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Ricorso per cassazione: inammissibile se personale

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso per cassazione presentato personalmente dall’imputato. La decisione si basa sulla formulazione dell’art. 613 del codice di procedura penale, come modificato dalla legge n. 103 del 2017, che riserva la sottoscrizione di tali atti ai soli avvocati cassazionisti. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Cassazione Personale: La Cassazione Conferma l’Inammissibilità

Il ricorso per cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, un momento cruciale in cui si possono far valere unicamente vizi di legittimità delle decisioni dei giudici di merito. Proprio per la sua natura tecnica, le regole per accedervi sono estremamente rigorose. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’imputato non può presentare personalmente il ricorso, essendo tale facoltà riservata esclusivamente a un avvocato cassazionista. Analizziamo la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla condanna di un imputato da parte della Corte di Appello di Venezia. Ritenendo ingiusta la sentenza, l’imputato decideva di impugnarla, presentando personalmente un ricorso per cassazione in data 17 aprile 2023. Questo atto, tuttavia, non rispettava le formalità prescritte dalla legge, innescando una valutazione pregiudiziale da parte della Suprema Corte.

La Decisione della Corte sul ricorso per cassazione

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito delle doglianze sollevate. La decisione si fonda su un’interpretazione netta e consolidata di una specifica norma procedurale.

L’Applicazione dell’Art. 613 Cod. Proc. Pen.

Il fulcro della decisione risiede nell’articolo 613 del codice di procedura penale. A seguito della riforma introdotta con la legge n. 103 del 2017 (nota come “Riforma Orlando”), entrata in vigore il 3 agosto 2017, la norma prevede che il ricorso per cassazione debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori.

La Corte ha sottolineato come l’imputato non sia più un “soggetto legittimato” a presentare personalmente l’atto di impugnazione. Questa modifica legislativa ha lo scopo di assicurare un elevato standard tecnico-giuridico ai ricorsi presentati alla Suprema Corte, evitando che questioni complesse di diritto vengano formulate in modo improprio.

Il Precedente Giurisprudenziale

A supporto della propria decisione, la Corte ha richiamato un suo precedente orientamento (Cass. pen., Sez. 6, n. 48096/2018), il quale aveva già chiarito che è inammissibile il ricorso sottoscritto personalmente dall’imputato, anche qualora la firma sia stata autenticata da un avvocato cassazionista. L’autenticazione della firma, infatti, non sana il vizio originario, poiché l’atto deve essere redatto e fatto proprio dal difensore qualificato.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte sono puramente procedurali e si basano sul principio del “filtro” di accesso alla Cassazione. La legge del 2017 ha inteso rafforzare la funzione nomofilattica della Suprema Corte (ossia quella di garantire l’uniforme interpretazione della legge), limitando l’accesso ai soli ricorsi che presentino questioni di diritto serie e ben formulate. Permettere all’imputato di presentare personalmente l’atto, anche se privo delle necessarie competenze tecniche, vanificherebbe questa finalità. La sanzione dell’inammissibilità è quindi la conseguenza diretta e inevitabile della violazione di un requisito formale ritenuto essenziale dal legislatore.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un punto fermo della procedura penale: il ricorso per cassazione non è un atto alla portata del cittadino, ma richiede l’assistenza obbligatoria di un professionista altamente specializzato. La conseguenza pratica di questa regola è duplice. Da un lato, si garantisce che alla Corte giungano solo atti tecnicamente validi. Dall’altro, l’imputato che non rispetta questa formalità non solo vede il suo ricorso rigettato in limine litis, ma viene anche condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma (nel caso di specie, 3.000 euro) alla Cassa delle ammende. Si tratta di una lezione importante sull’importanza del rispetto delle regole procedurali, specialmente nel grado più alto del giudizio.

Un imputato può presentare personalmente un ricorso per cassazione?
No. Dopo la riforma introdotta con la legge n. 103 del 2017, l’art. 613 del codice di procedura penale stabilisce che il ricorso deve essere obbligatoriamente sottoscritto da un avvocato iscritto all’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, pena l’inammissibilità.

Cosa succede se un ricorso per cassazione viene presentato direttamente dall’imputato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

L’autenticazione della firma dell’imputato da parte di un avvocato cassazionista sana il vizio?
No. La giurisprudenza costante della Cassazione, ribadita anche in questa ordinanza, afferma che il ricorso è comunque inammissibile. L’atto di impugnazione deve essere redatto e sottoscritto dal difensore quale atto proprio, e la semplice autenticazione della firma dell’imputato non è sufficiente a soddisfare il requisito di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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