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Ricorso per cassazione personale: inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso presentato personalmente da un condannato avverso la revoca della sospensione condizionale della pena. La decisione si fonda sulla violazione dell’art. 613 cod. proc. pen., che, a seguito della riforma del 2017, impone che il ricorso per cassazione personale sia sottoscritto da un avvocato abilitato. L’inammissibilità ha comportato la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Cassazione Personale: La Riforma e i Rischi di Inammissibilità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso per cassazione personale non è più ammesso. La decisione in esame chiarisce le conseguenze dirette di questa regola, introdotta con la riforma del 2017, sottolineando l’importanza di affidarsi a un difensore specializzato per adire la Suprema Corte. Il caso analizza la situazione di un condannato che, agendo in prima persona, ha visto la sua impugnazione naufragare prima ancora di essere esaminata nel merito.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasce da un’ordinanza del Tribunale di Ravenna, in funzione di Giudice dell’esecuzione, che aveva revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena a un soggetto. L’interessato, ritenendo ingiusta tale decisione, ha deciso di impugnarla proponendo ricorso direttamente alla Corte di Cassazione. Tuttavia, l’atto è stato redatto e sottoscritto personalmente dal condannato, senza l’assistenza e la firma di un avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

La Questione Giuridica sul Ricorso per Cassazione Personale

Il nodo centrale della questione non riguarda il merito della revoca della sospensione condizionale, ma un aspetto puramente procedurale: la validità di un ricorso per cassazione personale. La Corte è stata chiamata a verificare se l’impugnazione fosse ammissibile alla luce delle modifiche legislative intervenute negli ultimi anni.

La normativa di riferimento è l’articolo 613, comma 1, del codice di procedura penale. La legge 23 giugno 2017, n. 103 (la cosiddetta “Riforma Orlando”), ha soppresso l’inciso “salvo che la parte non vi provveda personalmente”. Questa modifica, entrata in vigore il 3 agosto 2017, ha reso obbligatoria, a pena di inammissibilità, la sottoscrizione del ricorso da parte di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione. L’obiettivo del legislatore era quello di elevare il livello tecnico delle impugnazioni, assicurando che solo questioni di legittimità fondate e ben articolate giungessero all’esame della Suprema Corte.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte, rilevato che il ricorso era stato presentato in data successiva all’entrata in vigore della riforma e che era stato sottoscritto unicamente dalla parte, lo ha dichiarato inammissibile. La decisione è stata presa senza formalità di procedura, applicando l’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, che consente una definizione rapida per i ricorsi manifestamente infondati o, come in questo caso, privi dei requisiti formali.

Oltre alla declaratoria di inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, ravvisando una colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Le Motivazioni

Le motivazioni dell’ordinanza sono nette e si basano su un’interpretazione consolidata della norma. La Corte ha richiamato la pronuncia delle Sezioni Unite (n. 8914/2017), che ha definitivamente chiarito la portata della modifica all’art. 613 c.p.p. Tale sentenza ha stabilito che, per i ricorsi presentati dopo il 3 agosto 2017, la sottoscrizione da parte di un avvocato cassazionista è un requisito di ammissibilità inderogabile. La presentazione personale del ricorso costituisce, quindi, un vizio insanabile che ne preclude l’esame nel merito. La decisione si fonda sulla necessità di garantire la tecnicità del giudizio di legittimità, che non può essere attivato da atti privi del necessario filtro professionale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma che il fai-da-te nel processo penale, specialmente nella sua fase più alta e complessa come il giudizio di cassazione, non è una strada percorribile. La regola imposta dalla riforma del 2017 è perentoria: senza la firma di un legale specializzato, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile. Le conseguenze non sono solo la perdita della possibilità di far valere le proprie ragioni, ma anche un aggravio economico significativo. Per i cittadini, la lezione è chiara: per tutelare i propri diritti dinanzi alla Corte di Cassazione, è imprescindibile rivolgersi a un avvocato abilitato, l’unico in grado di redigere un atto formalmente corretto e tecnicamente valido.

È possibile presentare personalmente un ricorso per cassazione in materia penale?
No, a seguito della modifica dell’art. 613, comma 1, del codice di procedura penale introdotta dalla legge n. 103 del 2017, non è più possibile. Il ricorso deve essere obbligatoriamente sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione.

Cosa succede se un ricorso per cassazione viene presentato personalmente dal condannato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.

La regola che vieta il ricorso personale si applica a tutti i ricorsi presentati dopo quale data?
La regola si applica a tutti i ricorsi presentati dopo il 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, che ha modificato la disciplina.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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