Ricorso per Cassazione Personale: La Fine di un’Era
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale moderna: la fine della possibilità di presentare un ricorso per cassazione personale. Questa decisione, che dichiara inammissibile l’impugnazione proposta direttamente da un condannato, non rappresenta una novità isolata, ma la consolidata applicazione della riforma introdotta nel 2017, che ha modificato radicalmente le modalità di accesso al giudizio di legittimità.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in via definitiva, proponeva personalmente ricorso avverso un decreto emesso dal Giudice di Sorveglianza. Il ricorso veniva sottoscritto e depositato dopo il 4 agosto 2017, data di entrata in vigore della Legge n. 103/2017, nota come “riforma Orlando”. La Corte di Cassazione si è trovata quindi a valutare, prima ancora del merito della questione, la validità formale dell’atto di impugnazione.
La Decisione della Corte sull’Inammissibilità del Ricorso
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure procedere a un’udienza, con una decisione “de plano”. La ragione è netta e insuperabile: la normativa vigente non consente più né all’imputato né al condannato di proporre personalmente ricorso per cassazione. L’atto deve essere obbligatoriamente sottoscritto da un difensore iscritto nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni dell’ordinanza si fondano interamente sull’interpretazione e applicazione della Legge 23 giugno 2017, n. 103. Questa legge ha modificato articoli cruciali del codice di procedura penale, tra cui l’art. 613, comma 1. Il legislatore ha inteso riservare l’accesso alla Corte di Cassazione a professionisti dotati di una specifica qualificazione, al fine di garantire un più elevato standard tecnico degli atti e deflazionare il carico di lavoro della Corte da ricorsi palesemente infondati o mal formulati.
La Corte richiama anche la pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 8914 del 2017), che ha chiarito in modo definitivo come la nuova disciplina si applichi a tutti i ricorsi proposti dopo la sua entrata in vigore, a prescindere da quando sia stato emesso il provvedimento impugnato. Di conseguenza, il ricorso per cassazione personale presentato dall’interessato, essendo privo della sottoscrizione di un difensore abilitato, è risultato viziato da una causa di inammissibilità insanabile. Oltre alla dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai granitico. Per i cittadini, l’implicazione è chiara: per contestare una decisione davanti alla Corte di Cassazione in ambito penale, è indispensabile e obbligatorio affidarsi a un avvocato cassazionista. La facoltà di agire personalmente, un tempo consentita, è stata definitivamente soppressa. Questa scelta legislativa, pur mirando a una maggiore efficienza della giustizia, rappresenta un onere aggiuntivo per chi intende far valere le proprie ragioni nell’ultimo grado di giudizio, sottolineando l’importanza cruciale della difesa tecnica specializzata nel processo penale.
Un condannato può presentare personalmente un ricorso per cassazione?
No. Secondo la normativa in vigore dal 4 agosto 2017 (legge n. 103/2017), il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.
Cosa succede se un ricorso per cassazione viene presentato personalmente dopo l’entrata in vigore della riforma?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò significa che la Corte non esamina il merito della questione, ma si limita a respingere l’atto per un vizio procedurale insanabile.
Quali sono le conseguenze economiche della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata determinata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13506 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13506 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a SAN SEVERO il 15/05/1974
avverso il decreto del 30/10/2023 del GIUD. SORVEGLIANZA di SPOLETO
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso per cassazione in esame è stato proposto personalmente da NOME COGNOME e sottoscritto 1’8 novembre 2023.
Osserva il Collegio che sia la notifica del provvedimento impugnato sia il ricorso sono successivi al 4 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato – e quindi anche del condannato – di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che tale atto deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271333 – 01).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, de plano, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge n. 103 del 2017.
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 20 marzo 2025.