sarebbero nulli tutti gli atti compiuti successivamente. In conseguenza di tale iter processuale viziato, non sarebbe mai infruttuosamente spirato il termine utile per proporre impugnazione.
4.1. Questa Corte però – in tema di notificazioni di atti all’imputato – ha ripetutamente chiarito come l’obbligo di effettuare nuove ricerche nei luoghi indicati dall’art. 159, comma primo, cod. proc. pen. in vista della possibile emissione del decreto di irreperibilità, sia in concreto condizionato dal limit rappresentato dalla oggettiva praticabilità di tali accertamenti. La fattibilità prat di tali ricerche, infatti, costituisce il limite logico di ogni garanzia proces (Sez. 2, n. 39329 del 31/05/2016, COGNOME, Rv. 268304; Sez. 4, n. 35867 del 21/09/2021, Levac, Rv. 281977; Sez. 3, n. 17458 del 19/04/2012, Domollaku, Rv. 252626).
4.2. Nella vicenda ora in esame, il decreto di irreperibilità è stato emesso sulla base del verbale di vane ricerche effettuate nei confronti dell’imputato, cittadino straniero, presso l’ultima residenza anagrafica nota e comunicata. Nel corso di tale accertamento:
nessuno è stato in grado di riferire alla polizia giudiziaria notizie, circa il l ove si fosse trasferito – pur se magari solo temporaneamente – il NOME;
non vi era possibilità di effettuare ricerche presso luoghi conosciuti, d svolgimento di attività lavorativa;
non erano state acquisite notizie, in ordine a un eventuale rientro del condannato nel paese di origine.
Non vi è chi non rilevi, inoltre, come sia sempre restato sconosciuto l’indirizzo di residenza del condannato all’estero; solo da richiamare brevemente, sul punto, è il dato della insussistenza di un obbligo – in capo all’autorità giudizia – di disporre ricerche all’estero di soggetto ivi residente, del quale si ignori pe l’esatto recapito.
4.3. Astrattamente ben richiamato, nell’atto di impugnazione, è il condivisibile principio di diritto fissato da Sez. 5, n. 35103 del 17/07/2014, P. Rv. 260470, secondo la quale: «Il decreto di irreperibilità emesso senza verifica presso l’autorità di polizia dell’eventuale rilascio di un permesso di soggiorno dal quale desumere il recapito dell’imputato straniero è affetto da nullità assoluta, che si estende agli atti successivamente compiuti, per incompleto svolgimento delle ricerche previste dall’art. 159 cod. proc. peli., atteso che questa disposizione non contiene un’elencazione tassativa dei luoghi in cui debbono essere assunte le informazioni necessarie, ma impone di compiere tutti quegli accertamenti che, sulla base delle circostanze emergenti agli atti, si rivelino logicamente utili oggettivamente praticabili». L’enunciazione di principio si rivela non collimante, però, con quanto accaduto nel caso di specie. All’interno del verbale di vane ricerche del 21/08/2017, infatti, può testualmente leggersi come – effettuato un controllo presso la banca dati disponibile presso le forze di polizia – non si fosser rinvenuti elementi potenzialmente utili al possibile rintraccio del condannato. E tale verifica non può non ricomprendere, evidentemente, anche l’attestazione della assenza di qualsivoglia permesso di soggiorno, asseritamente rilasciato al ricorrente.
4.4. Sarebbero stati poi da compiere, in ipotesi difensiva, accertamenti (di natura non meglio specificata) attraverso l’autorità consolare, onde verificare “l’eventuale permanere di un domicilio in Beni Frassen in Marocco”. Il sistema processuale postula, però, sempre la conoscenza di un luogo ben preciso all’estero (costituisca esso la residenza, la dimora, il luogo di svolgimento dell’attivi lavorativa, o altro, purché si tratti di un luogo ben individuato). In assenza indicazioni di tal genere, infatti, la invocata ricerca assumerebbe degli impropri connotati di casualità e indeterminatezza.
4.5. Coglie infine nel segno l’osservazione formulata dal AVV_NOTAIO generale, laddove sottolinea come – mancando un provvedimento di restituzione in termini ex art. 175 cod. proc. pen. e non sussistendo gli estremi per poter dichiarare nullo il suddetto decreto di irreperibilità – non possa che pronunciars declaratoria di inammissibilità del ricorso per tardività.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma – che si stima equo fissare in euro tremila – in favore della Cassa delle ammende (non ricorrendo elementi per ritenere il ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2023.