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Ricorso straordinario: No a misure di prevenzione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6650/2025, ha dichiarato inammissibili tre ricorsi straordinari proposti contro una sentenza in materia di misure di prevenzione. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato, secondo cui il rimedio del ricorso straordinario per errore di fatto, previsto dall’art. 625-bis c.p.p., è riservato esclusivamente al ‘condannato’ e non può essere esteso ai destinatari di tali misure. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Straordinario e Misure di Prevenzione: La Cassazione Traccia un Confine Netto

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un’importante questione procedurale, chiarendo i limiti di applicazione di uno strumento eccezionale: il ricorso straordinario per errore di fatto. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha stabilito che questo rimedio non è esperibile avverso le sentenze emesse in materia di misure di prevenzione, confermando un principio fondamentale di specialità e la diversità di tutela tra il condannato e il soggetto sottoposto a misura preventiva.

I Fatti del Caso

Tre soggetti, destinatari di misure di prevenzione, hanno proposto ricorso avverso una sentenza della Corte di Cassazione, utilizzando lo strumento del ricorso straordinario previsto dall’articolo 625-bis del codice di procedura penale. Essi lamentavano un presunto errore di fatto contenuto nella decisione impugnata, cercando di ottenere una correzione della stessa.

Limiti all’Applicazione del Ricorso Straordinario

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, basando la sua decisione su un’interpretazione rigorosa della normativa. Il fulcro del ragionamento risiede nella natura stessa del ricorso straordinario. Questo strumento, infatti, è espressamente riservato dalla legge alla figura del “condannato” e non può essere esteso per analogia ad altre figure, come i destinatari di misure di prevenzione personali o patrimoniali.

La Corte ha sottolineato che il sistema processuale prevede rimedi distinti per situazioni giuridiche diverse. Per le misure di prevenzione, l’ordinamento appronta già uno specifico strumento di tutela, quello della revoca, che opera su presupposti differenti rispetto alla correzione dell’errore di fatto.

La Giurisprudenza Consolidata sul Punto

La decisione si inserisce in un solco giurisprudenziale ben definito e consolidato. I giudici hanno richiamato numerose sentenze precedenti che, nel corso degli anni, hanno costantemente affermato il medesimo principio. Tra queste, si evidenzia come la procedura di correzione dell’errore di fatto non sia applicabile alle sentenze in materia di misure di prevenzione, anche perché spesso tali provvedimenti mancano del requisito di “definitività” necessario per l’attivazione dell’art. 625-bis c.p.p.

La Questione di Legittimità Costituzionale

Interessante è il richiamo a una precedente pronuncia (Sez. 1, n. 46433/2017) che aveva già affrontato e respinto una questione di legittimità costituzionale dell’art. 625-bis in riferimento all’art. 3 della Costituzione. In quell’occasione, la Corte aveva chiarito che la differenza di trattamento tra condannato e soggetto sottoposto a misura di prevenzione è pienamente giustificata. La diversità delle rispettive situazioni legittima il legislatore a prevedere strumenti di tutela differenziati, senza che ciò costituisca una violazione del principio di uguaglianza. Tale scelta rientra nella insindacabile discrezionalità del legislatore.

Le motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione di inammissibilità sulla base di tre pilastri argomentativi. In primo luogo, il tenore letterale dell’art. 625-bis c.p.p. riserva il ricorso straordinario al solo “condannato”. In secondo luogo, il sistema processuale prevede già rimedi specifici e distinti, come la revoca, per le sentenze in materia di misure di prevenzione. Infine, la diversità ontologica tra la posizione del condannato e quella del soggetto sottoposto a misura preventiva giustifica costituzionalmente la previsione di tutele processuali differenti. La pronuncia di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, non essendo emersi elementi idonei a escludere la colpa nella proposizione dei ricorsi.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione riafferma con forza un principio procedurale cruciale: il ricorso straordinario è uno strumento a portata limitata, non applicabile al di fuori dei confini tracciati dal legislatore. La decisione serve da monito per gli operatori del diritto, ricordando l’importanza di individuare correttamente il rimedio giuridico appropriato per ogni specifica situazione. La netta distinzione tra il processo penale di cognizione e il procedimento di prevenzione si riflette anche negli strumenti di impugnazione, garantendo coerenza e certezza al sistema giuridico.

È possibile utilizzare il ricorso straordinario per errore di fatto contro una sentenza della Cassazione in materia di misure di prevenzione?
No. L’ordinanza chiarisce che il rimedio del ricorso straordinario previsto dall’art. 625-bis c.p.p. è riservato esclusivamente al ‘condannato’ e non può essere esteso ai destinatari di misure di prevenzione.

Perché la legge prevede un trattamento diverso tra un condannato e un soggetto sottoposto a misura di prevenzione?
Secondo la Corte, la diversità delle situazioni giustifica una tutela differenziata. La posizione del condannato è distinta da quella del soggetto sottoposto a misura di prevenzione, e rientra nella discrezionalità del legislatore prevedere strumenti di tutela diversi, senza che ciò violi il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, data l’assenza di elementi che possano escludere la colpa nella proposizione del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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