Ricorso personale in Cassazione: una mossa sempre inammissibile
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso personale in Cassazione presentato dall’imputato è sempre inammissibile. Questo caso offre un’occasione preziosa per comprendere perché, nel giudizio di legittimità, la presenza di un avvocato specializzato non è una scelta, ma un requisito inderogabile imposto dalla legge, anche a fronte del diritto di difendersi personalmente.
I fatti del processo e la condanna in Appello
Il ricorrente era stato condannato dalla Corte di Appello di Catania per una serie di reati gravi. Le accuse includevano l’occultamento di armi (un revolver e una pistola semiautomatica), la detenzione illegale di munizioni e la detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti di vario tipo, tra cui marijuana, hashish e cocaina. A seguito della condanna, l’imputato decideva di impugnare la sentenza direttamente davanti alla Corte di Cassazione, ma commettendo un errore procedurale fatale.
Il ricorso personale in Cassazione e le ragioni della Suprema Corte
L’errore commesso dall’imputato è stato quello di presentare il ricorso personalmente, senza l’assistenza e la firma di un difensore abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori. La Corte di Cassazione, senza nemmeno entrare nel merito delle questioni sollevate, ha dichiarato il ricorso immediatamente inammissibile, basando la sua decisione su argomenti giuridici molto solidi.
L’inderogabilità della difesa tecnica
Il cuore della decisione risiede nell’articolo 613, comma 1, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce in modo inequivocabile che, per il ricorso in Cassazione, è necessaria la sottoscrizione di un difensore iscritto nell’apposito albo speciale. La Corte sottolinea come questo requisito di “rappresentanza tecnica” sia inderogabile, cioè non ammette eccezioni. Non è possibile per l’imputato scavalcare questa regola, neppure se fosse egli stesso un avvocato cassazionista. La difesa personale, in questa fase del processo, è esclusa per garantire l’elevato livello tecnico richiesto dal giudizio di legittimità.
Il diritto di difendersi da sé e il giudizio di legittimità
La Corte si è anche preoccupata di chiarire la compatibilità di questa regola con l’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che riconosce il diritto dell’accusato a difendersi da solo. Gli Ermellini hanno spiegato che tale diritto è pienamente garantito nei giudizi di merito (primo grado e appello), dove si ricostruiscono i fatti e si valutano le prove. Il giudizio in Cassazione, invece, non è un terzo grado di merito, ma un giudizio “di legittimità”, focalizzato esclusivamente sulla corretta applicazione della legge e sul rispetto delle norme procedurali. Per tale ragione, la legge impone la presenza di un professionista specializzato, capace di formulare censure di natura prettamente giuridica.
Le conseguenze dell’inammissibilità del ricorso personale Cassazione
La declaratoria di inammissibilità non è priva di conseguenze. In base all’articolo 616 del codice di procedura penale, l’imputato che ha proposto un ricorso inammissibile senza essere in colpa (circostanza non ravvisata nel caso di specie) viene condannato a pagare le spese del procedimento. Inoltre, la Corte ha condannato il ricorrente al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria che si aggiunge alle spese processuali.
Le motivazioni
La motivazione centrale dell’ordinanza si fonda sull’articolo 613 del codice di procedura penale, che impone in modo tassativo la rappresentanza tecnica per i ricorsi in Cassazione. La Corte ribadisce che questa regola non è derogabile e non contrasta con il diritto all’autodifesa sancito dalla CEDU, poiché quest’ultimo si applica ai giudizi di merito e non al giudizio di legittimità, caratterizzato da un elevato tecnicismo. La presentazione personale del ricorso costituisce un vizio insanabile che ne comporta la automatica inammissibilità, impedendo qualsiasi valutazione sul contenuto delle doglianze.
Le conclusioni
La Suprema Corte, con questa ordinanza, conferma un orientamento consolidato: l’accesso al giudizio di Cassazione è subordinato a requisiti formali rigorosi, tra cui spicca l’obbligo del patrocinio di un avvocato cassazionista. La violazione di questa norma procedurale porta inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. La decisione serve da monito sulla necessità di affidarsi sempre a un difensore specializzato per le impugnazioni davanti alla massima giurisdizione.
È possibile per un imputato presentare personalmente un ricorso in Cassazione?
No, l’articolo 613, comma 1, del codice di procedura penale stabilisce che il ricorso deve essere sottoscritto da un difensore abilitato al patrocinio in Cassazione. La presentazione personale da parte dell’imputato rende il ricorso inammissibile.
Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come nel caso di specie, al versamento di una somma di denaro (qui fissata in 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Il diritto di difendersi da soli vale anche per il processo in Cassazione?
No. La Corte ha chiarito che il diritto di difendersi personalmente, riconosciuto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, si applica ai giudizi di merito (primo grado e appello), ma non al giudizio di legittimità davanti alla Cassazione, dove è obbligatoria la rappresentanza tecnica di un avvocato qualificato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13684 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13684 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SIRACUSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME Ricorre per Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania di condanna per i reati di cui all’art. 23, comma 3, legge n.110/1975, per aver occult all’interno di una cantina revolver e una pistola semiautomatica (capo 1), di cui all’art. 648 pen. (capo 2), 697 cod. pen. in relazione alla detenzione di cartucce per la carica delle (capo 3) e di cui all’art 73, commi 1 e 4, 80 d.P.R. 309/1990, in relazione alla detenzione a di spaccio di sostanza stupefacente del tipo marijuana hashish e cocaina ( capo 4).
Il ricorso è stato proposto personalmente dall’imputato, e non da difensore abilitat patrocinio in Cassazione, e concerne il trattamento sanzionatorio. L’art. 613, comma 1, cod proc. pen., non prede la possibilità, per l’imputato, di presentare ricorso personale rappresentanza tecnica da parte di difensore abilitato è, infatti, sempre necessaria, perfino ricorrente sia un avvocato cassazionista, dovendosi escludere la difesa personale dell’interessato (Sez. 3, n. 19964 del 29-3-2007) . Si è, d’altronde, chiarito, in giurispru che il principio dell’inderogabilità della rappresentanza tecnica da parte di difensore abil perfino se il ricorrente sia avvocato cassazionista, è compatibile con il diritto di difendersi riconosciuto dall’art. 6, comma 2, lett. c), della Convenzione Europea per la salvaguardia d diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: norma quest’ultima che implica l’obbl assicurare il diritto della parte di contribuire, unitamente al difensore tecnico, alla ricos del fatto ed alla individuazione delle conseguenze giuridiche solo nel giudizio di merito e anche in quello di legittimità (Sez. 2, n. 2724 del 19/12/2012, Rv. 255082; Sez. 3, n. 19964 29/03/2007, Rv. 236734).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevat che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ric senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declarator dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente