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Ricorso personale in Cassazione: inammissibilità sicura

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso personale presentato da un soggetto avverso il diniego di patrocinio a spese dello Stato. La decisione si fonda sulla modifica dell’art. 613 c.p.p., che ha eliminato la facoltà per l’interessato di proporre personalmente ricorso, riservandola ai difensori abilitati. La Corte conferma la legittimità costituzionale della norma e condanna il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione di 4.000 euro.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso personale in Cassazione: perché è sempre inammissibile

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione, Sezione Penale, ribadisce un principio fondamentale della procedura penale post-riforma: il ricorso personale in Cassazione non è più ammesso. Con questa pronuncia, i giudici supremi non solo dichiarano l’inammissibilità dell’impugnazione presentata direttamente da un cittadino, ma ne confermano anche le pesanti conseguenze economiche, tra cui una condanna al pagamento di 4.000 euro. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le ragioni giuridiche alla base di questa ferma posizione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da una decisione del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di un individuo per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Sentendosi leso nei suoi diritti, l’interessato decideva di contestare tale provvedimento proponendo, personalmente e senza l’ausilio di un legale, ricorso direttamente alla Corte di Cassazione.

La Decisione: il Ricorso Personale in Cassazione è un binario morto

La Suprema Corte, senza neppure entrare nel merito della questione relativa al gratuito patrocinio, ha stroncato sul nascere l’iniziativa del ricorrente. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile ‘senza formalità’, una procedura rapida prevista quando la causa di inammissibilità è palese.

Il motivo è netto e non lascia spazio a interpretazioni: la facoltà di proporre personalmente un’impugnazione davanti alla Corte di Cassazione è stata abolita. La Corte ha applicato l’articolo 613, comma 1, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta ‘Riforma Orlando’). Questa norma riserva esclusivamente ai difensori iscritti nell’apposito albo speciale la possibilità di presentare ricorsi in Cassazione.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha basato la sua decisione su argomentazioni solide e già consolidate. In primo luogo, ha richiamato la normativa vigente, che dal 3 agosto 2017 ha eliminato la possibilità per l’imputato di agire personalmente in sede di legittimità.

In secondo luogo, ha affrontato e respinto ogni dubbio sulla legittimità costituzionale di tale restrizione. Citando una precedente e autorevole sentenza delle Sezioni Unite (la n. 8914 del 2017, caso ‘Aiello’), i giudici hanno ribadito che l’obbligo di difesa tecnica in Cassazione non viola né il diritto di difesa (art. 24 Cost.) né i principi del giusto processo (art. 111 Cost. e art. 6 CEDU).

La motivazione risiede nell’elevato livello di specializzazione e qualificazione professionale richiesto per discutere una causa davanti alla Corte di Cassazione. Il ruolo della Suprema Corte non è riesaminare i fatti, ma assicurare la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme della legge (funzione di nomofilachia). Questo compito richiede una competenza tecnica che solo un avvocato specializzato può garantire. Pertanto, l’esclusione della difesa personale è considerata una scelta ragionevole del legislatore, bilanciata dalla possibilità per i non abbienti di accedere al patrocinio a spese dello Stato per farsi assistere da un difensore qualificato.

Infine, a seguito della declaratoria di inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di euro 4.000 in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è una conseguenza quasi automatica in caso di inammissibilità, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186/2000, e viene applicata per scoraggiare ricorsi palesemente infondati o irrituali.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma che la strada del ricorso ‘fai-da-te’ in Cassazione è preclusa e controproducente. La normativa attuale impone inderogabilmente l’assistenza di un avvocato cassazionista per qualsiasi tipo di impugnazione penale davanti alla Suprema Corte. Tentare di agire personalmente non solo garantisce un esito negativo in punto di ammissibilità, ma espone anche al rischio concreto di una pesante sanzione economica. Questa decisione serve da monito: la complessità del giudizio di legittimità esige una difesa tecnica specializzata, un principio che il legislatore e la giurisprudenza ritengono essenziale per il corretto funzionamento della giustizia.

È ancora possibile presentare un ricorso personale in Cassazione in materia penale?
No. A seguito della riforma del 2017 (legge n. 103/2017), l’articolo 613 del codice di procedura penale è stato modificato, eliminando la facoltà per l’imputato o l’interessato di proporre personalmente ricorso. L’impugnazione deve essere presentata esclusivamente da un difensore iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione.

La norma che vieta il ricorso personale è costituzionale?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando una precedente sentenza delle Sezioni Unite, ha confermato che tale limitazione è costituzionalmente legittima. Non viola il diritto di difesa, in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore richiedere una rappresentanza tecnica qualificata per un giudizio complesso come quello di Cassazione, garantendo comunque l’accesso alla giustizia ai non abbienti tramite il patrocinio a spese dello Stato.

Cosa succede se presento un ricorso personale in Cassazione nonostante il divieto?
Il ricorso verrà dichiarato inammissibile. Come conseguenza, il ricorrente sarà condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 4.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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