Ricorso per Cassazione Personale: Quando l’Autodifesa Conduce all’Inammissibilità
L’ordinamento giuridico stabilisce regole precise per l’accesso alla giustizia, specialmente nei gradi più alti di giudizio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di procedura penale: il ricorso per cassazione personale da parte dell’imputato o del condannato non è più ammesso. L’intervento di un difensore specializzato è un requisito imprescindibile, la cui assenza comporta conseguenze severe. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.
I Fatti alla Base della Decisione
Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato personalmente da un soggetto condannato avverso un’ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. L’interessato, agendo in autonomia, ha impugnato il provvedimento direttamente davanti alla Corte di Cassazione. Tuttavia, questo atto, sebbene espressione del diritto di difesa, si è scontrato con una barriera procedurale invalicabile introdotta dalla legislazione recente.
Il Ricorso per Cassazione Personale e la Riforma del 2017
Il cuore della questione risiede nelle modifiche apportate dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (nota come Riforma Orlando). Prima di questa data, l’imputato aveva la facoltà di presentare personalmente il ricorso. La riforma ha modificato radicalmente questo assetto, escludendo tale possibilità.
La nuova normativa, come richiamato dalla Corte, prevede che il ricorso per cassazione debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale dei patrocinanti presso le giurisdizioni superiori. Questa disposizione, contenuta negli articoli 571 e 613 del codice di procedura penale, mira a garantire un’elevata qualità tecnica degli atti presentati alla Suprema Corte, la cui funzione è quella di assicurare l’uniforme interpretazione della legge (funzione nomofilattica).
Le Motivazioni della Corte
La Corte di Cassazione, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha sviluppato un ragionamento lineare e fondato su norme precise. In primo luogo, ha rilevato che sia il provvedimento impugnato sia il ricorso erano successivi alla data di entrata in vigore della legge n. 103/2017, rendendo la nuova disciplina pienamente applicabile al caso di specie.
Il Collegio ha quindi qualificato il ricorso come inammissibile per una causa che può essere dichiarata de plano, ovvero senza la necessità di un’udienza di discussione, ai sensi dell’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. La ragione è la mancanza di legittimazione del proponente: il ricorso è stato presentato da un soggetto (l’interessato personalmente) che la legge non abilita più a compiere tale atto.
La conseguenza diretta dell’inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma, determinata in 3.000,00 euro, in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha specificato che tale sanzione è dovuta poiché non sono emersi elementi per ritenere che il ricorrente avesse agito senza colpa nel determinare la causa di inammissibilità, richiamando un principio affermato dalla Corte Costituzionale.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre un importante monito: nel processo penale, e in particolare nel giudizio di legittimità, le forme e i requisiti procedurali sono essenziali. La scelta di agire personalmente, senza l’assistenza di un legale qualificato, nel presentare un ricorso per cassazione personale non solo è destinata all’insuccesso ma comporta anche significative sanzioni economiche. La decisione riafferma la centralità del ruolo del difensore tecnico come garante di un’efficace tutela dei diritti e del corretto funzionamento della giustizia, soprattutto dinanzi alla Suprema Corte.
È possibile per un condannato presentare personalmente un ricorso per cassazione?
No. Secondo l’ordinanza, a seguito della legge n. 103 del 2017, il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.
Quali sono le conseguenze se un ricorso viene presentato personalmente?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000 euro.
Perché la Corte può dichiarare l’inammissibilità ‘de plano’ in questi casi?
La Corte può dichiarare l’inammissibilità de plano, cioè senza udienza formale, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., quando la causa di inammissibilità è evidente dagli atti, come nel caso di un ricorso presentato da un soggetto non legittimato dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8440 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8440 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 07/10/1976
avverso l’ordinanza del 03/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso in esame è stato proposto personalmente dall’interessato il 3 luglio 2024.
Osserva il Collegio che sia il provvedimento impugnato sia il ricorso sono successivi al 3 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato – e quindi anche del condannato – di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che tale atto deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, ai sensi degli art 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271333).
La Corte, pertanto, rileva che il ricorso, come correttamente qualificato, appare inammissibile per causa che può essere dichiarata de plano, ai’ sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., in quanto proposto dall’interessato personalmente e, quindi, da un soggetto non legittimato ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinata equamente in 3.000,00 euro, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024