Ricorso personale in Cassazione: la Cassazione ribadisce l’inammissibilità
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema procedurale di fondamentale importanza: la possibilità per un imputato di presentare un ricorso personale in Cassazione. La decisione, sebbene lineare, offre l’occasione per ribadire un principio cardine della procedura penale, introdotto con la riforma del 2017, che impone requisiti specifici per adire il massimo organo della giurisdizione.
I fatti del caso
Un imputato, a seguito di una condanna confermata in secondo grado dalla Corte di Appello, decideva di impugnare personalmente la sentenza davanti alla Corte di Cassazione. Il ricorso veniva depositato in data 19 settembre 2023, senza l’assistenza e la sottoscrizione di un difensore abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori. La questione giungeva quindi al vaglio della Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla validità di tale atto di impugnazione.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione non è entrata nel merito delle doglianze sollevate dall’imputato, ma si è fermata a una valutazione preliminare di carattere puramente procedurale. La Corte ha infatti rilevato un vizio insanabile nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, legato alla mancanza di un requisito soggettivo fondamentale: la legittimazione a proporre il ricorso.
Le motivazioni: L’inammissibilità del ricorso personale in Cassazione
Il cuore della motivazione risiede nell’applicazione dell’articolo 613 del Codice di procedura penale, nella sua formulazione attuale, frutto delle modifiche introdotte con la legge n. 103 del 2017. Questa norma stabilisce in modo inequivocabile che, al di fuori dei casi previsti dalla legge, l’atto di ricorso per Cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Corte di Cassazione.
La Corte ha sottolineato come la riforma del 2017 abbia eliminato la facoltà, precedentemente concessa all’imputato, di presentare personalmente il ricorso. Questa scelta legislativa mira a garantire un’elevata qualità tecnica degli atti sottoposti al giudizio della Suprema Corte, la cui funzione non è quella di riesaminare il fatto, ma di verificare la corretta applicazione della legge (funzione nomofilattica). Di conseguenza, un ricorso proposto direttamente dalla parte privata, non assistita da un legale specializzato, è considerato tamquam non esset, ovvero come se non fosse mai stato presentato.
In applicazione dell’articolo 616 del Codice di procedura penale, alla dichiarazione di inammissibilità è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione viziata.
Le conclusioni
L’ordinanza in commento riafferma un principio ormai consolidato: l’accesso alla Corte di Cassazione in materia penale è un percorso tecnico che richiede necessariamente il filtro di un professionista qualificato. Per i cittadini, la lezione è chiara: per impugnare una sentenza penale davanti alla Suprema Corte, non è sufficiente essere titolari di un diritto, ma è indispensabile affidarsi a un avvocato cassazionista. Agire diversamente comporta non solo l’impossibilità di far esaminare le proprie ragioni, ma anche l’automatica condanna al pagamento di spese e sanzioni pecuniarie.
Un imputato può presentare personalmente ricorso per Cassazione?
No, a seguito della riforma introdotta con la legge n. 103 del 2017, l’imputato non può più presentare personalmente il ricorso per Cassazione. L’atto deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito albo speciale.
Qual è la base giuridica per l’inammissibilità del ricorso personale in Cassazione?
La base giuridica è l’articolo 613 del Codice di procedura penale, come modificato dalla legge n. 103 del 2017, che prevede la sottoscrizione del ricorso da parte di un difensore abilitato come requisito di ammissibilità.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile?
Secondo l’articolo 616 del Codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata determinata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6026 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 6026 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 28/06/2023 della CORTE di APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la responsabilità di NOME COGNOME e rideterminava la pena allo stesso inflitta
Avverso tale sentenza, in data 19 settembre 2023, proponeva personalmente il ricorso l’imputato NOME COGNOME
3.11 ricorso è inammissibile in quanto proposto da soggetto non legittimato ai sensi , dell’art. 613 cod. proc. pen. nella formulazione introdotta con la legge n. 103 del 2017 entrata in vigore il 3 agosto 2017.
4.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al ,
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il giorno 9 gennaio 2024.