Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35329 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35329 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
Oggi, GLYPH 2h24
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Siderno il DATA_NASCITA; n, Ltt(int GLYPH t
avverso la sentenza n. 25579/2023 della Corte di cassazione, Sezione IV penale, d 24 maggio 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito ill PM, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità de ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO, del foro di Roma, quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME COGNOME – il quale, con sentenza del Tribunale di Latina, emessa in data imprecisata, era stato condannato, sulla base di una imputazione comprendente quale più grave fra i reati a lui contestati, la violazione dell’ar 74 del dPR n. 309 del 1990, alla pena di 21 anni di reclusione – è stato, successivamente assolto, con sentenza del 4 giugno 2019 della Corte di appello di Roma, divenuta definitiva il successivo 18 ottobre 2019, per insussistenza del fatto quanto ai reati associativi e per non aver commesso il fatto quanto ai reati scopi; nel frattempo il COGNOME era stato sottoposto, in data 28 settembr 2015 a fermo, convalidato dal Gip del Tribunale di Latina che disponeva, altresì, a suo carico la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione alle ipote di reato per le quali in un secondo momento lo stesso è stato, come detto, assolto; la misura cautelare era, quindi, confermata in sede di riesame ed il successivo ricorso per cassazione avverso la ordinanza confermativa del 2 novembre 2015 era rigettata dalla Corte di cassazione con sentenza del 2 febbraio 2016.
In tale modo la misura custodiale a carico del COGNOME era applicata in regime carcerario dal 28 settembre 2015 al 14 dicembre 2015 e da tale data sino al 5 giugno 2019 in regime di arresti domiciliari.
Una volta divenuta definitiva la sentenza di assoluzione dalle imputazioni a lui contestate il COGNOME formulava istanza per il ristoro della ingiusta privazio della libertà conseguente all’applicazione della misura cautelare di cui si è dett
Siffatta istanza era rigettata con ordinanza della Corte di appello di Roma del 10 maggio 2022; presentato dal COGNOME ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, lo stesso era rigettato con sentenza n. 25579 del 24 maggio 2023, i cui motivi sono stati depositati il successivo 14 giugno 2023.
In tale occasione la Corte di cassazione ha rilevato che le condotte del COGNOME – il quale era destinatario di quantità assai rilevanti di danaro contan che transitavano per l’Italia per giungere sino in Olanda – potevano celare la causale di natura illecita di tali rimesse finanziarie quale, appunto, il versamen del corrispettivo per il traffico di sostanze stupefacenti; ciò posto e sebbe fosse stata accertata la natura lecita delle transazioni commerciali operate con le predette somme di danaro, la Corte di appello, nel rigettare la richiesta d indennizzo, aveva fatto corretta applicazione, secondo la Corte di cassazione, del principio che – a prescindere dall’esito del giudizio penale sul fatto che avev originato l’applicazione della misura cautelare – laddove questa sia stata
causalmente originata da un comportamento colposo del soggetto attinto dalla misura – che nella specie era stato individuato per un verso nell’uso anomalo del danaro contante per effettuare transazioni (sebbene queste avessero un oggetto lecito) in maniera ben lontana dai comuni canali di finanziamento e, per altro verso, nella pretestuosa indicazione della ragione di tale singolare modalità di agire sostenendo la tesi che così eseguiti i pagamenti sarebbero stati più celeri – non vi è luogo all’indennizzo.
Avverso siffatta decisione ha interposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., tramite il proprio difensore fiduciario, il Crup
Questi, per prima cosa, ha, sulla base di taluni provvedimenti, anche di questa stessa Sezione della Corte di cassazione, ritenuto che l’esperibilità del rimedio debba essere estesa anche in favore di soggetti che non risultano essere stati destinatari di sentenza di condanna in senso stretto, di tal che l stesso potrebbe essere applicato anche a chi si sia visto rigettare la richiesta d indennizzo per la ingiusta detenzione.
Nel merito ha rilevato che la decisione della Corte di cassazione si fonderebbe su due circostanze, cioè che il COGNOME non avrebbe dimostrato nel giudizio di merito la corrispondenza fra il danaro inviato in Olanda e quello utilizzato per l’acquisto dei fiori (il RAGIONE_SOCIALE opera nel mondo del commercio di fiori) e sulla pretesa anomalia del sistema di pagamento adottato dal ricorrente tutto svolto tramite contanti.
Osserva il ricorrente che tali dati, ritenuti dalla Corte di cassazione ostativb. all’accoglimento della richiesta di indennizzo, in quanto dimostrativi della condotta colposa del ricorrente nella determinazione delle condizioni per l’adozione della misura cautelare a suo carico, avevano trovato un sensibile ridimensionamento già nella sentenza di assoluzione pronunziata dalla Corte di appello di Roma, nella quale si legge che sarebbe stato svilito il significato in chiave accusatoria dei dati dianzi ricordati, tanto più che l’ammontare dei flussi di contante non è mai stato accertato, di tal che la prova della legittima destinazione delle somme di danaro che è stata documentata dal COGNOME deve intendersi avere riguardato l’intero, indeterminato, flusso e non come invece ritenuto nella sentenza della Corte di cassazione, la quale sarebbe, pertanto, incorsa nell’errore percettivo legittimante il ricorso al rimedio di cui all’art. 62 bis cod. proc. pen., solo una parte dello stesso.
In data 13 maggio 2024 la difesa fiduciaria del ricorrente ha fatto pervenire una memoria difensiva volta a meglio illustrare ammissibilità e fondatezza del ricorso da essa presentato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso per le ragioni che saranno di seguito illustrate è radicalmente inammissibile.
Si ritiene che sia palesemente doveroso interrogarsi, preliminarmente ad ogni valutazione avente ad oggetto il merito della presente vicenda, in ordine alla astratta ammissibilità dello strumento processuale azionato dal ricorrente, cioè il ricorso ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., laddove lo stesso s attivato a tutela della posizione soggettiva vantata dal RAGIONE_SOCIALE.
Come è agevole rilevare sulla base di una semplice consultazione del testo della disposizione processuale in questione, questa, nel disciplinare i modi ed i termini nei quali è consentito insorgere laddove si ritenga che un provvedimento giurisdizionale emesso dalla Corte di cassazione contenga nel suo interno un “errore materiale o di fatto”, attribuisce, oltre che al AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, i relativo potere – che ben può definirsi impugnatorio, essendo esso volto a far emergere, attraverso un ulteriore pronunciamento della autorità giudiziaria adottato all’esito di un formale “processo”, un “vizio” del provvedimento giurisdizionale in tale modo avversato, essendo stato, a tal fine, investito un altro organo, appartenente al medesimo ordine giurisdizionale della competenza a rivalutare ed eventualmente a modificare, peraltro in esclusivo favore del soggetto privato, il contenuto del provvedimento avversato – al “condannato”.
Una siffatta espressione letterale, nel suo inequivoco significato, segna dei precisi confini soggettivi atti a delimitare rigidamente il novero dei soggetti privati cui l’ordinamento attribuisce il potere di attivare il ricordato strument processuale.
La Corte di cassazione, nella sua opera di prudente esegesi normativa, ha precisato – ritenendo che la, apparentemente inequivoca, espressione normativa sia suscettibile di interpretazione estensiva ma non analogica – che, mentre la legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è suscettibile di essere riconosciuta anche all’imputato che sia stato condannato al solo risarcimento dei danni in favore della parte civile a condizione che la pronunzia oggetto di impugnazione abbia un contenuto specificamente idoneo
a radicare, in capo al ricorrente, la qualifica soggettiva di “condannato” (Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 novembre 2015, n. 45031, rv 265439, ma sostanzialmente in tale medesimo senso, già, in precedenza: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 17 luglio, 2022, n. 28719, rv 252695), analogo potere debba essere, invece, escluso in favore del soggetto che, costituitosi parte civile nel processo penale ed avendo impugnato di fronte a questa Corte la sentenza emessa nel giudizio cui egli aveva preso parte, fosse stato condannato, a seguito della dichiarazione di inammissibilità della sua impugnazione, al pagamento di una somma di danaro, secondo la previsione dì cui all’art. 616 cod. proc. pen. in favore della Cassa delle ammende (così: Corte di cassazione, Sezione V penale, 3 agosto 2017, n. 38780, rv 270807); analogamente la legittimazione ad agire ex art. 625-bis cod. proc. pen. è stata esclusa in favore del soggetto cui siano ancora in corso le indagini preliminari, sebbene nel corso di esse sia stato emesso, nell’ambito del subprocedimento de libertate, da questa Corte un provvedimento che si assuma essere affetto da errore di fatto o materiale; tale principio è stato affermato sulla base dell’assunto che il provvedimento in questione non è idoneo a rendere irrevocabile una “condanna”, di tal che il suo destinatario non riveste la qualifica soggettiva necessaria per giovarsi del mezzo processuale in discorso (Corte di cassazione, 19 novembre 2021, n. 42518, rv 282077).
Questa breve rassegna di pronunzie della Corte, peraltro limitata alle sole statuizioni più recenti, potrebbe concludersi, ribadendosi la estraneità di chi non sia portatore di una “condanna” in senso tecnico al rimedio offerto dall’art. 625bis cod. proc. pen., segnalando come questa Corte abbia, ancora di recente, escluso la esperibilità dello strumento da parte del soggetto, terzo rispetto al reato commesso, che abbia visto respingere da questa Corte la sua istanza di restituzione del bene confiscato in esito a giudizio penale, essendo il rimedio in questione esperibile nei soli confronti di provvedimento con il quale sia divenuto definitiva una sentenza di condanna (Corte di cassazione, Sezione V penale, 1 febbraio 2024, n. 4611, rv 285940), senonché, come la ricorrente difesa ha evidenziato nel proprio atto introduttivo, un tale assetto interpretativo è stato di recente movimentato da due pronunzie, si allude a Corte di cassazione, Sezione III penale 5 luglio 2022 n. 25653, rv 283621 ed a Corte di cassazione, Sezione III penale 17 novembre 2022, n. 43608, non massimata, le quali – la prima con dovizia di argomenti, la seconda tramite il semplice richiamo alla precedente – hanno sostenuto che è invece, in linea di principio, ammissibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto proposto dall’imputato assolto avverso la sentenza della Corte di cassazione di rigetto del ricorso
presentato contro l’ordinanza di reiezione della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, non essendo la legittimazione ad agire, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., circoscritta al solo condannato, ma potendosi estendere anche a chi, pur condannato, sia stato successivamente assolto a seguito di revisione del processo.
Ritiene il Collegio che, al di là della condivisibilità o meno del principio in tali occasioni affermato (sul quale appaiono giustificate molteplici riserve, ove si rifletta sulla circostanza che la estensione della legittimazione al ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. – pur ampiamente argomentata attraverso il rimando sia ai lavori preparatori della novella legislativa cha ha condotto alla introduzione della norma di legge nel codice di rito penale, i quali, nella originaria versione della disposizione in questione, prevedevano l’adito al rimedio impugnatorio a “la parte interessata” e non al solo “condannato”, in tale senso ampliando la platea dei soggetti legittimati, sia alle sollecitazioni ch in argomento sarebbero pervenute attraverso talune decisioni assunte dalla Corte costituzionale – parrebbe essere stata motivata nell’occasione dalla Corte di legittimità in funzione del fatto che il soggetto, il quale si era visto rigett la domanda giudiziale volta ad ottenere l’indennizzo per avere subito un errore giudiziario, era stato, a suo tempo, formalmente condannato con sentenza passata in giudicato ma aveva visto tale pronunzia ribaltata a seguito del positivo esperimento del giudizio di revisione, essendo stata in tale occasione trascurata la circostanza che laddove il legislatore ha utilizzato l’espression “condannato” non ha fatto riferimento ad un mero dato storico, cioè che il soggetto che abbia agito ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. abbia riportato nel suo passato una condanna penale, ma al fatto che questi sia stato condannato ad una pena, o comunque ad una prestazione derivante dall’avvenuto accertamento della commissione del reato, che sia divenuta definitiva per effetto della sentenza emessa dalla Corte di cassazione ed in relazione alla quale si chiede che sia rilevato l’errore di fatto o materiale in sarebbe incorsa detta Corte), che, in ogni caso i due precedenti evocati dal ricorrente appaiono non pertinenti rispetto alla presente fattispecie. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Infatti – a differenza di quanto verificatosi nelle due occasioni in cui è stat ritenuta la legittimazione ad agire ex art. 625-bis cod. proc. pen. anche a vantaggio di chi era risultato soccombente nella istanza volta a conseguire l’indennizzo per la indebita privazione della libertà personale introdotta ai sensi dell’art. 643 cod. proc. pen. – nel caso che ha riguardato il COGNOME questi ha, realtà, agito non per la riparazione dell’errore giudiziario, non essendo mai la sentenza emessa a suo carico divenuta definitiva e non essendo stato
scardinato il giudicato formatosi su di essa per effetto del positivo esperimento del procedimento di revisione ai sensi degli artt. 629 e seg. cod. proc. pen., ma egli ha fatto ricorso al giudice per il conseguimento della equa riparazione, in base alla previsione di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen.
Ora, mentre nei primi due casi i soggetti che avavano agito per la correzione dell’errore materiale o di fatto avevano effettivamente rivestito, sia pure per effetto di decisione assunta in giudizio diverso rispetto a quello in ordine al quale era stata, poi, introdotto il procedimento ex art. 625-bis cod. proc. pen., la veste di condannati in via definitiva, nella presente fattispecie condanna emessa a carico del COGNOME non ha mai conseguito la definitività, essendo stato questo prosciolto dalla imputazione a lui contestata già in fase di gravame, di tal che, anche il, peraltro discutibile, principio espresso da questa Corte con le due pronunzie enfatizzate dalla parte ricorrente, appare non “calzante” rispetto alla presente vicenda e non tale, pertanto, da giustificare i superamento della prevalente, e d’altra parte ora convintamente condivisa, indicazione giurisprudenziale che limita l’adito al rimedio di cui all’art. 625-bi cod. proc. pen. al so o soggetto che abbia riportato una condanna definitiva in sede penale.
La pacifica non ricorrenza della presente condizione rispetto alla posizione del COGNOME comporta la inammissibilità in radice del ricorso da questo presentato, trattandosi di ricorso proposto da soggetto a ciò non legittimato; di esso, pertanto, non va affatto esaminata la fondatezza o meno.
Alla pronunzia di inammissibilità del ricorso introduttivo fa seguito, visto l’art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
GLYPH
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024