Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9575 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9575 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 06/07/1971 avverso la sentenza n. 17066/2024 del 21/12/2023 della Corte di Cassazione; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, l’avvocato NOME COGNOME che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME NOME è stato condannato all’ergastolo con sentenza n. 44/21 emessa in data 20/12/2021 dalla Corte di Assise di Napoli, confermata dalla sentenza n.08/2023 emessa in data 16/2/2022 dalla Corte di Assise di Appello di Napoli, divenuta definitiva il 21/12/2023, allorché questa Corte ha rigettato, con sentenza n. 17066/2024, i ricorsi proposti dai suoi difensori.
L’imputato è stato ritenuto responsabile dell’omicidio, avvenuto a Napoli il 29/6/2002, di COGNOME NOME, vittima di 19 colpi appartenenti a due pistole di grosso calibro, aggravato dalla premeditazione, dal metodo mafioso e dalle finalità agevolatrici del clan camorristico “COGNOME“.
COGNOME tramite il suo difensore, avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., avverso la dett sentenza n. 17066/2024 emessa da questa Corte, assumendo che sia affetta da errori di fatto percettivi decisivi nella lettura degli atti.
2.1. Il ricorrente inizialmente elenca gli errori di fatto supposti, che sarebbero insiti:
nell’esame delle deposizioni di COGNOME NOME e del COGNOME NOME;
nel non aver aderito a quanto acclarato, in modo irrevocabile, in altro processo a carico degli assunti correi del COGNOME, Silenzio NOME e NOME;
nell’omessa valutazione della deposizione del collaboratore di giustizia COGNOME Claudio;
nella “omessa valutazione delle dichiarazioni rese ex. art. 195 c.p.p. dal NOME NOME“, “con riferimento alla testimonianza de relato esperita dal COGNOME NOME“;
nella “omessa valutazione delle deposizioni rese dai testi di PG COGNOME e COGNOME“;
nella “omessa/erronea valutazione della deposizione del COGNOME COGNOME“.
Il ricorso, poi, tratta analiticamente i detti errori.
2.2. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che prova principale valorizzata dai giudici di merito fosse la deposizione di COGNOME NOME, suffragata da quelle del marito, COGNOME NOME, e di COGNOME NOME.
Per contro, per parte ricorrente la sentenza d’appello aveva ritenuto, quale principale prova a carico, le parole del collaboratore di giustizia COGNOME NOME e, quali elementi di contorno, tutte le ulteriori acquisizioni istruttorie (tra c deposizioni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, l’intercettazione tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, le pronunzie attestanti l’esistenza del clan COGNOME, le dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia).
Tale errore percettivo, secondo parte ricorrente, aveva portato la Suprema Corte ad invertire l’ordine logico dell’analisi probatoria.
2.3. La Cassazione, si assume da parte ricorrente, avrebbe omesso di valutare correttamente la sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di Assise d’Appello di Napoli (n. 39/22 del 21/4/2022), che aveva assolto Silenzio NOME e NOME NOME per la medesima accusa.
La sentenza qui impugnata aveva ritenuto ineccepibile quella d’appello laddove aveva concluso che le persone in moto nella zona dell’omicidio fossero
armate e, in generale, per il coinvolgimento nell’omicidio del COGNOME, in quanto:
in tal senso militava la conversazione telefonica tra COGNOME e COGNOME, avvenuta in epoca prossima ai fatti (COGNOME: “c’è NOME e tutti questi qua sopra le motociclette con le cose in mano”; COGNOME: “NOME non parlare per telefono”);
non era credibile NOME (che aveva smentito quanto inizialmente detto nel corso delle indagini, ossia di aver visto le persone in moto armate) perché altrimenti non vi sarebbe stato motivo di allarmarsi tanto da telefonare subito al fratello, NOME e da uscire in piena notte per avvisare il COGNOME e mettere entrambi in guardia su quanto visto;
credibili erano le parole di COGNOME NOME, sia perché aveva detto di aver saputo del coinvolgimento del COGNOME proprio da questi, oltre che da COGNOME NOME e COGNOME COGNOME (il quale ultimo gli aveva pure confidato i propositi di vendetta di uno dei fratelli della vittima COGNOME NOME, e dell’omicidio di un altro fratello, COGNOME NOME, nel 2004), sia perché confermate da quelle dell’altro collaboratore di giustizia, COGNOME NOME (secondo il quale il COGNOME – braccio destro di NOME NOME e dedito agli omicidi per conto del clan COGNOME, tanto che NOME NOME, figlio di NOME NOME, temeva potesse collaborare con la giustizia e rovinare il padre – si era rifugiato in Spagna per evitare il suo coinvolgimento nella guerra in atto tra i clan COGNOME e Altamura, appartenendo a quest’ultimo i fratelli COGNOME).
Tuttavia, per parte ricorrente la sentenza impugnata si era, così, posta in contrasto con quella assolutoria irrevocabile emessa nei riguardi degli assunti correi del COGNOME, Silenzio NOME e NOME NOME, senza “alcuna valutazione” in merito al detto accertamento assolutorio, limitandosi a citare giurisprudenza sulla libertà di giudizio garantita al giudice, in simili casi.
La stessa non aveva, dunque, considerato che per la menzionata sentenza assolutoria i soggetti in moto non erano armati, né che (come si legge nella parte che viene riportata a p. 18 del ricorso in esame) “NOME COGNOME e NOME COGNOME (intercettati al momento del delitto) e COGNOME NOME“, testi le c dichiarazioni erano state valorizzate sia dai giudici di merito che nella sentenza qui impugnata, non sapevano “nulla dell’omicidio in questione”.
In particolare, nonostante la telefonata tra COGNOME NOME e COGNOME NOME fosse successiva all’arrivo in ospedale della vittima, la detta sentenza assolutoria aveva rilevato come nessun riferimento all’uccisione o ai colpi d’arma da fuoco fosse stato fatto dai soggetti intercettati (pagine 22, 38 e 58 ricorso in
esame).
La sentenza confermativa della condanna del COGNOME sarebbe incorsa anche in un errore di diritto, per non aver rilevato che non avrebbe potuto ricostruirsi un fatto in modo diverso da quanto acclarato in una sentenza irrevocabile.
2.3. Ulteriore errore denunciato dal ricorrente (alle pagine 28 e seguenti) sarebbe insito nel fatto che la sentenza impugnata non aveva «valutato complessivamente il motivo 4.9» dell’originario ricorso in Cassazione e tanto perché – a dire della medesima sentenza impugnata -alla dodicesima riga di pag. 111 del ricorso originario proposto dall’avv. COGNOME era stato erroneamente scritto, nel riportare la sentenza d’appello, che «COGNOME e i suoi complici attraversarono INDIRIZZO poche ore prima dell’uccisione del COGNOME», laddove, per contro, in essa si leggeva: «attraversarono il INDIRIZZO poco prima dell’uccisione del COGNOME».
Tuttavia, la Corte di legittimità non aveva, in tal modo, considerato che, in altra parte del ricorso originario dell’avv. COGNOME, precisamente a pag. 99, la medesima frase era stata riportata in modo corretto (con le parole: «poco prima»).
A causa di tale errore, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che COGNOME NOME aveva detto di aver visto le moto e di aver chiamato per telefono il fratello, COGNOME NOME, per metterlo in guardia, intorno alle ore 22.00, e dunque circa due ore prima dell’omicidio, e che solo in un secondo momento si era recata da COGNOME NOME, per la stessa ragione, col marito, COGNOME Pasquale (il quale aveva collocato tale ultimo episodio alle ore 23.30).
E, sempre in ragione della detta svista, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto delle contestazioni mosse a COGNOME COGNOME, all’udienza del 13/7/2021, dal Pubblico Ministero, in relazione a quanto da costui affermato nel corso delle indagini preliminari e, in particolare, che lo stesso avesse “visto quattro ore prima COGNOME che girava a San Giovanni a bordo di un ciclomotore”.
2.4. La sentenza impugnata sarebbe incorsa in un ulteriore errore di fatto, laddove aveva rilevato che la diversa collocazione, da parte di COGNOME NOME (che aveva detto di aver accompagnato la moglie COGNOME NOME a casa del COGNOME), dell’orario di avvistamento delle moto (a suo dire, alle 23,30), rispetto a quello indicato dalla moglie, fosse dovuta al “clima di intimidazione creato dal clan COGNOME“, per come “spiegato in modo plausibile” dai giudici di merito, a pag. 29 della sentenza d’appello.
In realtà, per parte ricorrente il COGNOME non aveva affermato di aver visto le moto alle ore 23.30, bensì che a quell’ora, con la moglie, era andato dal COGNOME. Inoltre, nel ritenere che la sentenza d’appello avesse congruamente
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giustificato le divergenze (circa l’orario di avvistamento del gruppo in moto ed il fatto che esso fosse armato) emerse nelle deposizioni, attribuendole al clima intimidatorio narrato dal COGNOME (che aveva parlato delle pressioni sul COGNOME affinché modificasse le dichiarazioni che aveva reso nel corso delle indagini), la sentenza impugnata avrebbe commesso l’ulteriore errore di «non considerare i fatti/prova acclarati nella sentenza irrevocabile a carico di COGNOME NOME e Silenzio NOME» e, in particolare, che «i soggetti sulle moto non fossero armati» e che non vi fossero riscontri sufficienti alle dichiarazioni dei collaborator di giustizia (pagine 53 e 54 ricorso).
Tanto anche in violazione dell’art. 238-bis cod. proc. pen., avendo la detta sentenza assolutoria irrevocabile così statuito: COGNOME, COGNOME e COGNOME avevano riferito «la presenza nella zona di propria residenza del gruppo Silenzio, la notte dell’omicidio», «in tempi coevi all’omicidio» stesso, «in sicuro possesso di motociclette ma senza che siano stati visti armati».
2.5. Ulteriore errore di fatto sarebbe consistito, secondo parte ricorrente, nell’avere, la sentenza qui impugnata, considerato irrevocabile quella d’appello relativa all’omicidio del fratello della vittima di questo processo, ovvero d COGNOME NOME, avvenuto 18/3/2004: per il quale, invece, la sentenza d’appello di condanna di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Alessandro era stata annullata da questa Corte.
Tutto il ragionamento basato su tale dato (ovvero che l’omicidio di COGNOME NOME fosse stato deciso perché questi voleva vendicare la morte del fratello e continuava a spacciare droga senza pagare alcunché al clan COGNOME), dunque, era frutto di tale fraintendimento.
2.6. Ennesimo errore sarebbe stato commesso, dalla sentenza qui impugnata, nel mancato esame del motivo n. 4.3 del ricorso originario a firma dell’avv. NOME COGNOME e, in particolare, nel non aver tenuto conto delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, COGNOME COGNOME
Questi aveva detto di aver conosciuto a San Giovanni a Teduccio, e non in Spagna, il Battaglia, smentendolo. E non aveva, invece, detto nulla dell’incontro con costui in Spagna, nonostante ciò dovesse essergli rimasto impresso, per la peculiarità della vicenda (incontro all’estero con esponente di spicco del clan).
In modo incongruo sarebbe stato valorizzato, per parte ricorrente, che sul punto non fosse stata posta alcuna domanda all’COGNOME, in quanto, per la sua rilevanza, tale episodio avrebbe dovuto comunque esser narrato dall’COGNOME.
Ne discenderebbe, per il ricorso in esame, l’inattendibilità del Battaglia e, dunque, delle sue affermazioni secondo cui il COGNOME gli aveva detto, allorché i due erano in Spagna, di essersi allontanato da casa per paura di ritorsioni in
relazione all’omicidio di COGNOME NOME.
Circostanza, peraltro, anch’essa mai evidenziata dall’COGNOME e che sarebbe smentita pure dai testi di P.COGNOME, COGNOME e COGNOME, come evidenziato alle pag. 51-53 e al paragrafo 4.2. del ricorso originario (riportato, poi, per intero, al pagine 85-90 dell’odierno ricorso), in quanto dalla nota informativa del 28/9/2022, relativa all’arresto in Spagna, il 9/12/2003, del Battaglia non emergeva “la contestuale presenza dell’COGNOME NOME e del COGNOME NOME con il Cdg COGNOME, nonché la riferibilità dell’immobile occupato dal COGNOME al COGNOME Giovanni”, evidenziandosi, invece, “la presenza di altri due soggetti, nel momento dell’arresto del Cdg COGNOME, non menzionati dal collaborante in sede di istruttoria dibattimentale” (pp. 90-91 del ricorso in esame).
2.7. Infine, erroneamente, per parte ricorrente, la sentenza impugnata aveva valorizzato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME
Questi aveva riferito che il COGNOME fosse braccio destro di NOME e dedito agli omicidi per conto del clan COGNOME, tanto che NOME NOME, figlio di NOME, dopo l’arresto di quest’ultimo, gli aveva detto che lo stesso COGNOME aveva partecipato all’omicidio di COGNOME NOME e che temeva che, se fosse stato arrestato, lo stesso avrebbe potuto collaborare e così rovinare il padre. Sempre secondo il COGNOME, per questo il COGNOME si era rifugiato in Spagna, essendo in atto una guerra tra il clan COGNOME e il clan degli COGNOME, di cui facevano parte i fratelli COGNOME.
Nel riportare le dichiarazioni del COGNOME, tuttavia, la sentenza qui impugnata non aveva valutato «le espresse deduzioni formulate in merito alle dichiarazioni del teste di riferimento Silenzio NOME ripotate al motivo n. 4.6 pagine 69-70 del ricorso» a firma dell’avv. NOME COGNOME: motivo di ricorso 4.6 riportato, poi, integralmente, alle pagine 65-83 del ricorso in esame (senza altra specifica indicazione).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco, incidenti sugli atti interni giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello
effettivo.
L’errore di fatto deve determinare, con immediata consequenzialità, una decisione che sia manifestamente errata: trasmodando, altrimenti, in un errore di giudizio. Deve trattarsi, cioè, di una decisione «incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata» se non fosse stato commesso, secondo un «rapporto di derivazione causale necessaria», privo di profili valutativi (così Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Rv. 268982-01, in motivazione; confronta, negli stessi termini, Sez. 4, n. 34156 del 21/06/2004, Rv. 229099-01).
Sono, insomma, estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione, ove pure asseritannente dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, che sono da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significa delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193-01; Sez. 5, n. 14058 del 04/04/2024, Rv. 286330-01, in motivazione).
Dunque, «qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una rappresentazione percettiva errata e la decisione censurata abbia invece contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.» (così Sez. 2, n. 29450 del 08/05/2018, Rv. 273060-01, in motivazione, e la giurisprudenza ivi richiamata: Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686-01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME Rv. 250527-01; Sez. 5, n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, Misuraca, Rv. 259531-01).
Neppure il travisamento della prova o, ancor meno, quello del fatto possono essere oggetto di ricorso straordinario.
Invero, tale doglianza implicherebbe un’errata valutazione di un dato di fatto la cui «deducibilità è sottoposta ad una rigorosa valutazione dei presupposti di ammissibilità (dovere di allegazione della prova che sia assume travisata, novità o persistenza del travisamento in caso di doppia conforme) che, all’evidenza, implicano una attività valutativa non sindacabile con il ricorso straordinario» (ancora Sez. 2, n. 29450 del 08/05/2018, Rv. 273060-01, in motivazione; così pure: Sez. 3, n. 11172 del 15/12/2023, dep. 2024, Rv. 286048-01 e Sez. 3, n. 26635 del 26/04/2013, Rv. 256293-01).
In estrema sintesi, «sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle form
e nei limiti delle impugnazioni ordinarie» (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01; confronta, negli stessi termini: Sez. 2, n. 29450 del 08/05/2018, Rv. 273060-01»).
Per contro, è stato ritenuto esser deducibile, attraverso il ricorso straordinario, l’errore di fatto compiuto dalla Corte di cassazione e consistito nel mancato rilievo della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza al difensore in precedenza revocato dall’imputato, anziché a quello nominato in sua vece (Sez. 5, n. 40275 del 16/05/2014, Rv. 262548-01), come pure l’esame di un motivo di ricorso estraneo a quelli proposti e l’omessa integrale trattazione di uno invece proposto (si veda, in tal senso, ad esempio, Sez. 2, Sentenza n. 8071 del 5/12/2017, dep. 2018, non massimata): sempre che tratti, come anzidetto, di errori di fatto decisivi, nel senso che abbiano condotto ad una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se non vi fossero stati, senza margini valutativi, dunque (Sez. 4, n. 13525 del 21/01/2020, Rv. 279004-01; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Rv. 268982-01).
Nel caso di specie il ricorrente, in contrasto con tali indicazioni ermeneutiche, chiede una mera rivalutazione delle prove, che sarebbe stata già, per vero, di dubbia ammissibilità in origine, e lo è ancor meno nella presente sede.
Infatti, si portano espressamente all’attenzione di questa Corte esattamente gli stessi argomenti già prospettati in occasione del ricorso originario, non solo oggetto di decisione contraria, ma, per giunta, niente affatto trascurati dalla Suprema Corte, come pure sarebbe stato ben possibile: non occorrendo una valutazione specifica di quegli argomenti da ritenere semplicemente disattesi perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione (si vedano in tal senso, ad esempio: Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, Rv. 28555301; Sez. 3, n. 27622 del 26/04/2023, Rv. 284804-01; Sez. 3, n. 26635 del 26/04/2013, Rv. 256293-01, in motivazione).
Invero, parte ricorrente mette in discussione, in questa sede, nuovamente l’orario di passaggio delle moto nella zona dell’omicidio in prossimità del suo accadimento e il possesso di armi da parte di chi era su di esse: e tanto fa valorizzando dati istruttori non certo oggettivi, mal percepiti o semplicemente trascurati, bensì motivatamente disattesi dal giudice del merito, con un percorso logico ritenuto congruo ed immune da vizi dalla sentenza impugnata.
Nel ricorso in esame si mira a far dichiarare inattendibili elementi probatori (dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e di testimoni, nonché intercettazioni) ritenuti, per converso, solidi, credibili e, dunque, probanti in sede di merito, con valutazione che è stata, a sua volta, giudicata come priva di vizi di sorta dalla
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Corte di Cassazione: e tanto si sostiene sulla base di altri dati che, solo a seguito di (ulteriore) ponderata valutazione (di merito) sarebbero (secondo l’assunto di parte ricorrente) maggiormente credibili.
Insomma, i temi prospettati sono stati tutti esaustivamente affrontati dalla sentenza impugnata o comunque motivatamente disattesi.
E le uniche effettive (e davvero marginali, nel contesto della motivazione) ipotetiche aporie – sull’erronea supposizione del passaggio in giudicato di una sentenza (quella, peraltro, inerente il diverso omicidio di COGNOME NOME) e sulla (assunta) non centralità delle parole del COGNOME, a differenza di quanto emergente nella sentenza d’appello (per quanto la sentenza qui impugnata, a pagina 14, rilevi proprio la decisività del Battaglia: «la posizione dell’imputato è stata legittimamente valutata in modo differente da quelle giudicate con sentenza definitiva con riguardo agli altri complici dello stesso delitto, per i quali le pro erano solo in parte le stesse, soprattutto perché Battaglia aveva udito proprio dall’imputato la diretta confessione stragiudiziale dell’omicidio, oltre ad essere destinatario delle confidenze di COGNOME sulla partecipazione del COGNOME all’esecuzione del delitto») – non sono in alcun modo decisive, in modo incontrovertibile, diretto ed immediato, nel senso voluto da parte ricorrente: esse, infatti, sollecitano necessariamente un processo eminentemente valutativo precluso in questa sede.
Per il resto, la sentenza di legittimità impugnata tratta, tra l’altro, e anche in modo sin troppo dovizioso:
della sentenza assolutoria, nei riguardi di NOME NOME e NOME NOME, alle pagine 22 (dal 31° rigo) e seguenti, come, per giunta, si ammette nello stesso ricorso in esame (in cui si richiamano la conversazione telefonica in cui il COGNOME dice all’Improta: «c’è NOME e tutti questi qua sopra le motociclette con le cose in mano»; l’allarmata condotta di COGNOME NOME, che rendeva non credibile la sua ultima versione sull’essersi inventata di aver visto persone armate; le plurime fonti di conoscenza, citate da COGNOME NOME; le concordi dichiarazioni dell’altro collaboratore di giustizia, COGNOME NOME);
dell’orario in cui la COGNOME aveva detto di aver visto il gruppo in moto e, in generale, dell’ora di accadimento di tale fatto, alle pagine 16 (dal 34° rigo) e 21 (dal 1° rigo) e seguenti;
dell’orario in cui COGNOME Pasquale aveva asserito di aver accompagnato la moglie a casa di COGNOME, sempre a pagina 21;
delle dichiarazioni rese da altri collaboratori di giustizia, tra cui COGNOME ClaudioCOGNOME e del perché fosse stata ritenuta, nonostante esse, corretta la
sentenza d’appello, a pagina 25;
delle dichiarazioni confermative dell’accusa rese dal collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME alle pagine 14, 17 e, soprattutto, 21 (dal 26° rigo) e seguenti, corroboranti la credibilità del Battaglia (così superando, in modo chiaro, tutti gli argomenti non oggettivamente decisivi di segno apparentemente – opposto, ivi incluse quelli basati sulle deposizioni dei testi di P.COGNOME, COGNOME e COGNOME, e di COGNOME).
Inoltre, a pagina 23 (dal 18° rigo in poi) la sentenza qui impugnata tratta anche dell’ipotizzata violazione dell’art. 238-bis cod. proc. pen., in relazione alla sentenza assolutoria emessa nei riguardi di NOME NOME e NOME NOMECOGNOME menzionando, correttamente, principi di diritto, oltre che non censurabili (per quanto detto) in questa sede, ove pure fossero stati scorretti, per giunta assolutamente pacifici nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015, dep. 2016, Rv. 266338-01; Sez. 4, n. 10103 del 01/02/2023, Rv. 284130-01; Sez. 2, n. 52589 del 06/07/2018, Rv. 275517-01).
In estrema sintesi, il ricorso de quo, in quanto manifestamente volto a sollecitare una rinnovata valutazione di difese già oggetto dell’originario ricorso, in modo del tutto eccentrico rispetto agli errori materiali o di fatto teoricamente prospettabili in sede di ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria, a favore della cassa delle ammende, nella misura in dispositivo, congrua in rapporto alle ragioni dell’inammissibilità ed all’attivit processuale che la stessa ha determinato, valutata la colpa nella determinazione della stessa causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 23/01/2025