Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 391 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 391 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Polistena il 29/05/1972
avverso la sentenza del 24/10/2022 della Corte di cassazione, Quinta Sezione penale visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; udite, nell’interesse del ricorrente, le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di impugnazione presentato dall’avv. NOME COGNOME l’imputato NOME COGNOME proponeva ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza emessa il 24 ottobre 2022 dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale.
Con la pronuncia di legittimità censurata la sentenza deliberata dalla Corte di appello di Reggio Calabria 1’11 novembre 2020 veniva confermata, relativamente al reato associativo di cui al capo A; mentre, veniva annullata con rinvio per nuovo giudizio, relativamente ai reati fine di cui ai capi O, P, Q, R, S e T.
Con il ricorso in esame si articolava un’unica doglianza, con cui si lamentava che la Corte di legittimità non aveva esaminato i motivi nuovi, datati 20 settembre 2022, con i quali si era dedotto che, pur essendo mutata la composizione del collegio del Tribunale di Reggio Calabria che aveva celebrato il giudizio di primo grado, non era stato rinnovato l’esame dibattimentale reso da NOME COGNOME in tale processo, in linea con i principi affermati dalla Corte EDU nella decisione del caso “COGNOME contro Italia” (Corte EDU, 8 luglio 2021, RAGIONE_SOCIALE, n. 20903/15).
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., è inammissibile, risultando incentrato su motivi manifestamente infondati.
In via preliminare, allo scopo di inquadrare le censure difensive proposte nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza emessa il 24 ottobre 2022 dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., si rendono indispensabili alcune precisazioni.
Deve, innanzitutto, premettersi che ratio e lettera dell’art. 625-bis cod. proc. pen., così come introdotto dall’art. 6, comma 6, legge 19 aprile 2001, n. 128, hanno contribuito alla formazione di canoni interpretativi divenuti principi consolidati, anche per via della speculare elaborazione formatasi sull’art. 395, comma 5, cod. proc. civ. (Sez. U, n. 1603 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280 01).
Con particolare riferimento alle questioni sollevate nel ricorso straordinario proposto nell’interesse di ·NOME COGNOME occorre ricordare che il principio dell’intangibilità dei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione, pur avendo perso il carattere di assolutezza per effetto dell’art. 625-bis cod. proc. pen. nella materia penale e di quello, analogo, della revocazione nella materia civile, resta il cardine del sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato; l’accertamento definitivo costituisce, del resto, lo «scopo stesso dell’attività giurisdizionale » e realizza l’interesse fondamentale di ogni sistema processuale «alla certezza delle situazioni giuridiche » (Corte cost., sent. n. 294 del 1995).
Le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario, quindi, non possono trovare applicazione oltre i casi espressamente considerati, in forza del divieto sancito dall’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, perché costituiscono una deroga all’intangibilità del giudicato.
Ne discende che la natura eccezionale del rimedio in esame e il tenore della disposizione che lo istituisce non consentono di sindacare, attraverso il ricorso straordinario, pronunzie giurisdizionali diverse da quelle che sono connotate da definitività.
2.1. In questa cornice, l’errore di fatto che può dare luogo all’annullamento di una sentenza di legittimità è solo quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte di cassazione nella lettura degli atti del giudizio ed è connotato dall’influenza esercitata sulla decisione dall’inesatta cognizione di risultanze processuali, il cui travisamento conduce a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza l’errore di fatto e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono l’effetto di tale errore.
Ne deriva che, esulando ogni profilo valutativo dall’errore di fatto, questo coincide con l’errore revocatorio – secondo l’accezione che vede nello stesso il travisamento degli atti nelle due forme dell’invenzione o dell’omissione, non estensibile al travisamento delle risultanze ovvero alla loro inesatta interpretazione – in cui sia incorsa la Corte di legittimità nella lettura degli att del suo giudizio.
Pertanto, il travisamento del fatto, inteso come travisamento del significato, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen.
A maggior ragione, non può essere dedotta, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., la mancata considerazione dell’errore revocatorio in cui sia incorso il giudice di merito, tanto meno laddove sia prospettato che questo sarebbe stato, ora per allora, astrattamente rilevabile in sede di ricorso ordinario, in forza di
una, non consentita o non accolta, interpretazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
2.2. Quanto all’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per cassazione, la stessa, quand’anche sussistente in astratto, si risolve in un difetto di motivazione, che, sempre in astratto, non significa né affermazione né negazione di alcuna realtà processuale, ma semplicemente mancata risposta a una censura.
La giurisprudenza di legittimità consolidata, peraltro, ammette che la lacuna motivazionale possa essere ricondotta nell’errore di fatto quando dipenda da una «vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura »; situazione che ricorre quando l’omesso esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo «un rapporto di derivazione causale necessaria […1», una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo (Sez. U, n. 1603 del 27/03/2002, Basile, cit.).
In questa prospettiva, si avverte la necessità di ricordare che il disposto dell’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure non riprodotto nella sentenza sia stato non letto anziché implicitamente ritenuto non rilevante (tra le altre, Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982 – 01; Sez. 5, n. 20520 del 20/03/2007, COGNOME, Rv. 236731 – 01; Sez. 5, n. 11058 del 10/12/2004, COGNOME, Rv. 231206 – 01).
Ne deriva che non solo non è in nessun caso deducibile, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., la mancanza di espressa disamina di censure difensive che non siano decisive o che debbano considerarsi disattese, perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che compendiano la reti° decidendi della sentenza medesima, ma è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, in violazione della regola dell’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen., decisiva e che il suo omesso esame dipende da un errore di percezione.
A tali indicazioni ermeneutiche può solo aggiungersi che, proprio sulla scorta dell’omologo rimedio dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., giova a delimitare l’errore di fatto, con particolare riguardo alla lacuna motivazionale, la definizione fornita dalle Sezioni Unite civili come errore che «sebbene non giunga a quel punto di estraneità al giudizio che caratterizza l’errore materiale , è pur sempre un errore che si manifesta al di fuori di ciò che è stato il dibatto
processuale o che ad esso appartiene per legge Li, in quanto investe un fatto pacifico, incontrovertibile nella sua esistenza o inesistenza » (Sez. U, n. 101 del 08/02/1983, Rv. 425800 – 01).
3. Tanto premesso, deve evidenziarsi che, nel caso di specie, non ricorrono i presupposti per proporre il ricorso straordinario oggetto di vaglio, atteso che con la doglianza in questione la difesa del ricorrente mira a introdurre, relativamente al reato di cui al capo A, per il quale si è formato il giudicato parziale sulla sentenza emessa dalla Corte di appello di appello di Reggio Calabria 1’11 novembre 2020, una questione di diritto, riguardante l’applicazione dei principi affermati dalla Corte EDU con la decisione del caso “RAGIONE_SOCIALE” (Corte EDU, 8 luglio 2021, RAGIONE_SOCIALE, cit.).
Con tale pronuncia la Corte EDU condannava l’Italia per la violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU, conseguente alla mancata rinnovazione, da parte di una corte di appello italiana, dell’esame dell’imputato assolto in primo grado e condannato nel processo di secondo grado sulla base delle sue dichiarazioni, che si ritenevano decisive per la formulazione del giudizio di responsabilità.
Su questo tema, la Corte EDU, in linea con i principi affermati nella pronuncia del caso “RAGIONE_SOCIALE” (Corte EDU, 29 giugno 2021, RAGIONE_SOCIALE, n. 63446/13), evidenziava che, per soddisfare il diritto irrinunciabile dell’imputato a essere esaminato dai giudici di merito su fatti e questioni decisive per l’accertamento della sua responsabilità, non è sufficiente la sola citazione per l’udienza di appello, effettuata ai sensi dell’art. 601 cod. proc. pen. Tale adempimento processuale, infatti, è esclusivamente finalizzato a mettere l’imputato nelle condizioni ch conoscere la data di svolgimento della prima udienza di appello e di decidere se partecipare al giudizio di secondo grado instaurato nei suoi confronti.
In questa cornice, è evidente che il richiamo ai principi affermati dalla Corte EDU con la decisione intervenuta nel caso “RAGIONE_SOCIALE” postula la risoluzione di una questione di diritto, riguardante la natura di sentenza-pilota di tale pronuncia, che – oltre a essere destituita di fondamento, essendo tale connotazione ermeneutica già esclusa dalla Suprema Corte (Sez. 6, n. 27163 del 05/05/2022, COGNOME, Rv. 283631 – 01) – presuppone la risoluzione di profili interpretativi che, all’evidenza, risultano estranei al rimedio giurisdizionale di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen.
La sentenza-pilota, infatti, rappresenta una particolare forma di pronuncia della Corte EDU, che presuppone una risoluzione di una quaestio iuris, essendo tale strumento impiegato quando ci si trova di fronte a un problema strutturale della legislazione di un determinato Stato membro, che emerge allorché la gessa
Corte è investita di una pluralità di vicende processuali che riguardano il medesimo problema giuridico. In questi casi, quindi, la Corte di Strasburgo non si limita a individuare il problema che il caso presenta e a condannare lo Stato convenuto, ma, allo scopo di evitare il procrastinarsi di situazioni processuali distoniche rispetto alla Convenzione EDU, indica le misure giuridiche ritenute più idonee per porre definitivo rimedio alle disfunzioni.
La difesa del ricorrente, pertanto, invoca l’applicazione al caso di specie dello strumento della sentenza-pilota, che presenta delle connotazioni ermeneutiche assenti nella decisione del caso “RAGIONE_SOCIALE“, in linea con quanto costantemente affermato dalla Suprema Corte (tra le altre, Sez. U, n. 34472 del 24/10/2013, Ercolano, Rv. 252933 – 01; Sez. U, n. 34233 del 19/04/2012, COGNOME, Rv. 252933 – 01).
3.1. A tali considerazioni deve aggiungersi che la sentenza emessa il 24 ottobre 2022 dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, rendeva irrevocabile la pronuncia della Corte di appello di appello dr Reggio Calabria dell’Il novembre 2020, limitatamente al reato associativo di cui al capo A, relativa alla partecipazione del ricorrente all’omonima cosca ‘ndranghetistica di Gioia Tauro; mentre, la decisione di secondo grado veniva annullata per i reati fine di cui ai capi O, P, Q, R, S e T.
Ne discende che la difesa del ricorrente non si poteva limitare a richiamare la decisività dell’incombente istruttorio invocato, riguardante l’esame dell’imputato NOME COGNOME ancorché impropriamente alla luce delle considerazioni esposte nel paragrafo 3, ma avrebbe dovuto correlare tale, meramente asserita, rilevanza alle emergenze processuali relative al reato associativo di cui al capo A, sul quale si era formato il giudicato parziale, che imponeva di ritenere attivabile lo strumento di cui all’art. 626-bis cod. proc. pen. limitatamente a tale fattispecie.
Queste conclusioni, a ben vedere, si impongono alla luce della giurisprudenza di legittimità consolidata, alla quale la difesa del ricorrente non si conformava, secondo cui: «Non è deducibile ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. la mancata disamina di doglianze non decisive, o che debbono essere considerate implicitamente disattese, in quanto incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che compendiano la “ratio decidendi” della sentenza medesima; ne deriva che è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza era invece decisiva, per cui il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione» (Sez. 6, n. 16287 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263113 – 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982 – 01; Sez. 1, n. 460 del 03/11/2004, Terranova, Rv. 230584 – 01).
Ne discende conclusivamente che il ricorso straordinario presentato nell’interesse di NOME COGNOME risultando proposto fuori dalle ipotesi previ dall’art. 625 -bis cod. proc. pen., deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si determina in tremila euro, ai sensi dell’art. 61 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 novembre 2023.