Ricorso per cassazione personale: la Cassazione ribadisce l’obbligo della difesa tecnica
Un’ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui requisiti formali per adire la Suprema Corte, sottolineando come un ricorso per cassazione personale, presentato direttamente dalla parte interessata senza l’assistenza di un avvocato, sia destinato a una declaratoria di inammissibilità. Questo principio, consolidato dalla normativa, assume un ruolo cruciale nella tutela del corretto svolgimento del processo.
I fatti del caso
Il caso trae origine dal reclamo presentato da un detenuto avverso un decreto ministeriale che prorogava nei suoi confronti il regime detentivo differenziato previsto dall’art. 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva respinto il reclamo. Contro questa decisione, il detenuto decideva di agire in autonomia, presentando personalmente un ricorso alla Corte di Cassazione per chiederne l’annullamento.
La decisione della Corte di Cassazione e l’inammissibilità del ricorso personale
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con una procedura semplificata ‘de plano’, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione non entra nel merito delle doglianze del ricorrente, ma si ferma a un controllo preliminare di natura procedurale, risultato fatale per l’esito dell’impugnazione. La Corte ha rilevato un vizio insanabile: il difetto di legittimazione del ricorrente a presentare l’atto in prima persona.
Le motivazioni: il difetto di legittimazione e l’art. 613 c.p.p.
Il cuore della motivazione risiede nell’applicazione dell’articolo 613, comma 1, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce in modo inequivocabile che, a eccezione dei casi espressamente previsti, gli atti di impugnazione davanti alla Corte di Cassazione debbano essere sottoscritti da difensori iscritti nell’apposito albo. La Corte evidenzia come questa disposizione sia stata rafforzata dalla Legge n. 103 del 2017, la cosiddetta ‘Riforma Orlando’, che ha eliminato la possibilità per l’imputato di presentare personalmente ricorso.
Il provvedimento impugnato (l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza) era stato emesso dopo l’entrata in vigore di tale riforma. Di conseguenza, il ricorso per cassazione personale del detenuto si poneva in diretta violazione di un requisito di forma prescritto a pena di inammissibilità. La Suprema Corte, quindi, non ha potuto fare altro che constatare la mancanza di un presupposto processuale essenziale, senza poter esaminare le ragioni sostanziali dell’appello.
Le conclusioni: conseguenze pratiche e principio di diritto
La declaratoria di inammissibilità non è priva di conseguenze. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, in assenza di elementi che potessero escludere una sua colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (richiamando una sentenza della Corte Costituzionale), è stato condannato anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: l’accesso alla giustizia di legittimità richiede il filtro e la competenza di un professionista qualificato. La difesa tecnica non è un mero orpello, ma una garanzia di professionalità e serietà dell’impugnazione, essenziale per il corretto funzionamento della Corte di Cassazione, giudice della sola legittimità delle decisioni.
È possibile presentare un ricorso per cassazione personalmente senza un avvocato?
No, l’ordinanza chiarisce che, in base all’art. 613, comma 1, cod. proc. pen., il ricorso in Cassazione deve essere sottoscritto da un difensore. Un ricorso presentato personalmente dal ricorrente è inammissibile.
Qual è la conseguenza di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Secondo l’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Se non vi sono elementi per escludere la colpa, può anche essere condannato a versare una somma alla Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso per un importo di tremila euro.
La regola sull’obbligo della difesa tecnica si applica anche ai ricorsi contro provvedimenti come la proroga del 41-bis?
Sì, l’ordinanza conferma che la regola che impone la difesa tecnica per il ricorso in Cassazione si applica anche alle impugnazioni contro provvedimenti emessi dal Tribunale di Sorveglianza, inclusi quelli relativi alla proroga del regime detentivo speciale dell’art. 41-bis.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5341 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5341 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CATANIA il 20/06/1953
avverso l’ordinanza del 06/06/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
;dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
n
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo presentato da NOME COGNOME avverso il decreto ministeriale in data 18/10/2023 di proroga del regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. Pen.
Ricorre per cassazione personalmente NOME COGNOME chiedendo la revoca del decreto o in subordine un nuovo esame.
Il ricorso può essere trattato nelle forme «de plano», ai sensi dell’art. 610, comma 5bis, cod. proc. pen. – come modificato dalla legge n. 103 del 2017 -, trattandosi di impugnazione che deve essere dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione del ricorrente, il quale ha proposto il ricorso personalmente, dopo l’entrata in vigore della novel e nei confronti di un provvedimento emesso sotto il vigore di essa, in violazione dell’art. 61 comma 1, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024