Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2459 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2459 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a MANFREDONIA il 16/10/1969 avverso l’ordinanza del 28/03/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Sostituto Procuratore generale, COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ha proposto, col suo difensore, ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. avverso l’ordinanza emessa da questa Corte il 28/3/2024, n. 15693.
Il ricorso si articola in due motivi.
2.1. Per quanto è dato intendere, col primo si censura il provvedimento anzidetto in quanto sarebbe stato motivato per relationem.
In particolare, in altro parallelo procedimento sarebbe stata emessa, dal giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Pesaro, un’ulteriore ordinanza anch’essa impugnata in Cassazione: quest’ultima, tuttavia, con la motivazione del
provvedimento qui censurato, si sarebbe limitata a rinviare a quella emessa nel procedimento parallelo.
In tal modo si assume che l’ordinanza impugnata sarebbe incorsa in un errore di diritto, avendo omesso di valutare le doglianze prospettate, con conseguente sua nullità, essendo «un mero copia incolla di altro provvedimento», emesso nel procedimento concluso con ordinanza n. 15692/2024.
2.2. Col secondo motivo, ci si duole di un assunto errore di diritto.
Dopo aver evidenziato che lo strumento di cui all’art.625-bis cod. proc. pen. sarebbe volto a rimediare ad errori decisivi di natura percettiva (la supposizione di un fatto incontrastabilmente insussistente o, viceversa, l’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita) o, ancora, ad emendare sviste materiali, parte ricorrente ribadisce ci si trovi innanzi a “due ordinanze identiche che giocoforza evidenziano una omissione di valutazione in diritto da parte del giudice dell’esecuzione”, in quanto non era stata data una “motivazione plausibile e differenziata alle varie doglianze di due procedimenti mischiati per errore”. Tanto comportava, per parte ricorrente, che si dovesse procedere alla sostituzione della decisione inficiata dall’errore, mediante caducazione del provvedimento viziato e successiva celebrazione dell’udienza per rinnovare il giudizio sul ricorso originario.
Si assume, ancora, che i due provvedimenti del giudice dell’esecuzione, in quanto identici, pur in relazione a doglianze diverse e rimaste non esaminate, avevano comportato un analogo errore da parte della Suprema Corte, con conseguente nullità assoluta del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
Anzitutto, lo stesso è manifestamente infondato poiché non è affatto vero che l’ordinanza emessa da questa Corte e qui impugnata sia stata motivata per relatíonem, facendosi riferimento ad altro provvedimento.
In essa, invece, si conclude, in modo niente affatto privo di argomenti, per la correttezza del rigetto, da parte del giudice dell’esecuzione (Tribunale di Pesaro), della richiesta di revoca, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., dell sentenza definitiva di condanna (emessa dal Tribunale di Pavia il 10/10/2006) per violazione dell’art. 9, comma 2, I. 1423/1956, formulata sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, in merito alla categoria di pericolosità generica di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), dei d.lgs. 159/2011.
In particolare, questa Corte, con l’ordinanza impugnata ha rilevato che
l’istanza proposta dallo COGNOME comportasse la verifica, non già del contenuto della sentenza di condanna di cui si chiedeva la revoca, ma della perdurante “base legale” del provvedimento presupposto dell’illecito penale: compito questo, rimarcava, di esclusiva competenza del giudice della prevenzione (e non di quello dell’esecuzione adito), ai sensi dell’art. 11, comma 2, d.lgs. 159/2011.
E si legge, ancora, nell’ordinanza qui impugnata, che l’originario decreto di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza era fondato su entrambe le fattispecie di pericolosità previste dall’art. 1, comma 1, d.lgs. 159/2011 e che la condanna oggetto della richiesta di revoca era intervenuta non per violazione della generica prescrizione di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, ma per la violazione dell’obbligo di soggiorno nel Comune di Manfredonia.
Né, evidentemente, la motivazione diventa per relationem sol perché analoga a quella di altro provvedimento, non essendo richiesto dall’ordinamento che le ragioni delle decisioni debbano essere non coincidenti ed essendo, anzi, del tutto fisiologico che, a fronte di situazioni simili, vi siano analoghe decisioni ( veda, al riguardo, Sez. 5, n. 1861 del 28/10/2021, dep. 2022, Rv. 282539-01, che reputa inammissibile perché aspecifico il motivo con cui si censuri genericamente la tecnica del “copia-incolla”, di per sé insuscettibile di integrare una carenza logico-argomentativa).
Inoltre, il ricorso straordinario, proposto ex art. 625-bis cod. proc. pen. «per errore materiale o di fatto», non specifica (a parte la sopra trattata ed infondata censura di omessa motivazione o motivazione per relationem) in cosa esattamente sia consistito il detto errore.
Non è possibile, con tale strumento, far valere ipotetici errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori interpretativi di diritto (ex multis, Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193-01). Né possono essere sollevati ipotetici errori ascrivibili al giudice del merito, da prospettare esclusivamente con le impugnazioni ordinarie (Sez. 6, n. 25121 del 02/04/2012, Rv. 253105-01). E non deve, ancora, trattarsi di questioni il cui esame, asseritamente omesso, sia stato oggetto di vaglio implicito (Sez. 1, n. 46981 del 06/11/2013, Rv. 257346-01) o comunque non decisive (Sez. 6, n. 16287 del 10/02/2015, Rv. 263113-01).
Parte ricorrente, invece, per quanto è dato comprendere, chiede una rivalutazione della questione posta nel procedimento a monte e comunque non allega alcun errore materiale o di fatto, nei termini sopra precisati.
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Per tali ragioni il ricorso è inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria, a favore della cassa delle ammende, nella misura in dispositivo, congrua in rapporto alle ragioni dell’inammissibilità ed all’attivit processuale che la stessa ha determinato, non ricorrendo l’assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 31/10/2024
Il Colpsigliere estensore
Il Presidente