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Ricorso per cassazione personale: inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso per cassazione personale presentato da un imputato. La decisione si fonda sull’art. 613 c.p.p., che impone la sottoscrizione dell’atto da parte di un avvocato abilitato, confermando la legittimità costituzionale di tale requisito e condannando il ricorrente a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per cassazione personale: la Cassazione ribadisce l’inammissibilità

L’accesso alla Corte Suprema di Cassazione, l’ultimo grado di giudizio del nostro ordinamento, è regolato da norme precise che ne garantiscono il corretto funzionamento e l’elevato tecnicismo. Una recente ordinanza ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione personale da parte dell’imputato non è consentito. Analizziamo insieme questa decisione per comprendere le ragioni giuridiche e le conseguenze pratiche di questa regola.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da una condanna per furto e tentata rapina aggravata. Dopo la sentenza di primo grado, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la decisione, riducendo la pena inflitta all’imputato. Non soddisfatto della sentenza di secondo grado, l’imputato ha deciso di presentare personalmente un ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando una carenza di motivazione e sollevando dubbi sulla legittimità costituzionale di una norma procedurale.

La Questione Giuridica: Il ricorso per cassazione personale e i suoi limiti

Il cuore della questione risiede nell’articolo 613 del Codice di Procedura Penale. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta “Riforma Orlando”), la norma prevede che l’atto di ricorso per cassazione debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale della Cassazione. Questa disposizione mira a garantire che le impugnazioni presentate alla Suprema Corte posseggano un elevato standard tecnico e si concentrino esclusivamente su questioni di diritto.
L’imputato, presentando il ricorso personalmente, ha di fatto violato questa prescrizione, sollevando al contempo la questione se tale obbligo non limiti incostituzionalmente il suo diritto alla difesa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neanche entrare nel merito delle doglianze. La decisione è stata netta e si è basata sull’applicazione diretta della norma procedurale: il ricorso non era stato sottoscritto da un difensore abilitato, ma dall’imputato stesso. Di conseguenza, l’atto è stato considerato privo di un requisito formale essenziale.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici hanno motivato la loro decisione in modo chiaro e inequivocabile. In primo luogo, hanno ribadito che la legge 23 giugno 2017, n. 103, ha introdotto un requisito di forma inderogabile per il ricorso per cassazione: la firma di un avvocato cassazionista.
In secondo luogo, e in risposta ai dubbi di costituzionalità sollevati dal ricorrente, la Corte ha richiamato un principio già consolidato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8914 del 2017. In quella sede, era stato stabilito che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 613 c.p.p. è “manifestamente infondata”. Secondo la Suprema Corte, richiedere una rappresentanza tecnica qualificata per l’ultimo grado di giudizio rientra pienamente nella discrezionalità del legislatore e non determina alcuna limitazione delle facoltà difensive. Al contrario, assicura che il giudizio di legittimità si svolga nel modo più appropriato.
Infine, la dichiarazione di inammissibilità ha comportato l’applicazione dell’articolo 616 del Codice di Procedura Penale. L’imputato è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende, poiché non sono emersi elementi tali da escludere un profilo di colpa nella proposizione dell’impugnazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma un punto cruciale per chiunque si trovi ad affrontare un procedimento penale: il percorso verso la Corte di Cassazione richiede obbligatoriamente l’assistenza di un legale specializzato. L’idea di un “fai da te” processuale, specialmente in un contesto così tecnico, è non solo sconsigliabile ma legalmente impossibile. La norma non è un mero formalismo, ma una garanzia per la qualità e la serietà del giudizio di legittimità. Chi tenta di aggirare questa regola non solo vedrà il proprio ricorso respinto in partenza, ma andrà incontro a significative sanzioni economiche. È quindi fondamentale affidarsi sempre a un difensore abilitato per tutelare efficacemente i propri diritti in ogni fase del processo.

È possibile presentare personalmente un ricorso per cassazione in materia penale?
No. L’ordinanza stabilisce che, in base all’art. 613 del codice di procedura penale, l’atto di ricorso deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Cassazione.

La norma che impedisce il ricorso per cassazione personale è costituzionale?
Sì. La Corte, richiamando una precedente decisione delle Sezioni Unite, ha affermato che la questione è manifestamente infondata. Rientra nella discrezionalità del legislatore richiedere una rappresentanza tecnica qualificata per questo tipo di impugnazione, senza che ciò limiti le facoltà difensive.

Cosa succede se si presenta comunque un ricorso per cassazione personalmente?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso fissata in 3.000 euro) in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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