Ricorso per Cassazione Personale: La Cassazione Conferma l’Inammissibilità
L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale della procedura penale: la validità del ricorso per cassazione personale. La Suprema Corte ha ribadito un principio ormai consolidato, dichiarando inammissibile l’impugnazione presentata direttamente dall’interessato, senza l’assistenza di un avvocato cassazionista. Questa decisione sottolinea l’importanza delle riforme legislative volte a garantire la tecnicità e la specificità dei motivi di ricorso davanti alla più alta giurisdizione.
I Fatti del Caso: Un Ricorso Diretto alla Suprema Corte
Il caso trae origine dal ricorso presentato personalmente da un soggetto avverso un’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Roma. L’atto di impugnazione è stato sottoscritto e depositato direttamente dall’interessato in data 6 maggio 2024. Tuttavia, sia il provvedimento impugnato sia la data di proposizione del ricorso erano successivi al 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della Legge n. 103/2017, nota come “Riforma Orlando”.
La Disciplina del Ricorso per Cassazione Personale Dopo la Riforma
La Corte di Cassazione ha incentrato la sua analisi proprio sulla modifica normativa introdotta dalla Legge n. 103/2017. Tale riforma ha escluso categoricamente la facoltà per l’imputato o il condannato di proporre personalmente ricorso per cassazione. La legge prevede ora, a pena di inammissibilità, che l’atto di ricorso sia sottoscritto da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Corte di Cassazione, come stabilito dagli articoli 571, comma 1, e 613, comma 1, del codice di procedura penale. Questo requisito è stato introdotto per elevare il livello qualitativo dei ricorsi, assicurando che siano fondati su motivi di legittimità e non di merito, e redatti con la necessaria competenza tecnica.
Le Motivazioni della Decisione
Sulla base di queste premesse, la Corte ha rilevato che il ricorso era palesemente inammissibile. La causa di inammissibilità era tale da poter essere dichiarata de plano, ossia senza la necessità di un’udienza pubblica, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. L’inammissibilità derivava dal fatto che il ricorso era stato proposto da un soggetto non legittimato a farlo personalmente, in violazione dell’art. 591, comma 1, lett. a), del codice di procedura penale. A sostegno della propria decisione, i giudici hanno richiamato un’importante sentenza delle Sezioni Unite (n. 8914/2018), che aveva già chiarito in modo definitivo la questione. La Corte ha inoltre sottolineato che non vi erano elementi per ritenere che il ricorrente avesse agito “senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, citando un principio affermato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 186/2000).
Le Conclusioni: Condanna alle Spese e alla Cassa delle Ammende
L’epilogo del procedimento è stato la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Come conseguenza diretta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte lo ha condannato al versamento di una somma determinata in 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria rappresenta un deterrente contro la proposizione di ricorsi manifestamente infondati o, come in questo caso, privi dei requisiti formali essenziali previsti dalla legge. La decisione riafferma con forza che l’accesso alla Corte di Cassazione è un percorso tecnico che richiede necessariamente la mediazione di un professionista qualificato.
È possibile per un imputato o condannato presentare personalmente un ricorso per cassazione?
No. A seguito della Legge n. 103 del 2017, il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.
Quali sono le conseguenze se un ricorso per cassazione viene presentato personalmente dall’interessato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000 euro.
Perché la Corte ha condannato il ricorrente a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
La condanna al pagamento di una somma è una conseguenza prevista dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità del ricorso. La Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi per giustificare l’errore del ricorrente, ovvero per ritenere che avesse agito senza colpa nel proporre un ricorso non consentito dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43231 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43231 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/04/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
d,a’av so allarti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso in esame è stato sottoscritto personalmente dall’interessato il 6 maggio 2024
Osserva il Collegio che sia il proWedimento impugnato sia il ricorso sono successivi al 3 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato – e quindi anche del condannato – di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che tale atto deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, ai sensi degli arti 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 271333).
La Corte, pertanto, rileva che il ricorso appare inammissibile per causa che può essere dichiarata de plano, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., in quanto proposto dall’interessato personalmente e, quindi, da un soggetto non legittimato ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinata equamente in 3.000,00 euro, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024