Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5157 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 3 Num. 5157 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 25/06/2024 della Corte d’appello di Roma Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 giugno 2024, la Corte d’appello di Roma rigettava l’istanza presentata nell’interesse di NOME COGNOME quale legale rappresentante e amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE con cui si chiedeva la revoca della confisca del terreno con sovrastanti fabbricati, meglio in atti rappresentati, di proprietà della società predetta, confisca disposta all’esito del giudizio per i reati di abuso d’ufficio, falso, violazioni edilizie varie nonché per il reato di lottizzazione abusiva, contestato a sogge tti diversi dall’istante.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore del ricorrente, munito di procura speciale, deducendo, un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 30 e 44, d. P.R. n. 380 del 2001 e della normativa edilizia ed urbanistica di riferimento (r.d. n. 1740 del 19333; l. n. 1150 del 1942; l. n. 10 del 1977; d.P.R. n. 495 del 1992; l. n. 167 del 1962; l. n. 765 del 1967; l.r. n. 34 del 1974; l. n. 847 del 1964; l.r. n. 38 del 1999; l.r. n. 33 del 1999; l. n. 47 del 1985; PRG del comune di Fondi e relative NTA, etc.), nonché il correlato v izio di motivazione e la nullità dell’ordinanza per omessa motivazione ex artt. 125, comma 3 e, cod. proc. pen.
In sintesi, premette il ricorrente che, in esito alla decisione assunta da questa stessa Sezione con la sentenza n. 37846/2023, emessa nei confronti di NOME COGNOME legale rappresentante pro-tempore della società attualmente ricorrente (sentenza che aveva dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso tendente ad ottenere la restituzione di quanto oggetto di confisca, in quanto di proprietà della società oggi ricorrente, cui non era opponibile la statuizione di confisca non avendo ella partecipato al giudizio di cognizione, riconoscendo la possibilità di attivare l’incidente di esecuzione per fare valere le proprie doglianze in tema di confisca), la difesa aveva proposto incidente di esecuzione chiedendo al giudice competente la revoca della confisca disposto nel procedimento penale nel quale la società non aveva preso parte.
Tanto premesso, si censura l’ordinanza impugnata che, richiamando due precedenti giurisprudenziali di legittimità che sarebbero per la difesa relativi a casi diversi da quello in esame, ha ritenuto che la società istante non potesse essere considerata un vero e proprio ‘terzo’ essendo stata la legale rappresentante condannata ( rectius , avendo preso parte al processo) in qualità di amministratore della società e che la lottizzazione abusiva è stata commessa nello svolgimento di un rapporto organico in nome e per conto della società istante che avrebbe beneficiato della condotta criminosa. Contestando l’affermazione secondo cui la Stravato sarebbe stata ‘condannata’ e che la società istante avrebbe beneficiato dell’attività criminosa svolta dalla medesima, la difesa si duole per non aver l’ordinanza impugnata tenuto in considerazione quanto stabilito da questa Sezione con la sentenza n. 37846/2023, in cui era contenuta la piena legittimazione della società istante ad attivare l’incidente di esecuzione non essendole la confisca opponibile per non aver partecipato al giudizio, aggiungendo come, diversamente, la sentenza della Corte EDU resa nel caso COGNOME RAGIONE_SOCIALE c. Italia in data 28 giugno 2018 si era espressa nel senso di ritenere impossibile la confisca nei confronti di soggetti che non erano sati parte nel procedimento in cui la stessa era stata disposta, anche nel caso in cui ad essere processati fossero stati i loro amministratori, con diritto dunque ad essere considerata la società istante come terzo estraneo al reato lottizzatorio.
La difesa, inoltre, censura anche il richiamo contenuto nell’ordinanza impugnata alla sentenza di proscioglimento per prescrizione pronunciata nei confronti della Stravato dal Tribunale di Latina in data 25 settembre 2019, in cui si ravvisa la ‘colpa’ di quest’ultima idonea a supportare l’illecito lottizzatorio, osservando come detta senten za
non avrebbe tenuto conto del dato pacifico che il coimputato COGNOME sarebbe stato rassicurato dai professionisti sulla legittimità dei titoli edilizi in base ai quali era stata realizzata la porzione di immobile acquistata nel 1986 dalla società ricorrente, trattandosi dello stesso immobile, desumibile dalla c.t. allegata all’incidente di esecuzione, non oggetto di alcuna verifica da parte della Corte d’appello. Dette rassicurazioni avrebbero dovuto riferirsi anche alla posizione della Stravato, emergendo quindi con evidenza il vizio motivazionale denunciato nonché la violazione degli artt. 7 CEDU e 117, Cost.
Secondo la difesa, dunque, i giudici territoriali si sarebbero limitati a ricopiare alcune affermazioni contenute nella richiamata sentenza del tribunale di Latina, nel processo a carico della Stravato, smentite dalla documentazione allegata dalla società istante, senza quindi esercitare i poteri accertativi riconosciutile dall’art. 665, comma 5, cod. proc. pen. La motivazione dell’ordinanza sarebb e quindi apparente e comunque non è idonea a superare l’indubbia estraneità nella vicenda della società ricorrente, con conseguente integrazione del richiamato vizio motivazionale e conseguente nullità dell’ordinanza impugnata ex art. 125, comma 3, cod. pr oc. pen. Quanto al dedotto vizio di violazione di legge, richiamata la ricostruzione in fatto operata dal tribunale di Latina, la difesa della società ricorrente sostiene che la stessa sarebbe del tutto disancorata non solo dalla realtà documentata nella c .t. allegata all’incidente di esecuzione, ma dalla stessa impugnazione proposta dalla Stravato. In particolare, due sarebbero state le condizioni preclusive all’edificazione, la prima legata alla presenza della fascia di rispetto della INDIRIZZO ed al conseguente vincolo di inedificabilità, e, la seconda, correlata all’incompatibilità della destinazione urbanistica dei suoli su cui sorge l’immobile e qualificati dal vigente PRG come zona agricola V3. Sul primo punto, osserva la difesa, è sufficiente ril evare che essendo il rilascio del n.o. alla realizzazione dell’immobile risalente al 1966, prima dell’introduzione del DM n. 1404 del 1968, trattandosi di immobile sito fuori dal centro abitato il limite di distanza delle costruzioni dalle strade, ossia la c.d. fascia di rispetto, senza distinzione tra i tipi di strada, era pari a 3 ml. ex r.d. n. 1740 del 1933. Nella specie, il manufatto in questione, in esecuzione del titolo abilitativo, era stato realizzato ad oltre 27 ml. dalla INDIRIZZO, come risulterebbe dal rilievo tipografico riportato nell’all. 1 alla c.t.; quand’anche si volesse applicare la normativa successiva al 1968 che fissa invece in 30 ml. La distanza minima della posizione dell’edificio per le strade di categoria C, la distanza, riducibile a ml. 15 in caso di strada rettilinea, sarebbe comunque rispondente al limite di legge, essendo rimasta la distanza del fabbricato dal ciglio della strada immutata sin dalla realizzazione del primo corpo di fabbrica, come emergerebbe dalle fotografie di GoogleEarth di cui all. 3 alla c.t. Detto limite, anche se valutato alla luce della normativa successiva (d.lgs. n. 285 del 1992, c.d. nuovo codice della strada, e dal relativo regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. n. 495 del 1992), fissato n 10 ml. dal ciglio della strada, sarebbe stato osservato essendo la distanza di 27 ml., con la conseguenza che non può dirsi sussistente il vincolo di inedificabilità assoluta (fascia di
rispetto della INDIRIZZO), vincolo che non rappresenterebbe una destinazione urbanistica, ma una limitazione dello ius aedificandi volto alla sicurezza della circolazione stradale. Quanto, poi, alla questione dell’incompatibilità della presenza dell’immobile con la destinazione agricola V3 della zona impressa dal PRG, la difesa, nel richiamare il titolo abilitativo rilasciato nel 1966, ossia in epoca antecedente alla formazione del PRG nel 1973, adottato nel 1978, osserva come proprio dall’esame del PRG emergerebbe il regime di compatibilità urbanistica del manufatto con la destinazione di zona. L’edificio in questione, infatti, fronteggia la INDIRIZZO da cui si ha un accesso diretto, accesso che non conduce ad un fondo agricolo, ma ad un impianto di trasformazione e commercializzazione di prodotti ortofrutticoli autorizzato dal Comune sin dal 1966, inserito nella stessa tavola di zonizzazione del PRG successivamente adottato. Dunque, nessuna viabilità e/o opera di urbanizzazione tecnica sarebbe stata eseguita perché già esistente, come risulterebbe chiaramente dalla documentazione riportat a nell’all. 8 della c.t. allegata all’incidente di esecuzione, che attesterebbe come la INDIRIZZO costituisca l’infrastruttura primaria di urbanizzazione di una pluralità di edifici a destinazione produttiva-artigianale e commerciale, non aventi vocazione agricola. Quanto affermato nella sentenza del tribunale di Latina (secondo cui con i titoli successivamente rilasciati si sarebbe completato l’insediamento commerciale che avrebbe trasformato l’assetto urbanistico dell’area e che avrebbe reso necessaria una programmazione edilizia relativamente alle opere di urbanizzazione necessarie in ragione della modificazione territoriale) sarebbe quindi per la difesa della società del tutto privo di fondamento e smentito dalla circostanza che l’immobile in esame risult erebbe perimetrato nella sua consistenza e qualificato espressamente con la dicitura ‘magazzini, depositi frigo’ fin dal 1973, prima dell’adozione del PRG essendo stato peraltro inserito nella perimetrazione del centro urbano di cui alla delibera del C.C. n. 590 del 1970, con le opere di urbanizzazione pertanto già realizzate. Altro dato non rispondente al vero sarebbe quello di aver qualificato l’immobile in questione come una pluralità di edifici, come indicato al capo i) della rubrica contestato alla Str avato, essendo invece l’immobile in questione frutto di successivi ampliamenti realizzati prima che la società ricorrente ne acquistasse la proprietà, tutti autorizzati dal comune di Fondi come attestato dall’all. 9 alla c.t., la cui consistenza sarebbe pari a 2.358 mc. e 17.905 mc. In particolare, i titoli abilitativi autorizzatori (n.o. n. 8/1482 del 3 febbraio 1966; licenza edilizia n. 1049 del 23 giugno 1971; licenza edilizia n. 2213 del 3 aprile 1973; licenza edilizia n. 2774 del 21 gennaio 1976), risu ltano essere stati rilasciati prima dell’approvazione del PRG vigente nel 1978 e, pur rilasciati a soggetti diversi dalla società, non possono essere considerate illegittime per l’asserita parziale violazione della fascia di rispetto dalla INDIRIZZO e per l e asserite difformità ravvisate nei progetti allegati ai predetti titoli. Dalle planimetrie risulterebbe infatti con evidenza che tali presunte difformità riferite alla diversa rappresentazione negli elaborati grafici allegati ai titoli abilitativi della distanza del fabbricato dalla strada,
sarebbero dovute esclusivamente all’approssimazione dell’elaborato cartografico che, negli anni ’60 e ’70, veniva riprodotto manualmente; inoltre le difformità deriverebbero paradossalmente dall’avere realizzato l’edificio ad una distanza dalla strada pari a 27 ml., maggiore di quella indicata, pari a 10 ml., nel progetto del 1966. A ciò si aggiunge come, alla data di rilascio della licenza del 1971 e di quella del 1973, nei comuni, come quello di Fondi, sprovvisti di piano regolatore, la norma urbanistica vigente era quella dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967 il quale stabiliva che le superfici coperte degli edifici e dei complessi produttivi non possono superare un terzo dell’area di proprietà. Le licenze rilasciate per la edificazione e l’ampliamento dell’immobile rispondevano pienamente a tale requisito, non potendosi dunque richiamare una norma introdotta nel 1985 per ritenere illegittime le precedenti licenze, laddove si consideri che la nozione di variazione essenziale al titolo abilitativo sarà infatti introdotta soltanto con l’articolo 8 della legge n. 47 del 1985. L’ordinanza impugnata, come le sentenze di merito, sarebbero pertanto incorse anche nell’erronea applicazione dell’articolo 17 citato.
Ulteriore profilo di censura investe l’ordinanza impugnata laddove, nel richiamare la sentenza del tribunale di Latina, afferma come si sarebbe realizzata una lottizzazione mista poiché alle opere abusive inizialmente realizzate a seguito degli illegittimi permessi r ilasciati negli anni ’70 si sarebbe affiancato il frazionamento dell’immobile in due unità distinte e separate nel 1986, che in realtà non avrebbe mai avuto alcun titolo abilitativo autorizzatorio. Secondo la difesa si tratterebbe di affermazione giuridicamente erronea non essendo configurabile una lottizzazione abusiva in relazione al frazionamento dell’immobile effettuato l’8 luglio 1986 dai precedenti proprietari, prima dell’acquisto da parte della società ricorrente, in quanto non si tratterebbe di un frazionamento di terreni a scopo edificatorio ma di un frazionamento catastale dell’organismo edilizio, ossia di un frazionamento catastale dell’immobile unitario già edificato in due distinte unità immobiliari, come risulterebbe chiaramente dalla planimetria allegata all’atto notarile di compravendita del 6 settembre 1986. Non potrebbe peraltro parlarsi di lottizzazione alla luce di quanto previsto dall’articolo 1 della legge regionale n. 34 del 1974, avendo il frazionamento del 1986 riguardato solo un edificio già edificato, esistente dal 1966 ed oggetto di successivi ampliamenti autorizzati con le licenze edilizie rilasciate negli anni ’70 da considerarsi immuni da ogni illegittimità. Peraltro, si aggiunge, i titoli edilizi fino al 1976 risultano riferibili ad immobile cointestato ai precedenti proprietari, laddove nel 1986 la proprietà si divide tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE di Marciano, poi RAGIONE_SOCIALE, che autonomamente conseguirà ulteriori titoli edilizi (concessione edilizia in sanatoria n. 782 del 30 maggio 1997; concessione in sanatoria n. 283 del 9 giugno 2004, rilasciata su richiesta della NOME COGNOME 18 anni dopo che la società ricorrente aveva acquistato l’immobile; permesso di costruire in sanatoria n. 432 del 7 dicembre 2004, rilasciato alla ed RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. Orbene, tali ampliamenti ed incrementi di superfici, tutti
legittimamente realizzati in epoca antecedente all’acquisizione dell’immobile da parte della società ricorrente avvenuta nel 1986, non avrebbero comportato la realizzazione di una pluralità di edifici autonomi dal punto di vista funzionale e urbanistico, ma sarebbero stati tutti strumentali al corpo originario, che nel corso degli anni ha subìto legittimamente alcuni ampliamenti ed una parziale trasformazione da un uso produttivocommerciale ad un uso prevalentemente commerciale, come autorizzato con la sanatoria n. 283 del 2004. La tipizzazione impressa dalla tavola di zonizzazione del PRG che ha riconosciuto e definito le consistenze edilizie nel 1973, rimanda infatti ad una disciplina delle trasformazioni del complesso edilizio in esame coerente con l’originaria destinazione d’uso produttiva. Sull’originaria destinazione d’uso del complesso edilizio, come tipizzata nella tavola di zonizzazione di PRG, dalla consulenza tecnica allegata all’incidente esecuzione risulta dunque che la tradizionale vocazione al commercio dei prodotti ortofrutticoli ha generato la nascita di numerosi complessi produttivi funzionali alla commercializzazione di prodotti agricoli. L’inconsueta ed impropria definizione di frigorifero per un edificio che si sviluppava già nel 1966 per circa 1000 mq. sarebbe di fatto correlata ad un ciclo produttivo che include diverse fasi. Negli elaborati allegati al primo nulla osta rilasciato dal Comune nel 1965 si evincerebbe infatti chiaramente che, oltre agli spazi per la conservazione dei prodotti nelle celle frigo, sarebbero presenti uffici, spazi per la lavorazione delle merci, e addirittura una sala per le spedizioni. Non esisterebbe una chiara ed univoca distinzione tra superfici di vendita e spazi accessori e funzionali alla vendita, così come richiamati e definiti nel d.lgs. n. 114 del 1998 e nella legge regionale n. 33 del 1999, ma sarebbe indiscusso che all’interno del cosiddetto frigorifero venisse svolta un’attività di commercializzazione all’ingrosso dei prodotti ortofrutticoli. Sarebbe dunque necessario inquadrare il complesso di cui si tratta, sin dall’origine, nell’ambito di un insediamento produttivo di cui alle zone territoriali omogenee D, individuate secondo la suddivisione operata dal DM n. 1444 del 1968. Esso dovrebbe intendersi in senso economico come luogo in cui si svolgono attività dirette alla produzione e allo scambio di beni e servizi. La coerenza della destinazione d’uso alle norme di legge e agli strumenti di pianificazione e programmazione sarebbe stata peraltro accertata dalla Regione Lazio, che, in esito ad uno specifico quesito formulato dal Comune, ha espressamente riconosciuto la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un’autorizzazione commerciale per una media struttura, come risulta dall’allegato 14 alla consulenza tecnica. Quanto sopra sarebbe stato poi confermato dalla stessa amministrazione comunale di Fondi che con due delibere (la n. 65 del 28 luglio 2011 e la n. 103 del 18 dicembre 2014) avrebbe espressamente confermato la vocazione commerciale dell’immobile e delle aree in questione. Si aggiunge inoltre che la consulenza tecnica allegata all’incidente di esecuzione attesterebbe che le conferme fornite dai tecnici all’acquirente COGNOME riguarderebbero gli stessi titoli abilitativi sulla cui base è stata realizzata la porzione di immobile acquistata nel 1986 dalla società ricorrente, trattandosi
dello stesso immobile e dello stesso regime urbanistico e vincolistico, come del resto emergerebbe dalla relazione tecnica affidata da banca Unicredit, ai fini dell’erogazione di un mutuo fondiario, in cui il tecnico nell’attestare la regolarità urbanistica, cita i titoli abilitativi rilasciati negli anni ’70 afferenti la porzione di immobile acquistata nel 1986 dalla società ricorrente, oggetto del permesso di costruire in sanatoria n. 283 del 9 giugno del 2004, come emerge dall’allegato 17 alla consulenza tecnica. Alla luce di quanto sopra pertanto risulterebbe evidente l’erronea applicazione degli articoli 30 e 44 del DPR n. 380 del 2001. Nella specie sarebbe da escludersi la lottizzazione edilizia in quanto, dalle fotografie e dalla documentazione allegata alla consulenza tecnica, risulterebbe che l’area interessata all’edificio è situata sin dai primi anni ’70 nelle immediate vicinanze del centro abitato in un contesto nel quale sono sorte nel tempo numerose strutture di ampie dimensioni, con opere di urbanizzazione, tanto che con atti deliberativi del commissario prefettizio e della giunta comunale è stato ridotto il distacco stradale prescritto per i nuclei esterni al centro abitato. L’intervento in questione non avrebbe dunque compromesso l’attività di pianificazione dell’ente, come risultante dall’esistenza di specifici atti di pianificazione urbanistica adottati dal Comune di Fondi e finalizzati all’individuazione del centro abitato, il cosiddetto perimetro urbano, che includono l’immobile in questione, il tutto in data antecedente all’adozione del PRG nel 1973 con conseguente attestazione della destinazione non agricola dell’area. A ciò andrebbe peraltro aggiunto come dottrina e giurisprudenza sono concordi nel sostenere che i provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa competente che riconoscono la conformità dell’attività di edificazione agli standard urbanistici non producono effetti estintivi del reato di lottizzazione abusiva, che nella specie sarebbe del tutto insussistente, ma comporterebbero comunque l’impossibilità per il giudice di disporre la confisca (si cita in particolare a pagina 43 del ricorso, oltre che autorevole dottrina, anche giurisprudenza di questa Corte la quale sottolinea come l’autorità amministrativa, riconoscendo ex post la conformità dell’ipotetica lottizzazione degli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, intenda evidentemente lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio disponibile del Comune). Ne discenderebbe pertanto l’impossibilità di disporre la confisca anche alla luce delle plurime delibere del Comune di fondi che hanno confermato la natura non agricola dell’immobile realizzato nel 1966 e successivamente ampliato sulla base delle licenze rilasciate negli anni ’70, inserito nel perimetro urbano sin dal 1970 e catastalmente frazionato nel 1986, ossia prima dell’acquisto da parte dell’attuale società ricorrente.
Un’ultima riflessione viene infine dedicata nel ricorso anche all’asserita configurabilità dell’elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, tenuto conto quanto evidenziato nell’incidente di esecuzione in cui si sottolineava come la confisca non potesse essere disposta nei confronti di soggetti estranei alla commissione dell’ipotetico reato venuti in buona fede in possesso del terreno o dell’opera edilizia oggetto della
presunta lottizzazione. In particolare, si osserva come la malafede non può essere presunta ma deve essere rigorosamente provata, come affermato sia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 2015 che dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel citato caso Giem ed altri c. Italia del 28 giugno 2018, seguito dalla giurisprudenza della legittimità successiva a tali pronunce. Ebbene, nel caso di specie risulterebbe evidente la buona fede della società ricorrente che avrebbe acquistato a titolo oneroso e con atto notarile l’immobile il 6 settembre 1986, ossia molti anni dopo il rilascio dei titoli edilizi degli anni ‘ 70 contestati nel procedimento penale chiedendo altri 18 anni dopo, nel 2004, un permesso di costruire in sanatoria per mutamento di destinazione d’uso relativo ad una porzione del medesimo. Appare evidente che la società risulta del tutto estranea a quanto verificatosi prima dell’acquisto dell’immobile, osservandosi come l’otto luglio 1986 fosse stato realizzato dai precedenti proprietari il frazionamento catastale dell’unico immobile già edificato e non dei terreni a scopo edificatorio, come risulta chiaramente dall’atto di compravendita del 6 settembre 1986. In sostanza, l’atto di divisione dell’unico immobile adibito allo svolgimento dell’attività produtt iva di commercio dagli anni ’60, risulterebbe pacificamente intervenuto in epoca antecedente all’acquisto della proprietà da parte della società ricorrente, come si è verificato anche per la società RAGIONE_SOCIALE COGNOME anch’egli imputato nel medesimo procedimento e la cui posizione è speculare e sovrapponibile a quella di NOME COGNOME Dopo il 1986 la società ricorrente non ha chiesto alcun titolo edilizio sino alla richiesta di rilascio della sanatoria nell’anno 2004. La difesa della società ricorrente, pertanto, richiamando il principio del legittimo affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione, osserva come non potrebbe in ogni caso esigersi dalla società acquirente la conoscenza né la conoscibilità di situazioni di fatto risalenti ad anni o addirittura decenni prima dell’acquisto dell’immobile avvenuto nel 1986, come se a nulla rilevasse l’affidamento ingenerato dalla presenza di atti amministrativi mai contestati, rilasciati ai precedenti proprietari dall’autorità competente e muniti di tutti i requisiti essenziali di forma e di contenuto. Si tratterebbe di principio, quello dell’affidamento, cardine non soltanto nel nostro ordinamento giuridico ma anche nella stessa giurisprudenza sovranazionale, soprattutto nella giurisprudenza della Corte di giustizia (si cita in particolare CGUE sentenza 3 maggio 1978 in causa C-12/77). La necessità dello Stato di tutelare l’affidamento ingenerato dalla propria condotta rappresenta una delle più importanti applicazioni del principio della buona fede, da cui deriva che il legittimo affidamento non necessita di una copertura legislativa espressa proprio perché è espressione di uno dei principi più importanti riconosciuti nel nostro ordinamento, tutelato direttamente a livello costituzionale (si citano a sostegno di tale assunto pronunce giurisprudenziali che riconoscono ormai pacificamente la lesione del principio di affidamento del privato acquirente di un terreno o di un immobile allorché questo si sia affidato alla correttezza dell’atto amministrativo: vedi pagine 48 e seguenti del ricorso).
Alla luce di quanto sopra, la buona fede della società acquirente, che ha acquistato a titolo oneroso una porzione dell’immobile già edificato nel 1986 facendo affidamento sulla correttezza degli atti amministrativi adottati dal Comune sin dal 1966, escluderebbe in radice la legittimità della confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (che, peraltro, ferma restando l’autonomia del giudice di merito, presenta in sede di legittimità profili di manifesta infondatezza, non essendo in questa sede possibile procedere a riesaminare la statuizione ormai divenuta irrevocabile sull’illecito lottizzato rio, né potendosi considerare la società ricorrente, sulla base degli atti valutabili da questa Corte, come soggetto terzo di buona fede, risultando la stessa aver preso parte al processo di trasformazione urbanistica del fondo dal 1986 fino al 2004, posto che la ricorrente COGNOME COGNOME in relazione alla quale è stata pronunciata la sentenza di questa Sezione n. 37846/2023, era amministratore unico all’epoca del fatto della società ricorrente e risulta attualmente socia di maggioranza della stessa società, laddove il legale rappresentante della stessa è attualmente NOME COGNOME socio di minoranza, tenuto conto di quanto già affermato da ultimo, da Sez. 3, n. 42115 del 19/06/2019, Rv. 277057 -02) deve essere convertito in opposizione davanti allo stesso giudice dell’esecuzione.
Ed invero, proprio a seguito della sentenza emessa da questa Corte nel procedimento incardinato su ricorso di COGNOME la difesa della società ricorrente ha proposto incidente di esecuzione davanti alla Corte d’appel lo, proponendo come era suo diritto, essendo rimasta assente nel precedente giudizio, istanza di revoca della confisca. La procedura, che ha fatto seguito a quanto disposto dagli artt. 667, comma 4, e 676, cod. proc. pen., si è conclusa con la pronuncia di un’ordinanza da parte del predetto giudice dell’esecuzione, avverso la quale è stato proposto, erroneamente, ricorso per cassazione.
Ed invero, essendosi tenuta l’udienza in data 25 giugno 2024, avverso l’ordinanza, ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen. avrebbe dovuto essere proposta opposizione davanti allo stesso giudice, nelle forme dell’art. 666, cod. proc. pen., non rile vando la circostanza che il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di revoca della confisca abbia proceduto nelle forme dell’udienza camerale partecipata. Questa Corte ha già più volte ribadito che in tema di confisca, avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia provveduto irritualmente nelle forme dell’udienza camerale ex art. 666 cod. proc. pen. è prevista solo la facoltà di proporre opposizione, sicché come tale deve essere riqualificato il ricorso per cassazione proposto avverso il
suddetto provvedimento, nel rispetto del principio generale della conservazione degli atti giuridici e del “favor impugnationis”, con conseguente trasmissione degli atti al giudice competente (da ultimo, v. Sez. 2, n. 12899 del 31/03/2022, Rv. 283061 -01, che, in motivazione, ha precisato che l’erroneo ” nomen iuris ” attribuito dalla parte al mezzo di gravame non può pregiudicare la possibilità di avere una seconda pronuncia di merito sulle dedotte doglianze).
Deve, infine, aggiungersi che, in sede di opposizione, resta fermo il diritto della società istante ad avere assicurata la pubblicità dell’udienza, atteso che la Corte costituzionale, con sentenza n. 109/2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen. nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione, nelle forme dell’udienza pubblica.
P.Q.M.
Qualificata l’impugnazione come opposizione, dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Roma. Così deciso, il 16/01/2025