Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26540 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26540 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposto da COGNOME NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 16/11/2023 della Corte di cassazione; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito il difensore, AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 novembre 2023, la Corte di cassazione, sez. 4, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto nell’interesse di NOME e NOME avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce del 28 ottobre 2022, la
quale ha applicato la pena concordata in appello dalle parti, per reati in materia di stupefacenti.
2. Avverso la sentenza della Corte di cassazione, gli interessati hanno proposto, tramite difensore e con unico atto, ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. pen., lamentando, con un unico motivo di doglianza, la nullità della sentenza impugnata per errore di fatto, conseguente alla errata percezione della situazione fattuale connotante la vicenda processuale in esame, così come rappresentata e documentata negli atti di impugnazione.
In primo luogo, i ricorrenti lamentano l’errore percettivo consistente, a loro avviso, nell’avere ritenuto pacifica l’esistenza di procura speciale – conferita dagli imputati ai difensori, che abilitava questi ultimi a formulare istanze di concordato anche con rinuncia ai motivi di appello – la quale, all’opposto, sarebbe inesistente nel caso di specie, non potendosi ritenere rilevante, a tal fine, la circostanza che la procura contenesse comunque un generico mandato a rinunciare a qualsiasi impugnazione di cui all’art. 589 cod. proc. pen., trattandosi di contenuto diverso e non inquadrabile nel contesto della definizione concordata del giudizio prevista dall’art. 599-bis cod. proc. pen.
La Corte di cassazione, peraltro, avrebbe omesso di considerare che la tardività della notificazione agli imputati del decreto di citazione per l’udienza di appello, effettuata mediante notifica ai difensori ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., nella stessa mattina in cui si sarebbe celebrata l’udienza, avrebbe reso impossibile ai ricorrenti di presenziare all’udienza – non avendo essi la possibilità materiale di conoscere data e luogo del processo – nonché ai difensori di sollevare la relativa eccezione. Sul punto, secondo la difesa, non è conferente il riferimento operato in sentenza all’art. 23-bis, comma 4, del d.l. n. 137 del 2020 – giacché la richiesta cui tale norma fa riferimento presuppone che l’imputato abbia già ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio – né è condivisibile l’affermazione della Corte di legittimità, la quale – statuendo che la notificazione del decreto di citazione la stessa mattina in cui si sarebbe celebrata l’udienza non sarebbe stata preclusiva della possibilità di eccepire la relativa nullità nelle conclusioni scritte – avrebbe omesso di considerare che, nella specie non si sarebbe trattato di procedimento cartolare e che le conclusioni scritte avrebbero dovuto proporsi 15 giorni prima dell’udienza, ovverosia in una data in cui ai difensori non era ancora pervenuta la relativa notificazione. La Corte di cassazione avrebbe inoltre errato nel ritenere che si trattasse della violazione di un termine apprezzabile sin dal diciannovesimo giorno prima dell’udienza: i difensori, infatti, non avrebbero avuto la possibilità materiale di rilevare la nullità in esame prima
della deliberazione della sentenza; di talché i giudici di legittimità avrebbero dovuto cogliere d’ufficio la relativa nullità, non sanata né sanabile.
Sempre nella prospettazione difensiva, un ulteriore errore di fatto della sentenza impugnata deriva, infine, dalla circostanza che il Collegio ha affermato che i difensori non avessero allegato, con la dovuta specificità, la ragione per la quale il giudizio immediato avrebbe dovuto essere preceduto da un nuovo interrogatorio degli imputati. Non si sarebbe considerato, in particolare, che – al contrario di quanto erroneamente sostenuto dal provvedimento impugnato – a pag. 7 dei motivi di ricorso, i difensori avrebbero specificamente dato conto dell’intervenuta modifica dell’imputazione; circostanza peraltro corroborata da una sentenza della Sesta Sezione penale della Corte di cassazione la quale, nell’ambito del medesimo procedimento, aveva annullato senza rinvio l’ordinanza custodiale proprio per l’omesso interrogatorio a seguito della modifica dell’imputazione.
L’avere dunque ritenuto non provata tale intervenuta modifica ed il conseguente mancato interrogatorio – dal quale sarebbe derivata l’illegittimità del ricorso al giudizio immediato – rappresenterebbe, a parere dei ricorrenti, un vero e proprio errore di fatto poiché la situazione espressamente indicata dai difensori nei motivi di ricorso sarebbe cristallizzata, oltre che nel fascicolo processuale, anche nella sentenza della Corte di appello, ed in ogni caso statuita dalla sentenza della Sesta Sezione della Corte di cassazione, la quale, ancorché non specificamente allegata, avrebbe potuto essere facilmente consultata dai giudici della medesima Corte di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è inammissibile, in quanto non proposta ai fini della correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nella sentenza, e dunque avanzata al di fuori dei limiti previsti dall’art. 625-bis cod. proc. pen.
In linea AVV_NOTAIO, giova preliminarmente ricordare che l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibil r:corso straordinario avverso provvedimenti della Corte di Cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto vie percepito in modo difforme da quello effettivo; ne deriva che rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – restando quindi fermo, con riguardo ad essi, il principio di inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta
ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (ex plurimis, Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193; Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 23/01/2017, Rv. 268953).
Ebbene, nel caso di specie, i ricorrenti hanno inteso riproporre in questa sede, in primo luogo, la già denunciata assenza di mandato a concordare sulla rinuncia ai motivi di appello ed il conseguente esercizio di un potere in realtà non conferito con la procura speciale, lamentando tuttavia l’esistenza di un presunto equivoco che, preteso come errore di fatto dagli imputati, deve più correttamente qualificarsi come ipotetico vizio di valutazione della procura speciale dei difensori, come tale precluso al sindacato di legittimità ex art. 625-bis cod. proc. pen. La difesa, del resto, si limita a proporre una mera rivalutazione alternativa della procura speciale allegata al ricorso, la quale, non solo finisce per tradursi in una prospettazione puramente fattuale ancorata ad argomentazioni peraltro del tutto generiche – le quali, invero, non chiariscono, nemmeno in sede di ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. pen., le ragioni per le quali il riferimento, pu espressamente contenuto nella procura speciale, al generico mandato a rinunciare a qualsivoglia impugnazione, ai sensi dell’art. 589 cod. proc. pen., non sarebbe onnicomprensivo del mandato a rinunciare ai motivi di appello – ma appare introdotta in questa sede attraverso la riproposizione delle medesime doglianze sollevate con i motivi aggiunti all’originario ricorso per cassazione; censure alle quali la Corte di legittimità ha già adeguatamente dato risposta con la sentenza impugnata, allorché essa, a pag. 5 del provvedimento gravato, ha correttamente ritenuto la procura speciale allegata al ricorso indicativa della conoscenza dell’udienza da parte degli imputati, con conseguente sanatoria della nullità non tempestivamente eccepita ed inammissibilità del connesso motivo di impugnazione giacché dedotto per la prima volta in fase di legittimità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Anche con riferimento all’asserita tardività della notificazione all’imputato del decreto di citazione per l’udienza di appello, risultano superati dai ricorrenti i confini applicativi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. Censurando l’impossibilità per gli imputati di presenziare all’udienza e per i difensori di sollevare t2mpestivamente la relativa eccezione, derivante dalla effettuazione della notificazione all’imputato, mediante notifica ai difensori ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., nella stessa mattina in cui si sarebbe celebrata l’udienza, i ricorrenti ripropongono, ancora una volta, una questione già specificamente affrontata dalla Corte di cassazione, la quale, alle pagg. 4-5 della sentenza impugnata, ha correttamente fondato la declaratoria di inammissibilità del relativo motivo di ricorso su molteplici circostanze – quali la presenza del difensore in udienza, unitamente alla pacifica esistenza della valida procura speciale conferitagli ed alla mancata deduzione del vizio nelle conclusioni scritte –
evidentemente univoche nel senso della intervenuta sanatoria della nullità dedotta.
Quanto, infine, alla censura relativa all’errore in cui i giudici di legittimi sarebbero incorsi nell’affermare che i difensori non avrebbero allegato con la dovuta specificità la ragione per la quale il giudizio immediato avrebbe dovuto essere preceduto da un nuovo interrogatorio degli imputati, astenendosi tuttavia dal considerare che costoro avrebbero specificamente dato conto dell’intervenuta modifica dell’imputazione – peraltro confermata anche da una sentenza della Sesta Sezione penale della Corte di cassazione la quale, nell’ambito del medesimo procedimento, aveva annullato senza rinvio l’ordinanza custodiale proprio per l’omesso interrogatorio a seguito della modifica dell’imputazione – ritiene il Collegio trattarsi di una doglianza, non solo infondata in diritto, ma anche del tutto generica. La Quarta Sezione della Corte di cassazione ha, infatti, correttamente rilevato la non specificità delle argomentazioni spese dai ricorrenti nell’originario atto di ricorso, il quale, per superare il vaglio di ammissibilità del giudizio d legittimità, avrebbe dovuto dare adeguatamente conto della misura in cui la modificazione del luogo e della data del reato contestato avrebbero potuto comportare una rilevante modificazione dei fatti di causa, violativa, in quanto tale, del diritto di difesa dei ricorrenti medesimi. Specificità che, invece, come correttamente rilevato dal provvedimento impugnato, appare del tutto assente nel primo atto di ricorso, il quale offre una ricostruzione del tutto generica riproposta ora anche in sede di ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. Né alcun rilievo può, infine, riconoscersi alla pronuncia della Sesta Sezione di questa Corte, richiamata dalla difesa e dalla medesima non allegata, per sua stessa ammissione di fronte alla Corte di cassazione. In capo ai giudici di legittimità, infatti, non sussiste alcun dovere di controllo d’ufficio su provvedimenti che non siano stati allegati dalle parti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce di tali considerazioni, ritiene il Collegio che la sentenza della Corte di cassazione n. 29206 del 30/06/2021 abbia correttamente esaminato le censure difensive; censure che, anche a prescindere da ciò, si collocano al di fuori del perimetro segnato dall’art. 625-bis cod. proc. pen., giacché afferenti ad errori attinenti non a un’errata percezione della situazione fattuale, ma alla valutazione degli atti e all’applicazione di norme di diritto.
Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma di € 3.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/04/2024.