Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24088 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24088 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 06/07/1987
avverso la sentenza del 13/12/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ come da requisitoria in atti udito il difensore
L’avvocato COGNOME insiste per l’accoglimento.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza pronunciata il 13.12.2023, n. 32283 24, R.G.N. 32081/2023, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, decidendo sul ricorso proposto, tra gli altri, da COGNOME NOME avverso la sentenza con cui la corte di assise di appello di Napoli, in data 20.1.2023, aveva confermato la sentenza con cui il giudice di primo grado, in data 4.6.2020, aveva condannato il suddetto imputato, oltre a NOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME ed NOME ciascuno alla pena ritenuta di giustizia per i reati di omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME aggravato da premeditazione, dai motivi abietti e dalla circostanza di cui all’art. 416 bis.1., c.p., e di tentato omicidio aggravato come sopra in danno di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; di violazione della disciplina sulle armi per illegale detenzione e porto in luogo pubblico di almeno una pistola cal. 9, arma comune da sparo, rigettava il ricorso del suddetto imputato
Avverso la menzionata sentenza della Suprema Corte il COGNOME con atto a firma dei difensori di fiducia, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME propone ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ex art. 625 bis c.p.p.
2.1. Il ricorrente, in particolare, lamenta l’errore percettivo in cui è caduto il giudice di legittimità nell’affermare che entrambi i giudici di merito, nel valutare il contenuto delle conversazioni intercettate n. 3594 e n. 3595 dell’1.5.2016, poste a carico dell’imputato, abbiano fornito una lettura uniforme delle suddette conversazioni, laddove, mentre la corte d’assise le aveva considerate rivelatrici di una genuina e spontanea ammissione di responsabilità per la strage avvenuta, scolpita nella frase pronunciata da NOME COGNOME nel dolersi con COGNOME NOME dell’esito, non definitivo, dell’agguato, che non aveva raggiunto i principali obiettivi (i COGNOME padre e figlio), utilizzando la prima persona plurale (“sfortunatamente non abbiamo preso il perno principale”), la corte di assise di appello, confrontandosi con una nuova trascrizione della conversazione n. 3595, oggetto di perizia disposta in
appello da parte dell’ing. COGNOME da cui emergeva che anche la COGNOME, al pari dell’COGNOME NOME, aveva in realtà utilizzato la terza persona plurale, aveva concluso nel senso che gli imputati “avessero riferito ad altri la responsabilità della strage commessa per cautelarsi contro un’attività di intercettazione.
Tale conclusione, come denunciato dal ricorrente, era in palese contrasto sia con quanto riferito sul punto dal teste di p.g. COGNOME secondo il quale i colloquianti non avevano mai avuto il sospetto di essere soggetti a monitoraggio captativo, sia con la circostanza che nelle conversazioni antecedenti e immediatamente successive all’agguato del 22 aprile i dialoganti mai avevano manifestato il timore di poter essere intercettati a cose fatte, senza tacere che i dialoghi occorsi nell’abitazione milanese del COGNOME sarebbero stati utilizzati dalla corte territoriale in funzione ascrittiva della penale responsabilità sulla base dell’opposto presupposto della loro genuinità.
Che la Corte di Cassazione abbia deciso sulla base di un’errata percezione del dato di prova in discorso si evince, ad avviso del ricorrente, anche dalla duplice circostanza, alla luce della quale, da un lato, non trova riscontro in atti che, come affermato dal giudice di legittimità, NOME abbia affermato, con riferimento all’agguato, “abbiamo fatto”, venendo subito corretto da NOME, che rettificava in “hanno fatto, hanno fatto”; dall’altro, che del pari non risulta vero che COGNOME NOME abbia detto, sempre nello stesso contesto, “sfortunatamente non abbiamo preso il perno principale”, vale a dire, secondo l’assunto accusatorio, i vertici, padre e figlio, del clan COGNOME, laddove l’imputata, come chiarito dalle trascrizioni effettuate dall’ing. COGNOME, aveva coniugato il verbo alla terza persona plurale, nel senso “sfortunatamente non hanno preso il perno principale”.
Un ulteriore errore di fatto viene denunciato dal ricorrente con riferimento alla valutazione operata dal giudice di legittimità in ordine alla censura difensiva volta a far valere il carattere de relato della frase “quale era il patto, una botta? Ne ho fatte cinque …..adesso che vuoi?”,
riportata da NOME COGNOME ad NOME COGNOME nel contesto delle conversazioni n. 3594 e 3595.
Al riguardo plurimi errori vengono individuati dal ricorrente nell’avere, il giudice di legittimità, ritenuto: 1) che la difesa abbia riproposto la tesi per cui vi fosse un vuoto sonoro di circa un secondo e mezzo tra le due conversazioni, dato emerso invece solo all’esito della perizia dell’ing. COGNOME; 2) che la difesa non abbia indicato il dichiarante diretto, posto che la stessa Corte di Cassazione ha evidenziato come la tesi difensiva fosse quella che l’COGNOME si riferisse agli COGNOME, che avevano esortato i COGNOME ad agire contro i COGNOME; 3) che la difesa lamentasse l’omesso esame da parte della corte di appello del contenuto della conversazione n. 3627 del 2.5.2016, laddove la censura difensiva era volta, piuttosto, a contestare che la corte territoriale aveva omesso di confrontare tale dato con i contenuti degli SMS in atti, attestanti in maniera chiara l’altrui responsabilità per la strage sub iudice, e della conversazione n. 3595, operando, in definitiva, una valutazione atomistica della conversazione n. 3627, che, letta unitamente alla precedente conversazione, rende, invece, evidente che l’COGNOME stava riferendo a COGNOME di circostanze riferitegli da altri.
Il ricorrente lamenta, altresì, l’errore percettivo in cui è caduto il giudice di legittimità nel valutare il contenuto della conversazione intercettata n. 639, indicata come quella in cui COGNOME e COGNOME avrebbero discusso in dettaglio del percorso che i sicari incaricati dell’azione punitiva nei confronti del clan COGNOME avrebbero dovuto seguire per accedere all’interno del quartiere delle “INDIRIZZO“, senza rilevare che i percorsi descritti dai colloquianti risultavano sovrapponibili solo nella prima parte , per poi diramarsi in due distinte direzioni del centro cittadino, senza che nessuno di tali percorsi intersecasse il luogo della strage del 22 aprile 2016, ossia INDIRIZZO, quartiere generale della famiglia COGNOME. Il luogo da cui i sicari avrebbero dovuto muovere nel tentativo di guadagnare la fuga era individuato, nel corso della conversazione, in INDIRIZZO, ben distante dalla Fontanelle, ma vicino al garage dei fratelli COGNOME. Si tratta, rileva il
ricorrente, di una censura non scrutinata dalla Suprema Corte, che riveste carattere decisivo, anche in ragione dell’ulteriore errore percettivo commesso dalla Corte di Cassazione nell’affermare che il garage richiamato nel corso della menzionata conversazione dai colloquianti doveva intendersi indicato come base logistica e non già quale obiettivo da colpire
Ultimo errore percettivo viene individuato nel fatto che le circostanze attenuanti generiche sono state negate all’COGNOME sul presupposto che egli fosse gravato da plurimi precedenti penali, anche specifici, laddove il ricorrente, al pari dei coimputati COGNOME e COGNOME ai quali sono state riconosciute, è incensurato, come specificamente evidenziato in ricorso.
Con motivi nuovi il ricorrente denuncia un ulteriore errore percettivo.
Invero, a pag. 31 della sentenza della Corte di Cassazione si legge “…ancora, tre giorni prima dell’agguato, COGNOME aveva informato la madre che ‘ieri sera gli ho mandato le pistole’ e la COGNOME aveva ribattuto: ‘mamma mia e quando è?’.
Appare evidente la svista laddove le frasi riportate dal Supremo Collegio risultano espunte dal decreto di fermo emesso in data 08.05.2016, dal pubblico ministero, a pag. 22 del quale si legge, in relazione al Progr.3154 del 19.04.2016 ore 09.29.16:
NOME: ‘ieri sera è…incomp…gli ho mandato anche le pistole…’ NOME: ‘mamma mia…e quando è?’
Ebbene, le parole riportate in sentenza, recepite dai brogliacci della polizia giudiziaria, risultano, in realtà, del tutto inesistenti nella trascrizione effettuata dal perito incaricato dalla Corte di Assise di Napoli, dott. NOME COGNOME in cui si legge NOME: ‘lui ieri sera…’
NOME ‘ooh! Mamma mia! E quanto è? Dai!’
NOME: ‘ieri sera gli ho mandato …gli ho mandato pure le (bisbiglia inc.)’
NOME: ‘eh!’
Con requisitoria scritta, da valere come memoria, essendo stata chiesta nelle more la discussione in forma orale, il sostituto procuratore
generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il proposto ricorso è inammissibile per le seguenti ragioni.
5. Come è noto l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625bis, c.p.p., quali motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di Cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali. (cfr. Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193).
In tale decisione la Suprema Corte ha escluso costituisse errore di fatto denunciabile mediante ricorso straordinario quello in cui la stessa Corte sarebbe incorsa nell’interpretare le dichiarazioni testimoniali e l’illogicità della motivazione sul ruolo dell’imputato in un omicidio, come quello di colui che aveva fornito l’arma all’esecutore materiale.
In tema di ricorso straordinario, pertanto, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Rv. 263686)
Deve, di conseguenza, ritenersi inammissibile il ricorso straordinario, proposto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., che abbia in maniera preponderante il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria, non essendo in tal caso la Cassazione tenuta a verificare se siano stati proposti, tra gli altri, anche motivi compatibili con l’impugnazione straordinaria, in quanto l’atto deve ritenersi
radicalmente irricevibile (cfr. Sez. 6, n. 36066 del 28/06/2018, Rv. 273779).
Va, inoltre, ribadito un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, l’omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis, c.p.p., allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato; in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola di cui all’art.173, disp. att., c.p.p., decisiva e che il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (cfr. Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Rv. 268982; Sez. 5, n. 26271 del 26/05/2023, Rv. 284697).
Orbene, alla luce di tali princìpi, risulta in tutta evidenza l’inammissibilità del ricorso di cui si discute. Con esso, infatti, il ricorrente: 1) non indica, se non in maniera del tutto generica, in che termini le omissioni e gli errori denunciati debbano ritenersi decisivi, nel senso che, ove non fossero stati commessi, avrebbero condotto ad una decisione incontrovertibilmente diversa da quella adottata nei suoi confronti (cfr. Sez. 4, n. 13525 del 21/01/2020, Rv. 279004); 2) deduce, in realtà, altrettanto genericamente, errori di valutazione e di giudizio ascritti al giudice di legittimità; 3) non si confronta con l’articolato percorso argomentativo, seguito dal collegio giudicante, risultando preponderante negli articolati ricorsi il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria.
Ciò vale anche per la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte di Cassazione
dichiarato inammissibile sul punto il ricorso del COGNOME rilevando come la corte territoriale abbia congruamente motivato in ordine all’evidente
mancanza di meritevolezza delle invocate circostanze attenuanti generiche da parte del ricorrente, alla luce di tutti i criteri oggettivi e
soggettivi indicati nell’art. 133, c.p. (cfr. p. 25 della sentenza del giudice di legittimità).
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, segue, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente
inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate
ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del
13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 20.3.2025.