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Ricorso per patteggiamento: limiti e inammissibilità

Due imputate ricorrono contro una sentenza di patteggiamento, lamentando la mancata assoluzione e l’incongruità della pena. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso per patteggiamento inammissibile, ribadendo che, a seguito della riforma del 2017, i motivi di impugnazione sono limitati a vizi della volontà, errori di qualificazione giuridica o illegalità della pena, escludendo censure sulla sua adeguatezza o sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Patteggiamento: La Cassazione e i Motivi di Inammissibilità

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento processuale che permette di definire il processo penale in modo più rapido. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta conseguenze significative, soprattutto per quanto riguarda le possibilità di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti invalicabili del ricorso per patteggiamento, chiarendo quali motivi sono ammessi e quali, invece, conducono a una declaratoria di inammissibilità. Analizziamo la decisione per comprendere meglio la portata di questa procedura.

Il Caso in Esame: Un Ricorso contro la Pena Concordata

Nel caso specifico, due imputate avevano presentato ricorso contro la sentenza con cui il Tribunale aveva ratificato il loro accordo di patteggiamento. Le ricorrenti sollevavano due principali questioni:

1. La violazione di legge per la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, che impone al giudice di assolvere l’imputato se ne ricorrono i presupposti.
2. Un vizio di motivazione riguardo la congruità della pena applicata, ritenuta non adeguata.

Le imputate chiedevano, quindi, l’annullamento della sentenza di patteggiamento. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto i ricorsi palesemente inammissibili.

La Riforma del 2017 e il Ricorso per Patteggiamento

Il fulcro della decisione risiede nell’impatto della Legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta “Riforma Orlando”). Questa normativa ha modificato profondamente le regole per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. A partire dal 3 agosto 2017, il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso per cassazione solo per motivi specifici e tassativi, ovvero:

* Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
* Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Questo elenco è restrittivo e non lascia spazio ad altre doglianze.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso, basandosi sulla nuova normativa.

Inammissibilità del Motivo sul Proscioglimento

Il primo motivo, relativo alla mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p., è stato dichiarato inammissibile perché non rientra più nell’elenco dei motivi consentiti dalla legge dopo la riforma del 2017. L’accordo tra le parti, una volta ratificato dal giudice, preclude la possibilità di sollevare in sede di legittimità la questione di un proscioglimento nel merito che non è stato pronunciato.

Congruità vs. Illegalità della Pena

Anche il secondo motivo, riguardante la congruità della pena, è stato giudicato manifestamente inammissibile. La Corte ha sottolineato una distinzione fondamentale: un conto è la “congruità” della pena, ovvero la sua adeguatezza al caso concreto, un altro è la sua “illegalità”.

* Congruità: Riguarda la valutazione discrezionale del giudice sulla giusta misura della sanzione. Con il patteggiamento, le parti si accordano proprio su questo aspetto, e non è più possibile contestarlo in seguito.
* Illegalità: Si verifica solo quando la pena inflitta viola una norma di legge, ad esempio perché supera i limiti massimi, è di un genere non previsto per quel reato o deriva da un calcolo palesemente errato. Solo in questo caso il ricorso è ammesso.

La Corte ha ribadito che, una volta che il giudice ha verificato e ratificato l’accordo, il suo obbligo di motivazione si considera assolto. Non è più consentito alle parti contestare l’entità della pena o l’applicazione delle circostanze, a meno che non si configuri una palese illegalità.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione conferma un orientamento ormai consolidato: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che chiude la porta a gran parte delle possibili contestazioni future. Accettando l’accordo, l’imputato rinuncia a far valere determinate censure, inclusa quella sulla congruità della pena e sulla possibilità di un’assoluzione nel merito. Il ricorso per patteggiamento è oggi uno strumento con un ambito di applicazione molto ristretto, limitato a vizi procedurali gravi o a palesi violazioni di legge nella determinazione della pena. Questa decisione sottolinea l’importanza di una valutazione attenta e consapevole, assistita da un difensore, prima di accedere a questo rito speciale, poiché le sue conseguenze sono quasi sempre definitive.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento lamentando che la pena è troppo alta?
No. Dopo la riforma del 2017, non è più possibile contestare la congruità (adeguatezza) della pena concordata. Si può ricorrere solo se la pena è ‘illegale’, cioè se viola la legge nella sua specie, calcolo o limiti massimi.

Si può fare ricorso contro un patteggiamento se si ritiene che il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato?
No. La sentenza stabilisce che la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. non rientra più tra i motivi validi per ricorrere in Cassazione contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Quali sono i motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi sono tassativi e includono: vizi nella formazione della volontà dell’imputato di patteggiare, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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