Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37189 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37189 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, avverso l’ordinanza del 22-07-2024 del Tribunale di Vicenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 luglio 2024, il Tribunale del riesame di Vicenza rigettava l’appello cautelare reale proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza dell’8 maggio 2024, con cui il Tribunale di Vicenza aveva disatteso la richiesta di dissequestro di 6 fabbricati e 2 terreni intestati alla stessa società ricorrente, immobili sottoposti a sequestro preventivo con decreto del G.I.P. del Tribunale di Vicenza emesso in data 30 agosto 2022 nei confronti di NOME, indagato per aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurimi reati fiscali tramite l’uso di società cartiere.
Avverso l’ordinanza del Tribunale veneto, la società RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale la difesa deduce l’inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e la mancanza assoluta di motivazione del provvedimento impugnato. Si evidenzia in tal senso che, con l’iniziale richiesta di restituzione dei beni e con il successivo atto di appello la società, quale terza interessata, aveva rimarcato la propria effettiva titolarità dei beni sequestrati e l’inesistenza di relazioni collegamento concorsuale con l’indagato COGNOME, dando prova documentale dei fatti costitutivi della pretesa restitutoria. Rispetto alle censure difensive, p come devolute nell’atto di appello e nelle successive memorie depositate in vista dell’udienza camerale, tuttavia, i giudici del riesame avrebbero omesso di pronunciarsi, risultando apparente la motivazione fornita, che ha fatto leva, in maniera del tutto congetturale, sull’asserita falsità della documentazione allegata, con conseguente mancata disamina, in particolare, del profilo del periculum.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non sia configurabile né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione.
I giudici del riesame, in particolare, hanno condiviso in maniera critica le considerazioni del Tribunale circa la materiale disponibilità dei beni in sequestro in caso all’indagato COGNOME, essendo stato in tal senso sottolineata, in risposta ai rilievi difensivi, l’inattendibilità della documentazione volta a comprovare la legittimazione della società ricorrente a domandare il dissequestro dei beni.
In proposito è stato infatti evidenziato che l’atto di cessione delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE in favore di NOME non presentava alcuna delle formalità previste per questo tipo di atti, venendo in rilievo un atto non solo redatto in carta semplice e non nella lingua dei contrenti, ma anche privo di intestazione e della specificazione del luogo di sottoscrizione, mancando altresì l’indicazione completa delle generalità dei contraenti e dei loro documenti di identità; è stata inoltre pretermessa ogni previsione sia rispetto alle modalità di corresponsione del prezzo di acquisto delle quote, sia in ordine alla sorte di eventuali debiti o crediti pregressi della società, sia ancora in relazione alle spese di registrazione dell’atto, come pure è stato ritenuto anomalo il fatto che l’attestazione del AVV_NOTAIO abbia riguardato la sottoscrizione di uno solo dei contraenti e non sia stata contestuale alla redazione del documento, ma sia stata datata al giorno successivo.
A ulteriore riprova della non genuinità della produzione documentale difensiva, i giudici del riesame hanno richiamato una pluralità di ulteriori e significative circostanze fattuali (cfr. pag. 4-5 del provvedimento gravato), tra le quali assume una particolare pregnanza quella relativa alla palese difformità tra la copia dell’atto di cessione allegata il 31 maggio 2024 e quella prodotta 1’11 luglio 2024, risultando del tutto diversi molteplici aspetti contenutistici e formali, ad esempio con riferimento alle sottoscrizioni delle parti e ad alcune non lievi modifiche del testo.
Orbene, ritiene il Collegio che, in quanto fondato su una disamina esauriente e razionale delle acquisizioni documentali, il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata non presta il fianco alle doglianze difensive, invero non adeguatamente specifiche, per cui, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa potranno essere eventualmente approfondite anche a livello probatorio nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato risulta sorretto da un apparato argomentativo non apparente, ma razionale e coerente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto dell’asserita illogicità o della erroneità della motivazione, profili questi che, come si è già anticipato, non sono deducibili con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
Alla luce delle considerazioni svolte e in sintonia con le conclusioni del Procuratore AVV_NOTAIO, il ricorso proposto nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile, con onere per la ricorrente di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone infine che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 18.09.2025