Ricorso per Cassazione Personale: La Cassazione Ribadisce l’Inammissibilità
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di procedura penale: il ricorso per cassazione personale da parte dell’imputato o del condannato è inammissibile. Questa pronuncia sottolinea l’importanza delle riforme procedurali introdotte nel 2017 e le gravi conseguenze per chi non si affida a un difensore specializzato per l’ultimo grado di giudizio. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le sue implicazioni.
L’analisi del caso: un ricorso presentato senza avvocato
I fatti alla base della decisione sono semplici ma emblematici. Un soggetto, a seguito di un’ordinanza emessa dal Tribunale di Torino, decideva di impugnare tale provvedimento presentando personalmente ricorso presso la Corte di Cassazione. L’atto, dunque, non recava la firma di un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, ma era stato proposto direttamente dalla parte interessata.
La questione del ricorso per cassazione personale dopo la riforma
Il punto centrale della questione risiede nella normativa introdotta con la Legge n. 103 del 23 giugno 2017. Tale legge ha modificato in modo significativo le regole per la presentazione del ricorso per cassazione in materia penale. Se in passato esistevano delle limitate possibilità per l’imputato di agire personalmente, la riforma ha stabilito un principio inderogabile: ogni ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, deve essere sottoscritto da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale.
La Corte ha osservato che sia il provvedimento impugnato sia il ricorso stesso erano successivi al 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della riforma. Pertanto, la nuova e più restrittiva disciplina era pienamente applicabile al caso di specie.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile con una motivazione netta e basata su solidi riferimenti normativi e giurisprudenziali. I giudici hanno evidenziato che l’articolo 613, comma 1, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge del 2017, esclude categoricamente la facoltà dell’imputato o del condannato di proporre personalmente l’impugnazione.
L’atto deve essere obbligatoriamente firmato da un avvocato cassazionista. Poiché il ricorso in esame era stato presentato direttamente dall’interessato, proveniva da un “soggetto non legittimato”, determinando una causa di inammissibilità prevista dall’articolo 591, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale. L’evidenza di tale vizio ha permesso alla Corte di decidere de plano, ovvero senza udienza, come previsto dall’articolo 610, comma 5-bis del codice.
Le conclusioni: conseguenze pratiche e condanna alle spese
Le conseguenze di tale inammissibilità sono state severe per il ricorrente. La Corte, applicando l’articolo 616 del codice di procedura penale, non solo ha dichiarato inammissibile il ricorso, ma ha anche condannato l’interessato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, è stato condannato al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
La Corte ha specificato che tale sanzione è dovuta poiché non sussistevano elementi per ritenere che il ricorrente avesse agito “senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”. Questa decisione serve da monito: la complessità della procedura davanti alla Corte di Cassazione richiede necessariamente l’assistenza di un legale specializzato, la cui assenza non solo rende vana l’azione legale, ma comporta anche significative conseguenze economiche.
Un imputato o un condannato può presentare personalmente un ricorso per cassazione in materia penale?
No. Secondo la Corte, a seguito della legge n. 103 del 2017, il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.
Quali sono le conseguenze se un ricorso per cassazione viene presentato personalmente?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.
Perché la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende?
La condanna al pagamento della somma è una conseguenza prevista dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità del ricorso. La Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi per escludere la colpa del ricorrente nel determinare la causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8437 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8437 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CUMIANA il 23/10/1945
avverso l’ordinanza del 06/06/2024 del TRIBUNALE di TORINO
clato-axaciso-aile-parti.;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso in esame è stato proposto personalmente dall’interessato nel 2024.
Osserva il Collegio che sia il provvedimento impugnato sia il ricorso sono successivi al 3 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato – e quindi anche del condannato – di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che tale atto deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, ai sensi degli art 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271333).
La Corte, pertanto, rileva che il ricorso, come correttamente qualificato, appare inammissibile per causa che può essere dichiarata de plano, ai sensi dell’art. 610, comma a-bis, cod. proc. pen., in quanto proposto dall’interessato personalmente e, quindi, da un soggetto non legittimato ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinata equamente in 3.000,00 euro, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024