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Ricorso per cassazione 599-bis: i limiti all’appello

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile un ricorso avverso una sentenza di patteggiamento in appello. La decisione ribadisce che il ricorso per cassazione 599-bis è consentito solo per vizi della volontà, del consenso del PM o per una decisione difforme dall’accordo, escludendo contestazioni su motivi rinunciati come la mancata concessione di attenuanti.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per cassazione 599-bis: i limiti invalicabili secondo la Suprema Corte

L’istituto del concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, ma quali sono i confini per un’eventuale impugnazione successiva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui precisi e ristretti limiti del ricorso per cassazione 599-bis, chiarendo quando e perché un’impugnazione di questo tipo debba essere dichiarata inammissibile.

Il caso: un accordo sulla pena e il successivo ricorso

Nel caso di specie, due imputate avevano raggiunto un accordo con la pubblica accusa in sede di appello. La Corte d’Appello, prendendo atto della rinuncia ai motivi sulla responsabilità, aveva riformato la sentenza di primo grado, rideterminando la pena secondo quanto concordato dalle parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p.

Tuttavia, il difensore delle ricorrenti proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e il vizio di motivazione per il mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno. Si trattava, dunque, di un motivo che atteneva alla quantificazione della pena, ma che era esterno all’accordo raggiunto.

I limiti del ricorso per cassazione 599-bis stabiliti dalla Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per riaffermare un principio consolidato in materia. Il ricorso per cassazione 599-bis non è uno strumento per rimettere in discussione aspetti già definiti dall’accordo tra le parti.

Secondo gli Ermellini, l’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di concordato in appello è ammissibile solo ed esclusivamente per i seguenti motivi:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo.
2. Problemi relativi al consenso del pubblico ministero sulla richiesta.
3. Un contenuto della sentenza difforme rispetto all’accordo pattuito.

Al di fuori di queste ipotesi, il ricorso è inammissibile. In particolare, non possono essere fatte valere doglianze relative a:

* Motivi rinunciati: Con l’accordo, le parti rinunciano a tutti i motivi di appello non inclusi nell’accordo stesso. La mancata concessione di un’attenuante rientra in questa categoria.
* Mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento (art. 129 c.p.p.).
* Vizi nella determinazione della pena che non si traducano in una sanzione palesemente illegale (cioè fuori dai limiti previsti dalla legge o di tipo diverso da quello consentito).

Le motivazioni della decisione

La logica dietro questa rigorosa interpretazione risiede nella natura stessa del concordato in appello. Si tratta di un patto processuale con cui le parti, in cambio di una pena certa e più mite, rinunciano a contestare altri aspetti della sentenza. Permettere un ricorso per motivi che sono stati implicitamente o esplicitamente oggetto di rinuncia significherebbe vanificare la funzione dell’istituto, che è quella di definire il processo in modo più rapido ed efficiente. La volontà delle parti, una volta cristallizzata nell’accordo e recepita dal giudice, diventa il perno della decisione, e può essere messa in discussione solo se quella stessa volontà si è formata in modo viziato o se il giudice non l’ha rispettata.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre un chiaro monito: la scelta di accedere al concordato in appello è una decisione strategica che comporta conseguenze definitive. Chi accetta di patteggiare la pena rinuncia a far valere altre censure in un successivo grado di giudizio. Tentare di impugnare la sentenza per motivi diversi da quelli tassativamente previsti non solo è inutile, ma anche controproducente. Come nel caso di specie, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende, trasformando un tentativo di impugnazione in un ulteriore onere economico per il ricorrente.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di patteggiamento in appello (art. 599-bis c.p.p.)?
Sì, ma solo per motivi molto specifici: vizi nella formazione della volontà di accedere all’accordo, problemi relativi al consenso del pubblico ministero, o se la sentenza del giudice è difforme rispetto all’accordo raggiunto tra le parti.

Se ci si accorda sulla pena in appello, si può poi lamentare in Cassazione la mancata concessione di un’attenuante?
No. Secondo la Corte, lamentele di questo tipo sono considerate “motivi rinunciati”. Accettando l’accordo sulla pena, le parti rinunciano implicitamente a tutte le altre doglianze che non rientrano nei motivi tassativamente ammessi per il ricorso.

Cosa succede se il ricorso contro una sentenza ex art. 599-bis c.p.p. viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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