Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2484 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2484 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a POLIZZI GENEROSA il 02/10/1949 NOME nata a SANTA NOME COGNOME il 08/09/1953
avverso il decreto del 16/07/2024 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Caltanissetta, Sezione Misure di Prevenzione, con il decreto impugnato del 16 luglio 2024, depositato il 26 luglio 2024, ha confermato il provvedimento del Tribunale di Caltanissetta, che aveva applicato la confisca solo in relazione ad alcuni dei beni sequestrati nei confronti di NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME COGNOME per quel che qui rileva.
In particolare, esclusa l’attualità della pericolosità sociale, i Collegi di merito la ritenevano sussistente fino al 2012 e in relazione a tale limite cronologico i beni venivano confiscati.
I ricorsi per cassazione proposti con unico atto da NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME risultano articolati in un unico motivo, del quale si darà conto nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo unico deduce violazione di legge processuale e mancata assunzione di prova decisiva.
Lamentano i ricorrenti che la Corte di appello non avrebbe ben valutato ex art. 192 cod. proc. pen. le prove documentali acquisite nel procedimento di appello, né dato risposta ai motivi di appello, rispetto all’attività istruttoria svolta in primo grado, consistita nella assunzione di testimonianza, consulenze di parte, relazione del perito. In particolare, senza alcuna motivazione sarebbe stata rigettata la richiesta di escussione di ulteriori testimoni, proposta a mezzo di plurime memorie, aventi ad oggetto in particolare le testimonianze di NOME COGNOME all’epoca dei fatti capitano dei Carabinieri, nonché NOME COGNOME già componente della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, che avrebbero dovuto confermare quanto dichiarato in trasmissioni televisive riguardo al valore e all’efficacia delle dichiarazioni rese dal COGNOME nella qualità formale di collaboratore di giustizia, nella lotta alla mafia e al sistema degli appalti in Sicilia, dando atto che il proposto non aveva mai fatto parte della ‘struttura’ facente capo al c.d. ‘ministro dei lavori pubblici’ della mafia NOME COGNOME.
La Corte di appello rigettava tali richieste ma il proposto, a mezzo del proprio difensore, depositava i verbali delle dichiarazioni dei menzionati testimoni, copie dei video relativi alle interviste televisive e le relative trascrizioni, nota del comandante dei Carabinieri di Caltanissetta, un provvedimento di archiviazione riguardante il proposto, emesso dal G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta, chiedendo anche l’acquisizione di un ulteriore decreto di archiviazione emesso ma non in possesso del proposto.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni,
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi, sia perché
le doglianze sono generiche, sia perché non consentite essendo il ricorso nella presente materia limitato alla violazione di legge.
I ricorrenti hanno depositato memorie in replica alle conclusioni della Procura generale, ribadendo le ragioni dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Va premesso che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, come sancito dall’art. 10, comma 3, d.lgs. n.159 del 2011. Tale disposizione recepisce quanto già disposto dall’art. 4 legge 27 dicembre 1956 n. 1423, richiamato dall’art.3-ter, , secondo comma, legge 31 maggio 1965 n. 575. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, quanto alla motivazione, quella inesistente o meramente apparente (Sez. U., n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246: in motivazione la Corte ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; nello stesso senso, Sez. 2, n. 20954 del 28/02/2020, COGNOME, Rv. 279434 – 01; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME).
Oltre ad essere stato ribadito che in tema di procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammesso soltanto per violazione di legge, si è anche chiarito che in tale vizio va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279284 – 01).
Va da subito evidenziato come la doglianza relativa alla errata valutazione dei testimoni escussi in primo grado e delle prove documentali, con violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., risulti del tutto non consentita.
Infatti, inammissibile è innanzi tutto la deduzione del vizio di violazione di legge in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova
contenute nell’art. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, non essendo l’inosservanza delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come richiesto dall’art. 606 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilità della violazione di legge processuale (ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027). Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c) dello stesso articolo) della denunciabilità della violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità (ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404).
In sostanza, il che oltremodo rileva nel procedimento di prevenzione consentito solo per violazione di legge, i ricorrenti lamentano una violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., che costituisce un aggiramento del limite posto dal legislatore, proponendo così di fatto una censura per vizio di motivazione.
D’altro canto, il ricorso è del tutto generico, in quanto non si confronta con l’articolata e solida motivazione della Corte nissena, proponendo censure non dettagliate anche in relazione ai motivi di appello che non sarebbero stati valutati.
La genericità dei motivi di ricorso si palesa già in relazione alla circostanza che la Corte di appello ha chiarito come le istanze istruttorie e le doglianze proposte nel corso del giudizio di secondo grado si siano dimostrare in alcuni casi estranee alle censure genetiche proposte con l’atto di appello, superando i confini dell’ambito del devolutum e come tali non valutabili. Con tale corretto argomento i ricorsi non si confrontano.
Inoltre, la Corte di appello valuta le doglianze relative all’interpretazione del contenuto della relazione del R.O.S. dei Carabinieri acquisita su istanza del proposto, in ordine alla estraneità di COGNOME al ‘sistema COGNOME‘, come anche di parti delle sentenze di merito, che però sono state superate dalla irrevocabilità della decisione che ha accertato la responsabilità penale del proposto per la partecipazione alla associazione mafiosa, con sentenza del 8 luglio 2005 della Corte di appello di Palermo (cfr. foll. 19 e ss. del decreto ora impugnato).
In particolare, la Corte di Caltanissetta esamina in dettaglio gli elementi di prova vagliati dalla sentenza di condanna e ne conferma, valutando itymodo puntuale le doglianze difensive, la significatività ai fini della pericolosità del
proposto, esaminando ‘passo passo’ le singole doglianze dell’appellante, in relazione ai rapporti con COGNOME, alla gestione degli appalti, ai singoli appalti e subappalti per lavori pubblici, come anche in relazione alle dichiarazioni dello stesso COGNOME, ritenute dalla difesa di favore per COGNOME (fol. 25), per altro già valutate dalla sentenza che accertava la responsabilità dell’imputato.
La Corte, poi, passa in rassegna le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che coinvolgono COGNOME: NOME COGNOME e NOME COGNOME quanto al pericolo che COGNOME collaborasse (fol. 25), a riprova del coinvolgimento del proposto nella dinamica associativa e della sua pericolosità qualificata.
D’altro canto, la Corte di appello puntualmente replica alle censure provenienti dal proposto attraverso le memorie depositate in secondo grado, ribadendo che le stesse si fondano su valutazioni dei giudici di merito poi riformate (fol. 26) o di vicende (come quelle relative al contenuto di conversazioni avvenute nell’auto del COGNOME NOME, ingegnere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa), che al di là degli esiti processuali risultavano comunque indicative di pericolosità qualificata (fol. 27).
La Corte nissena, poi, rileva anche la genericità dell’appello, che non si confrontava se non in modo superficiale con i rapporti del proposto con COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME.
Inoltre, il decreto impugnato si sofferma anche sul valore della collaborazione del COGNOME, ritenuta non adeguata a escludere la pericolosità dello stesso, sia in ragione della mancata confessione della sua intraneità al sodalizio mafioso, aliunde accertata, sia perché cessata la collaborazione COGNOME – che abbandonava il regime proprio della collaborazione – riprendeva i rapporti con gli ambienti mafiosi in funzione dei propri interessi imprenditoriali (fol. 30).
A fronte di tale solida motivazione, le doglianze mosse con i ricorsi risultano assolutamente generiche, non confrontandosi con le argomentazioni del provvedimento impugnato, in quanto manca del tutto l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01; Sez. 2, n. 19951 del 15 maggio 2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 1 n. 39598 del 30 settembre 2004, COGNOME, Rv. 230634).
Quanto, poi, alla doglianza relativa all’omessa assunzione di prova decisiva, premesso che è stato affermato che in relazione al procedimento in camera di consiglio non è deducibile il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva di cui all’art. 606, lett. d), cod. proc. pen., previsto soltanto per il giudizio dibattimentale e non anche per i procedimenti che si svolgono in tale forma (Sez. 1, n. 38947, ud. 1/10/2008, Greco, Rv. 241309; si veda, anche, Sez. 1, n. 8641
del 10.2.2009, NOME, Rv. 242887, con riferimento al procedimento di prevenzione; da ultimo Sez. 1, n. 32116 del 10/09/2020, Gaitta, Rv. 280199 01; Conf. anche n. 1779 del 1993, Rv. 195977-01), ad ogni buon conto va anche evidenziato come la prospettata prova decisiva non abbia le relative caratteristiche.
Difatti, “prova decisiva” è un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta, il che non si verifica quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre – confrontati con le altre ragioni poste a sostegno della decisione – solo ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale (ex multis Sez. 6, n. 37173 del 11 giugno 2008, COGNOME, Rv. 241009; Sez. 2, n. 21884 del 20 marzo 2013, Cabras, Rv. 255817).
Per ritenersi decisiva la prova deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo – come è nel caso in esame – il cui risultato è destinato ad essere vagliato non per elidere l’efficacia dimostrativa degli altri elementi di prova acquisiti, ma per effettuare un confronto con questi ultimi al fine di prospettare l’ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente (Sez. 5, n. 9069/14 del 7 novembre 2013, Pavento, Rv. 259534). Non di meno deve ribadirsi come sia onere del ricorrente – il che non è avvenuto nel caso in esame – esplicitare le ragioni per le quali la prova, di cui lamenta la mancata assunzione, possa ritenersi decisiva nel senso illustrato, non essendo a tal fine sufficiente la mera indicazione del suo oggetto – a meno che tale indicazione risulti sufficiente all’uopo per l’evidenza del suo significato – e ancor meno la sua mera menzione.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna delle parti ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
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Così deciso il 13/12/2024
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