Ricorso Post Mortem: Inammissibilità e Conseguenze secondo la Cassazione
L’ordinanza in commento affronta una questione procedurale cruciale: cosa accade quando viene presentato un ricorso post mortem, ovvero un’impugnazione nell’interesse di un imputato che è deceduto prima della presentazione del ricorso stesso? La Corte di Cassazione offre una risposta netta, dichiarando l’inammissibilità dell’atto e chiarendo le conseguenze in materia di spese processuali.
I Fatti del Caso
Un imputato, ritenuto responsabile di un delitto previsto da una specifica normativa del 2019, veniva a mancare. Successivamente alla sua morte, il suo difensore di fiducia presentava ricorso presso la Corte di Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello. La data di presentazione del ricorso era successiva di quasi un mese rispetto alla data del decesso dell’assistito. La Suprema Corte è stata quindi chiamata a pronunciarsi sulla validità di tale impugnazione.
La Decisione della Corte sul Ricorso Post Mortem
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del diritto processuale: la morte dell’imputato interrompe il rapporto processuale. Di conseguenza, qualsiasi atto compiuto successivamente in suo nome, come un’impugnazione, è privo di efficacia giuridica.
Le Conseguenze sulle Spese Processuali
Un aspetto fondamentale chiarito dall’ordinanza riguarda le spese. La Corte ha stabilito che la declaratoria di inammissibilità non può comportare la condanna al pagamento delle spese processuali per nessuno dei soggetti coinvolti. Né la parte privata (ormai non più esistente come soggetto processuale), né il difensore possono essere considerati destinatari di tale statuizione. Questa decisione si allinea con precedenti orientamenti giurisprudenziali citati nel provvedimento.
Le Motivazioni della Sentenza
Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri logico-giuridici:
1. Difetto di Legittimazione: Con la morte dell’imputato, viene a mancare il soggetto stesso del rapporto processuale. L’avvocato, pur titolare della difesa tecnica, agisce in rappresentanza di una parte che non esiste più. Manca quindi la cosiddetta “legittimazione ad impugnare”, un requisito essenziale per la validità del ricorso. L’impugnazione proposta dopo il decesso è, pertanto, giuridicamente inesistente.
2. Inapplicabilità del Principio di Soccombenza: Il principio di soccombenza, che prevede la condanna alle spese per la parte che perde, non è applicabile in questo contesto. La parte privata, essendo deceduta, non può più essere destinataria di alcuna statuizione patrimoniale. Il difensore, d’altro canto, non è una “parte” del processo, ma un rappresentante tecnico. Sebbene abbia materialmente presentato un atto inammissibile, non può essere considerato “soccombente” e, di conseguenza, non può essere condannato al pagamento delle spese.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio consolidato: la morte dell’imputato cristallizza la situazione processuale e impedisce la prosecuzione del giudizio di impugnazione. Qualsiasi ricorso post mortem è destinato a essere dichiarato inammissibile per un difetto originario di legittimazione. Questa pronuncia offre un’importante guida pratica per i difensori, sottolineando che il mandato professionale si estingue con la morte del cliente e che non è possibile intraprendere ulteriori azioni processuali in suo nome. Inoltre, fornisce una chiara tutela al difensore stesso, escludendo la sua responsabilità per le spese processuali in una simile, particolare circostanza.
È possibile presentare un ricorso in Cassazione dopo la morte dell’imputato?
No, il ricorso presentato dopo il decesso dell’imputato è inammissibile per difetto di legittimazione, in quanto la morte estingue il rapporto processuale.
Chi paga le spese processuali se il ricorso è dichiarato inammissibile a causa della morte dell’imputato?
Nessuno. La Corte ha stabilito che la declaratoria di inammissibilità non può comportare la condanna alle spese né della parte privata (ormai deceduta) né del difensore.
Perché il difensore non può essere condannato al pagamento delle spese in caso di ricorso post mortem?
Perché il difensore, pur avendo presentato materialmente il ricorso, non è una parte del processo ma solo il rappresentante tecnico. Non essendo parte, non è soggetto al principio della soccombenza, secondo cui chi perde paga le spese.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46371 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46371 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 17/01/1959
avverso la sentenza del 22/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
datosore parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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Rilevato che il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME (dichiarato responsabile del delitto di cui all’art. 7 d.l. 4/2019) è inammissibile, essendo sta proposto dal difensore di fiducia il 17/6/2024, dopo la morte dell’imputato, avvenuta il 24/5/2024, in quanto l’impugnazione proposta dopo la morte dell’imputato è inammissibile per difetto di legittimazione e non può comportare la condanna alle spese né della parte privata, che, non essendo più soggetto del rapporto processuale, non può essere destinataria della statuizione, né del difensore che, pur non legittimato a gravame, rappresentando la difesa tecnica, non è parte e non è soggetto al principio della soccombenza (Sez. 3, n. 23935 del 25/03/2021, F., Rv. 281850 – 01; v. anche Sez. 4, n. 44643 del 12/10/2023, COGNOME, Rv. 285291 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2024 Il Consigliere estensore
Il Presidente