Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30161 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GIOIA COGNOME il 21/05/1975
avverso la sentenza del 28/11/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
Elet-e-a3A4~.14Q,–parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
[P
Visti gli atti e la sentenza impugnata; letti i motivi del ricorso;
rilevato che è pacifico, in giurisprudenza, che «L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricors straordinario avverso provvedimenti della corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto v percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazi e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali» (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193; Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, Vinci, Rv. 271145);
che, dunque, l’errore di fatto che può dare luogo all’annullamento di una sentenza di legittimità è solo quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte di cassazione nella lettura degli atti del giudizio ed connotato dall’influenza esercitata sulla decisione dall’inesatta cognizione di risultanze processuali, il cui travisamento conduce a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza l’errore di fatto e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono l’effetto di tale errore;
che da ciò deriva come, esulando ogni profilo valutativo dall’errore di fatto, questo coincide con l’errore revocatorio – secondo l’accezione che vede nello stesso il travisamento degli atti nelle due forme dell’invenzione o dell’omissione, non estensibile al travisamento delle risultanze ovvero alla loro inesatta interpretazione – in cui sia incorsa la Corte di legittimità nella lettura degli atti suo giudizio;
che, di conseguenza, il travisamento del fatto, inteso come travisamento del significato, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625bis cod. proc. pen.;
che le descritte conclusioni si impongono, d’altro canto, alla luce del consolidato indirizzo ermeneutico secondo cui: «Non è deducibile ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. la mancata disamina di doglianze non decisive, o che debbono essere considerate implicitamente disattese, in quanto incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che compendiano la “ratio decidendi” della sentenza medesima; ne deriva che è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza era
invece decisiva, per cui il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione» (Sez. 6, n. 16287 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263113 – 01);
che, nel caso in esame, il ricorrente deduce che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in errori percettivi nell’apprezzamento di circostanze che, invece, sono state debitamente considerate all’atto del vaglio dei motivi di ricorso da lui articolati;
che i giudici di legittimità hanno, invero, esaminato il ricorso di NOME COGNOME alle pagg. 17-20 della sentenza qui impugnata con ricorso straordinario, affermando, tra l’altro, che esenti da vizi logici sono le considerazioni dedicate dalla Corte di appello alla intraneità di COGNOME alla cosca COGNOME, comprovata anche dalla condotta posta in essere in pregiudizio di NOME COGNOME dall’espletata attività di intercettazione e dalle dichiarazioni di taluni collaborat di giustizia;
che la Corte di cassazione, in quella sede, ha stimato, in replica alle censure mosse da COGNOME, che i giudici di merito abbiano analiticamente motivato in ordine a tutti i rilievi prospettati della difesa e reputato, per contro, reputato c a fronte di tali analitiche argomentazioni, le censure difensive non colgono nel segno;
che, con il ricorso straordinario, si imputa alla Corte di cassazione di avere avallato il giudizio espresso dai giudici di merito sulla base di una fallace, travisata o scorretta valutazione di taluni atti istruttori, quali: la conversazione intercorsa 18 maggio 2016 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME; i colloqui tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; la sua presenza, il 31 dicembre 2015, in luogo relativamente prossimo a quello in cui i latitanti NOME COGNOME e NOME COGNOME che egli avrebbe aiutato a sottrarsi alle ricerche dell’autorità, sono stati tratti in arresto; le dichiara rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
che, così facendo, il ricorrente sollecita, a dispetto dell’istituto attivato, u nuova, non consentita valutazione del compendio probatorio ma non enuclea specifici – e decisivi – errori percettivi nei quali la Corte di cassazione sarebb incorsa;
che la sentenza impugnata ha tratto, infatti, concorrente argomento anche dagli atti indicati dal ricorrente – la cui oggettiva dimensione, consistenza e portata ha rettamente inteso – per attestare la tenuta logica e giuridica del ragionamento articolato dai giudici di merito in ordine alla natura delle relazioni tra NOME COGNOME ed il clan ‘ndranghetistico di riferimento ed è, per tale via, pervenuta ad un risultato che non appare minimamente inficiato da errori di fatto,
in carenza dei quali non v’è spazio alcuno per l’accoglimento dell’impugnazione straordinaria;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e,
in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa
delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 08/05/2025.