Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47558 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47558 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 29/11/2024
R.G.N. 33633/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il 30/03/1954
avverso l’ordinanza del 16/09/2024 del TRIBUNALE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 16 settembre 2024 il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, in parziale modifica dell’ordinanza emessa in data 25 luglio 2023, ha determinato in euro 1.008.123,33 l’importo della confisca applicata a NOME COGNOME quale profitto dei reati di cui alla sentenza emessa in data 12 novembre 2019, divenuta irrevocabile in data 25 dicembre 2019.
Con l’ordinanza emessa in data 25 luglio 2023 il Tribunale aveva disposto la confisca nella
misura di euro 2.421.864,36, ma successivamente la Guardia di Finanza aveva riferito che il giudice per le indagini preliminari, su istanza dell’interessato, aveva ordinato il dissequestro e il versamento all’Agenzia delle Entrate dell’importo di euro 1.413.741,03 per il pagamento delle imposte e tasse dovute per gli anni 2014 e 2015, precedentemente evase. Ha ritenuto perciò che, in applicazione dell’art. 12bis , comma 2, d.lgs. n. 74/2000, la confisca non potesse essere disposta su tale importo, che era stato già versato all’Agenzia delle Entrate, e l’ha revocata, conseguentemente confermando la confisca solo sulla somma rimanente.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME assistito dall’avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., «per erronea attribuzione delle somme confiscate all’anno 2016, sebbene annualità non contestata nei capi di imputazione».
Nel corpo del motivo, però, non viene affermata nØ spiegata alcuna erronea attribuzione delle somme confiscate all’anno 2016. Al contrario, il ricorrente ricostruisce la vicenda processuale ammettendo che l’intero importo sequestrato, pari ad euro 2.421.864,36, era relativo alle violazioni fiscali commesse per gli anni 2014, 2015 e 2016, ricorda l’avvenuto dissequestro dell’importo di euro 1.413.741,03, perchØ assegnato ed effettivamente versato all’Agenzia delle Entrate in pagamento delle imposte evase negli anni 2014 e 2015, e lamenta solo l’omesso dissequestro della somma ulteriore, necessaria per adempiere al versamento delle imposte dovute per l’anno 2016, versamento il cui importo Ł stato determinato mediante un nuovo accordo con l’Agenzia delle Entrate, intervenuto nel 2023 e la cui esecuzione era subordinata all’accoglimento della ulteriore istanza di dissequestro della somma concordata. Lo stesso ricorrente afferma che la richiesta di dissequestro finalizzata a tale versamento fu rigettata dal Tribunale di Roma, con ordinanza emessa in data 25 luglio 2023 e contro cui fu proposta opposizione, chiedendo il dissequestro della somma residua, quanto meno per l’importo di euro 614.129,92 versato al FUG, nonchØ di un villino di proprietà del ricorrente e della moglie separata, in uso esclusivo a quest’ultima in quanto a lei assegnato, in sede di separazione, quale casa di abitazione.
Il ricorrente lamenta, quindi, che il giudice dell’esecuzione, nell’ordinanza impugnata, ha ridotto l’importo confiscato escludendo la somma che Ł stata versata all’Agenzia delle Entrate in pagamento delle imposte relative agli anni 2014 e 2015, senza rilevare, però, che era stato raggiunto un accordo con l’Agenzia anche per il pagamento delle imposte relative all’anno 2016. Tale accordo non si Ł perfezionato a causa del precedente rigetto della richiesta di dissequestro dell’importo necessario per tale pagamento, per cui l’Agenzia delle Entrate ha trasmesso gli atti all’ufficio addetto alla riscossione, provvedendo ad iscrivere a ruolo le sanzioni per l’intero carico accertato, e quindi emettendo un avviso di accertamento per l’importo di euro 1.862.944,13, e un ulteriore avviso di accertamento per euro 1.192.666,30.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, perchØ illegittima nella parte in cui ha confiscato gli importi ancora in sequestro, impedendo il pagamento delle somme richieste con il secondo dei due avvisi di accertamento sopra indicati, o in subordine perchØ viziata dalla contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
2.2. Il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per la «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione», Ł in realtà solo enunciato, ma del tutto privo di un autonomo contenuto.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione del ricorrente, il quale ha proposto il ricorso personalmente e senza l’assistenza di un difensore, in violazione dell’art. 613 cod. proc. pen. come modificato dall’art. 1, comma 63, legge n. 103/2017.
Il testo della norma conseguente alla novella legislativa Ł chiaro, e la relativa interpretazione Ł stata stabilita dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 8914 del 21/12/2017, COGNOME, Rv. 272010, secondo cui «Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compresi quelli in materia cautelare, non può essere proposto dalla parte personalmente, ma, a seguito della modifica apportata agli artt. 571 e 613 cod. proc. pen. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione».
L’impugnazione proposta, infatti, risulta sottoscritta dal solo ricorrente, NOME COGNOME; ad esso Ł allegato l’atto di nomina di un difensore di fiducia, ma non può ritenersi che questi abbia fatto proprio il ricorso, sia perchØ manca qualunque indicazione in tal senso, sia perchØ il ricorso risulta predisposto in data successiva a quella in cui il difensore ha apposto la propria firma, peraltro solo ‘per autentica’, sul predetto atto di nomina.
La mera indicazione del nominativo di un difensore, riportata nella epigrafe del ricorso indicando l’avv. NOME COGNOME quale difensore di fiducia e domiciliatario, Ł palesemente irrilevante. Anche l’indicazione di tale ‘avv. NOME COGNOME quale esecutore del deposito del ricorso Ł irrilevante, dal momento che il mero depositario dell’atto non ne assume la titolarità.
Questa Corte ha, infatti, stabilito che «Il ricorso per cassazione non può essere proposto dalla parte personalmente ma, a seguito della modifica apportata all’art. 613 cod. proc. pen. dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, dev’essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, essendo irrilevante, per la natura personale dell’atto impugnatorio, sia l’autenticazione, ad opera di un legale, della sottoscrizione del ricorso, sia la sottoscrizione del difensore “per accettazione” del mandato difensivo e della delega al deposito dell’atto, la quale non attribuisce al difensore la titolarità dell’atto stesso» (Sez. 3, n. 11126 del 25/01/2021, Rv. 281475).
Deve altresì ribadirsi che, anche qualora il ricorrente fosse un legale, la presentazione personale da parte dello stesso Ł ugualmente inammissibile, dal momento che l’attuale testo dell’art. 613 cod. proc. pen. non consente deroghe, ed impone in ogni caso l’affidamento del ricorrente alla rappresentanza tecnica.
Il ricorso, peraltro, dovrebbe essere dichiarato inammissibile anche perchØ il suo primo motivo Ł manifestamente eccentrico rispetto al contenuto dell’ordinanza impugnata, ed il suo secondo motivo Ł del tutto silente sulle ragioni dell’impugnazione e sulle censure mosse al provvedimento impugnato.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 29/11/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME