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Ricorso Patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Il ricorrente lamentava la mancata verifica da parte del giudice di primo grado delle cause di proscioglimento immediato ex art. 129 c.p.p. La Corte ha ribadito che, a seguito della riforma introdotta con la L. 103/2017, il ricorso patteggiamento è consentito solo per motivi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., tra i quali non rientra la censura sollevata. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: i Limiti all’Impugnazione secondo la Cassazione

Il ricorso patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di grande interesse, specialmente dopo le modifiche legislative che ne hanno ristretto l’ambito di applicazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un chiarimento decisivo sui motivi per cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di accordo tra le parti, escludendo la possibilità di lamentare la mancata verifica delle cause di assoluzione immediata.

I Fatti del Caso: dal Patteggiamento al Ricorso

Il caso ha origine da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (comunemente nota come patteggiamento) emessa dal G.U.P. del Tribunale di Milano. L’imputato, attraverso il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione avverso tale provvedimento. L’unico motivo di doglianza sollevato era un presunto vizio di motivazione in relazione all’articolo 129 del codice di procedura penale. In sostanza, il ricorrente sosteneva che il giudice del patteggiamento non avesse adempiuto al suo dovere di verificare l’eventuale sussistenza di cause di proscioglimento immediato prima di ratificare l’accordo sulla pena.

L’Inammissibilità del Ricorso Patteggiamento: l’Analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile, fondando la propria decisione su un’interpretazione rigorosa della normativa vigente, in particolare dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, ha delimitato in modo netto e tassativo i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

La Corte ha ricordato che, in tema di patteggiamento, il ricorso non può essere utilizzato per contestare la mancata verifica da parte del giudice dell’insussistenza delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p. Tale motivo, infatti, non rientra nell’elenco chiuso delle violazioni di legge per le quali è ammessa l’impugnazione.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni alla base della decisione sono squisitamente giuridiche e si fondano sulla volontà del legislatore del 2017 di limitare le impugnazioni dilatorie contro le sentenze di patteggiamento, stabilizzando così gli accordi raggiunti tra accusa e difesa. La Corte Suprema ha sottolineato che l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. ha lo scopo di circoscrivere il controllo di legittimità a questioni specifiche e ben definite, escludendo censure di carattere più generale come quella relativa all’art. 129 c.p.p.

Inoltre, la Corte ha osservato che, nel caso di specie, la sentenza impugnata conteneva comunque una motivazione che dava conto degli elementi di prova in base ai quali era stata esclusa la ricorrenza delle ipotesi di proscioglimento immediato. Questo ha reso la doglianza del ricorrente ancora più debole. Di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso ha comportato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, quantificata in tremila euro in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.

Conclusioni: le Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile e offre importanti indicazioni pratiche. Chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento deve essere consapevole che i motivi di ricorso sono estremamente limitati. Non è sufficiente una generica doglianza sulla valutazione del merito o sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. È necessario, invece, individuare una delle specifiche violazioni di legge elencate nell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La decisione rafforza la natura dell’istituto del patteggiamento come strumento di definizione rapida del processo, la cui stabilità non può essere compromessa da ricorsi basati su motivi non espressamente previsti dalla legge.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice non ha verificato la possibilità di un’assoluzione immediata?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che questo motivo di ricorso è inammissibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita le impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento a specifiche ipotesi di violazione di legge, tra cui non rientra la mancata verifica delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso di specie, la somma è stata fissata in tremila euro.

La riforma del 2017 ha cambiato le regole per il ricorso patteggiamento?
Sì, la legge 23 giugno 2017 n. 103, introducendo l’art. 448, comma 2-bis, nel codice di procedura penale, ha limitato in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento, rendendo di fatto più difficile l’impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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