Ricorso per cassazione: l’obbligo del difensore dopo la Riforma Orlando
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di procedura penale: il ricorso per cassazione presentato personalmente dall’imputato o dal condannato è inammissibile. Questa pronuncia offre l’occasione per analizzare le modifiche introdotte dalla Legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta Riforma Orlando) e le sue immediate conseguenze pratiche.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in via definitiva, si era rivolto al Tribunale di Asti in fase esecutiva per ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione tra più reati (cd. continuazione in executivis). Al rigetto della sua richiesta da parte del Tribunale, il condannato decideva di impugnare personalmente tale provvedimento, presentando un ricorso per cassazione.
La Riforma del 2017 e le regole per il ricorso per cassazione
Il punto cruciale della vicenda risiede in una modifica legislativa entrata in vigore il 3 agosto 2017. Con la Legge n. 103 del 2017, il legislatore ha modificato gli articoli 571 e 613 del codice di procedura penale, escludendo la facoltà per l’imputato (e quindi anche per il condannato) di proporre personalmente ricorso per cassazione.
La nuova normativa stabilisce, a pena di inammissibilità, che l’atto di impugnazione davanti alla Suprema Corte debba essere sottoscritto da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale dei cassazionisti. Questa previsione mira a garantire un’elevata qualità tecnica degli atti sottoposti al vaglio del giudice di legittimità, evitando ricorsi basati su motivi infondati o non pertinenti.
Le Motivazioni della Corte
La Corte di Cassazione, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha svolto un ragionamento lineare e ineccepibile. I giudici hanno osservato che sia il provvedimento impugnato (l’ordinanza del Tribunale di Asti del 19/06/2023) sia il ricorso stesso erano successivi alla data di entrata in vigore della riforma (3 agosto 2017).
Di conseguenza, la nuova disciplina era pienamente applicabile al caso di specie. Poiché il ricorso era stato presentato personalmente dal condannato e non da un difensore abilitato, la sanzione dell’inammissibilità era inevitabile. La Corte ha richiamato anche un autorevole precedente delle Sezioni Unite (sentenza n. 8914 del 2018), che aveva già chiarito la portata di questa innovazione normativa.
All’inammissibilità del ricorso è seguita, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, non potendo escludere una colpa nella presentazione del ricorso, la Corte ha inflitto anche una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 186 del 2000).
Le Conclusioni
Questa ordinanza conferma un principio ormai consolidato: per accedere al giudizio della Corte di Cassazione è indispensabile l’assistenza tecnica di un avvocato cassazionista. La facoltà di agire personalmente, ammessa in altri gradi di giudizio, è preclusa davanti alla Suprema Corte. La decisione sottolinea l’importanza di affidarsi a un professionista qualificato per tutelare i propri diritti, evitando di incorrere in declaratorie di inammissibilità che, oltre a impedire l’esame del merito della questione, comportano anche significative conseguenze economiche.
È possibile per un condannato presentare personalmente un ricorso per cassazione?
No, a seguito della Legge n. 103 del 2017, il ricorso per cassazione deve essere obbligatoriamente sottoscritto da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, a pena di inammissibilità.
Qual è la conseguenza se un ricorso per cassazione viene presentato senza la firma di un avvocato abilitato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie per un importo di 3.000 euro.
Questa regola si applica a tutti i ricorsi presentati dopo il 2017?
Sì, secondo quanto stabilito dalla Corte, la regola si applica a tutti i ricorsi proposti contro provvedimenti emessi dopo il 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della Legge n. 103 del 2017.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6687 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6687 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a VALONA( ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/06/2023 del TRIBUNALE di ASTI
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udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
NOME COGNOME avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Asti ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione in executivis ha proposto personalmente ricorso per cassazione.
Sia il provvedimento impugnato sia il ricorso sono però successivi al 3 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato, e quindi anche del condannato, di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che esso deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione (artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge n. 103 del 2017.
Segue all’inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non potendo escludersi profili di colpa, anche alla sanzione in favore della cassa delle ammende (Corte cost. n. 186 del 2000) che si ritiene equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.