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Ricorso per saltum: errore nella conversione dell’appello

Un soggetto in libertà vigilata ha contestato il diniego di un’autorizzazione al lavoro. Il Magistrato di Sorveglianza ha erroneamente convertito il reclamo in un ricorso per saltum diretto alla Cassazione. La Suprema Corte ha annullato la decisione, chiarendo che per le misure di sicurezza il rimedio corretto è l’appello al Tribunale di Sorveglianza, non il ricorso per saltum, e ha rinviato gli atti all’organo competente.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per saltum: quando l’appello non può saltare un grado di giudizio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5050 del 2024, ha chiarito un importante principio di procedura penale riguardante i mezzi di impugnazione avverso i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza. La decisione si sofferma sulla netta distinzione tra misure di sicurezza e misure alternative alla detenzione, sottolineando come il cosiddetto ricorso per saltum non sia uno strumento universalmente applicabile. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere le corrette vie procedurali da seguire per tutelare i propri diritti.

I Fatti del Caso

Un individuo, sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata a seguito di una condanna per associazione di tipo mafioso, presentava un’istanza al Magistrato di sorveglianza per ottenere l’autorizzazione a svolgere un’attività lavorativa come autista. Il Magistrato rigettava la richiesta per due motivi principali: l’incompatibilità con le norme del Codice della Strada che precludono il titolo di guida a condannati per certi reati e l’impossibilità di garantire un controllo adeguato data la natura itinerante del lavoro, considerata la perdurante pericolosità sociale del soggetto.

Contro questa decisione, la difesa proponeva reclamo. Il Magistrato di sorveglianza, anziché trasmettere gli atti al Tribunale di sorveglianza competente per l’appello, decideva di convertire l’atto in un ricorso per cassazione, inviando direttamente il fascicolo alla Suprema Corte.

La Conversione dell’Appello e l’errato ricorso per saltum

Il cuore della questione giuridica risiede proprio in questa conversione. Il Magistrato ha agito sul presupposto, errato, che i provvedimenti in materia di esecuzione fossero sempre direttamente ricorribili in Cassazione. Ha fondato la sua decisione su una giurisprudenza relativa alle misure alternative alla detenzione (come la detenzione domiciliare), per le quali è effettivamente previsto il ricorso diretto.

Tuttavia, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, questa interpretazione non tiene conto della natura specifica del provvedimento impugnato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza di conversione, stabilendo che la procedura seguita dal Magistrato di sorveglianza era errata. Gli atti sono stati quindi trasmessi al Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria, l’organo corretto per decidere sul reclamo originario.

La Differenza tra Misure Alternative e Misure di Sicurezza

Il punto cruciale della sentenza è la distinzione tra le diverse tipologie di misure. Le misure alternative alla detenzione (es. detenzione domiciliare) e le misure di sicurezza (es. libertà vigilata) seguono percorsi di impugnazione differenti. Mentre per le prime, in certi casi, la legge ammette il ricorso diretto in Cassazione, per le seconde vige una disciplina specifica.

Il Corretto Percorso di Impugnazione

La Corte ha ribadito che la normativa per le misure di sicurezza è chiara: l’art. 69 dell’Ordinamento Penitenziario affida al Magistrato di sorveglianza le decisioni su applicazione, esecuzione e revoca. Il successivo art. 70 prevede che il Tribunale di sorveglianza decida in sede di appello avverso tali provvedimenti. Pertanto, la via corretta era l’appello al Tribunale di sorveglianza, non il ricorso in Cassazione.

Le Motivazioni

La Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che il ricorso per saltum, disciplinato dall’art. 569 del codice di procedura penale, è uno strumento eccezionale, consentito esclusivamente contro le sentenze e non contro le ordinanze, come quella emessa dal Magistrato di sorveglianza. L’errata qualificazione del reclamo come ricorso per cassazione ha costituito una violazione delle norme processuali che definiscono la competenza e i gradi di giudizio. La Corte ha spiegato che la giurisprudenza citata dal giudice di prime cure era inconferente, poiché si riferiva a un ambito (le misure alternative) diverso da quello in esame (le misure di sicurezza). L’errore del Magistrato non è stato solo formale, ma sostanziale, poiché ha privato l’interessato di un grado di giudizio di merito, quello davanti al Tribunale di sorveglianza, che è l’organo deputato a riesaminare nel dettaglio i fatti e le valutazioni poste a base della decisione impugnata.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma un principio fondamentale di legalità processuale: a ogni provvedimento corrisponde uno specifico mezzo di impugnazione previsto dalla legge. Confondere le procedure o applicare per analogia norme previste per istituti diversi può portare all’annullamento degli atti. Questa decisione sottolinea l’importanza per gli operatori del diritto di identificare con precisione la natura del provvedimento contestato per scegliere la via processuale corretta, garantendo così il pieno rispetto del diritto di difesa e del principio del doppio grado di giurisdizione.

È possibile impugnare direttamente in Cassazione un’ordinanza del Magistrato di sorveglianza in materia di libertà vigilata?
No, la sentenza chiarisce che il rimedio corretto contro un’ordinanza del Magistrato di sorveglianza su una misura di sicurezza come la libertà vigilata è l’appello al Tribunale di sorveglianza, non il ricorso diretto in Cassazione.

Perché il Magistrato di sorveglianza ha sbagliato a convertire il reclamo in ricorso per cassazione?
Ha sbagliato perché ha applicato erroneamente la giurisprudenza relativa alle misure alternative alla detenzione, che sono direttamente ricorribili in Cassazione. La libertà vigilata, invece, è una misura di sicurezza e segue un percorso di impugnazione diverso, previsto dagli articoli 69 e 70 dell’Ordinamento Penitenziario.

Cos’è il “ricorso per saltum” e quando è ammesso secondo questa sentenza?
La sentenza spiega che il “ricorso per saltum” è un appello diretto alla Corte di Cassazione che “salta” il grado d’appello. Tuttavia, la Corte sottolinea che, secondo l’art. 569 cod. proc. pen., questo strumento è consentito solo contro le sentenze e non contro le ordinanze, come quella in esame.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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