Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21575 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 3 Num. 21575 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nato a Berca (Romania) il 29/08/1982 avverso l’ordinanza del 03/04/2024 della Corte di Cassazione di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 aprile 2024 la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza emessa in data 20 settembre 2023 con cui il Giudice dell’udienza preliminare di Lamezia Terme aveva applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a NOME COGNOME la pena di mesi quattro di arresto ed euro 1.066,00 di ammenda, sostituita ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, in 124 giorni di lavoro di pubblica utilità presso un’associazione di volontariato, in ordine al reato di cui all’art. 186, comma 7, d.lgs. n. 285 del 1992.
Avverso l’indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., l’avvocato NOME COGNOME in qualità di difensore di fiducia del ricorrente, affidandosi a due motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce errore di fatto nella valutazione della validità dell’accordo sulla pena.
Si afferma che l’ordinanza impugnata ha erroneamente ritenuto applicabile il principio espresso dalla sentenza Sez. 5, n. 34988 del 06/10/2020, Egitto, Rv.
279983-01, che tuttavia si riferisce al concordato in appello e non all’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., cui è stato impropriamente esteso.
Si assume che tale errore emergeva dal fatto che la procura speciale conferiva al difensore titolare il potere di negoziare una pena specifica (90 giorni ed euro 800,00) senza autorizzare modifiche peggiorative da parte del sostituto processuale, che ha invece autonomamente ridefinito la pena, superando i limiti del mandato e si contesta che la Corte abbia erroneamente interpretato tale modifica come conforme alla volontà dell’imputato.
2.2 Con il secondo motivo, si lamenta errore di fatto sulla questione di legittimità costituzionale non considerando che è pendente un’ordinanza del Tribunale di Marsala n. 33 del 2022 che rimette la stessa questione alla Corte costituzionale e che la riduzione della pena in caso di reati contravvenzionali presenta un vuoto normativo che incide direttamente sulla sanzione inflitta
Si chiede quindi di annullare l’ordinanza e rinviare gli atti alla Corte di costituzionale per la questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 cod. proc. pen.; in subordine di annullare l’ordinanza con rinvio al Giudice per l’udienza preliminare per nuovo esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato de plano, è inammissibile.
Va premesso che in tema di impugnazioni, l’inammissibilità del ricorso straordinario va dichiarata con procedura “de plano” come già affermato, tra le tante, da Sez. 5, ord. n. 14380 del 01/02/2024, Rv. 286368-01 (secondo cui l’espressione “anche di ufficio”, contenuta nell’art. 625-bis, comma 4, cod. proc. pen, indica che, in caso di ricorso proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 625 bis cod. proc. pen., non è necessario fissare l’udienza in camera di consiglio), e che nel caso di specie, in ragione delle disposizioni tabellari sub par. 62.8 e 67.4, deve procedere questa Sezione, essendo impugnata una ordinanza di Settima Sezione su ricorso assegnato alla Quarta Sezione penale.
2.1 Come è dato evincere dal provvedimento impugnato, il ricorso veniva dichiarato inammissibile, in quanto proposto per motivi non consentiti, essendosi ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella part in cui, nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti per reati contravvenzionali, prevede la diminuzione della pena fino a un terzo, anziché fino alla metà, essendosi ritenuto che trattasi di tematica del tutto irrilevante, in quanto inerente alla pena che, nel caso di specie, è stata frutto di specifico accordo tra le parti.
Ritiene questo collegio che la censura mossa tenta inammissibilmente di sottoporre nuovamente a questa Corte di legittimità una questione “di diritto” (non certo “di fatto”) già sottoposta con l’originario ricorso sulla quale la Corte, ne ritenerla irrilevante perché inerente alla pena, frutto di specifico accordo tra le parti, ha motivato in termini congrui e corretti, non potendosi dedurre la sua rilevanza dal fatto che sia stata sollevata da altro giudice una questione che si assume identica, in ordine alla quale non solo difetta ogni allegazione, ma mancano anche specifiche argomentazioni a sostegno della identità di tali questioni, che, in ogni caso, non rileverebbero a fronte della corretta motivazione assunta.
2.2. Quanto alla seconda censura dedotta dal ricorrente, essa è stata ritenuta manifestamente infondata sull’assunto che l’accordo tra le parti si fosse correttamente perfezionato, in applicazione del principio espresso da Sez. 5, n. 34988 del 06/10/2020, Egitto, Rv. 279983-01, secondo cui il sostituto del difensore di fiducia, cui l’imputato abbia rilasciato procura speciale per la presentazione dell’istanza di concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen. con facoltà di determinare l’entità della pena, può validamente perfezionare l’accordo sulla pena nella misura specificamente indicata dal procuratore speciale, perchè in tal caso il sostituto è mero “nuncius” della sua volontà.
2.3 Anche su tale punto va ricordato che il rimedio di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen., può essere proposto solo nel caso di errore materiale o di fatto e non per un lamentato errore di diritto.
Come chiarito da Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280-01: «L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimed previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. (La Corte ha precisato in motivazione che: 1)- qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2)- sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudi di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3)-
l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale).
A detti principi si sono allineate successive decisioni di questa Corte nelle quali si è affermato che «L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art.625-bi cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in mo difforme da quello effettivo; ne deriva che rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – restando quindi fermo, con riguardo ad essi, il principio di inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali» (ex multis, Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193; Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268953).
2.4 Tanto premesso, diversamente da quanto ritenuto nei motivi di ricorso, il principio di diritto espresso da Sez. 5, n. 34988 del 06/10/2020, Egitto, Rv. 279983-01 non è stato impropriamente esteso ad una fattispecie diversa (ossia quella del patteggiamento, per la quale si procedeva) ma è stato volutamente applicato a tale diversa fattispecie, come risulta dall’interlineatura delle parole “concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen.”, e dalla loro sostituzione con “applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.”, circostanza, questa, che esclude del tutto che si sia trattato di un errore percettivo, tale da poter fondare il ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen.
Per le considerazioni or ora esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 06/05/2025.