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Ricorso Patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 45393/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Il motivo del ricorso, basato sulla mancata pronuncia di proscioglimento, non rientra più tra quelli ammessi dopo la Riforma del 2017. La decisione sottolinea i limiti tassativi per l’impugnazione del patteggiamento, confermando la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: la Cassazione Chiarisce i Limiti Post-Riforma

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento fondamentale nel nostro sistema processuale penale. Tuttavia, le vie per impugnare una sentenza emessa a seguito di questo rito sono state significativamente ristrette. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i confini del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi sono ammissibili e quali no. L’analisi di questa decisione offre spunti cruciali per comprendere l’evoluzione della normativa e le sue implicazioni pratiche.

Il Contesto: L’Appello contro la Sentenza di Patteggiamento

Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da due imputate avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal GIP del Tribunale di Lodi. Le ricorrenti lamentavano una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che il giudice avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, anziché accogliere la richiesta di pena concordata. In sostanza, pur avendo acconsentito al patteggiamento, ritenevano che esistessero i presupposti per una loro completa assoluzione.

La Decisione della Cassazione sul Ricorso Patteggiamento

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi manifestamente inammissibili. La decisione si fonda su una precisa norma introdotta dalla cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103 del 2017), che ha modificato le regole per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento.

La Corte ha specificato che, a partire dal 3 agosto 2017, le uniche ragioni per cui è possibile presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento sono tassativamente elencate. La pretesa di un proscioglimento ex art. 129 c.p.p., come nel caso di specie, non è più inclusa tra queste.

Le Motivazioni: I Motivi Tassativi per l’Impugnazione

La Corte Suprema ha chiarito che il legislatore, con la riforma del 2017, ha voluto limitare drasticamente la possibilità di contestare le sentenze frutto di un accordo tra accusa e difesa. I motivi per un ricorso patteggiamento sono oggi circoscritti a questioni specifiche che attengono alla regolarità del procedimento e alla legalità della pena, escludendo una rivalutazione del merito.

Nello specifico, il ricorso è ammesso solo per:

1. Vizi nella formazione della volontà: Se il consenso dell’imputato al patteggiamento è stato viziato o non è stato espresso liberamente.
2. Difetto di correlazione: Se la sentenza non corrisponde a quanto concordato nella richiesta di patteggiamento.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: Se il reato è stato classificato in modo giuridicamente errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Se la sanzione applicata è contraria alla legge.

La motivazione delle ricorrenti, incentrata sulla mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento, esula da questo perimetro. Pertanto, il ricorso è stato giudicato inammissibile in radice, senza alcuna possibilità di esame nel merito.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche e Sanzioni

L’ordinanza ha conseguenze pratiche di grande rilievo. Innanzitutto, consolida un orientamento giurisprudenziale restrittivo, rendendo il ricorso patteggiamento un’opzione percorribile solo in casi eccezionali e ben definiti. Chi sceglie la via del patteggiamento deve essere consapevole che le possibilità di rimettere in discussione la sentenza sono estremamente limitate.

In secondo luogo, la declaratoria di inammissibilità ha comportato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., una duplice condanna per le ricorrenti. Non solo sono state obbligate a pagare le spese processuali, ma anche una sanzione pecuniaria di 4.000 euro ciascuna a favore della cassa delle ammende. Questa sanzione viene applicata quando l’inammissibilità non è dovuta a cause non imputabili alla parte, rafforzando così l’effetto deterrente contro impugnazioni pretestuose o non consentite dalla legge.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento chiedendo il proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.?
No. Secondo la Corte di Cassazione, a seguito della riforma introdotta con la legge n. 103 del 2017, la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non rientra più tra i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento).

Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi sono tassativamente indicati dalla legge e riguardano esclusivamente: vizi nell’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (nel caso di specie, 4.000 euro) in favore della cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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