Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Conferma i Limiti Stretti all’Impugnazione
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini rigorosi entro cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. La pronuncia chiarisce che il ricorso patteggiamento non può essere utilizzato per rimettere in discussione l’opportunità dell’accordo raggiunto, ma è confinato a specifici vizi di legittimità. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere la natura quasi definitiva di tale rito speciale.
Il Caso in Esame: Dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione
Un imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, aveva ottenuto dal Tribunale di Ascoli Piceno l’applicazione di una pena di un anno e sei mesi di reclusione per una serie di reati unificati dal vincolo della continuazione, tra cui false attestazioni, resistenza a pubblico ufficiale ed evasione.
Nonostante l’accordo, la difesa proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e il vizio di motivazione. In particolare, si sosteneva che il giudice di merito avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale, che impone l’immediata assoluzione qualora risulti evidente l’innocenza dell’imputato, anziché ratificare il patteggiamento.
La Decisione della Corte: L’Inammissibilità del Ricorso Patteggiamento
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure procedere a un’udienza formale, applicando la procedura de plano. La decisione si fonda su una norma chiave: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Questa disposizione, introdotta con la cosiddetta “Riforma Orlando” (legge n. 103/2017), ha drasticamente limitato i motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento. L’obiettivo del legislatore era quello di conferire maggiore stabilità alle sentenze di patteggiamento e di deflazionare il carico di lavoro della Corte di Cassazione.
I giudici hanno osservato che le censure mosse dalla difesa, relative alla mancata applicazione dell’assoluzione immediata, non rientrano nell’elenco tassativo dei motivi di ricorso consentiti dalla norma. Di conseguenza, l’impugnazione è stata ritenuta inammissibile in radice.
Le Motivazioni Giuridiche della Pronuncia
La Corte ha chiarito che il patteggiamento è una scelta processuale che comporta una rinuncia a far valere determinate difese. Una volta che l’imputato e il pubblico ministero hanno raggiunto un accordo sulla pena, non è più possibile contestare nel merito la colpevolezza, se non nei casi eccezionali previsti dalla legge. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca specificamente tali casi, che includono, ad esempio, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena concordata.
La doglianza del ricorrente, invece, mirava a un riesame della valutazione di merito che è preclusa dopo la scelta del rito alternativo. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000,00 euro alla cassa delle ammende. La Corte ha inoltre richiamato la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 186/2000), secondo cui tale condanna è giustificata quando non vi sono elementi per ritenere che il ricorrente abbia agito senza colpa nel proporre un’impugnazione inammissibile.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche per la Difesa
Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento è un passo quasi definitivo e deve essere ponderato con estrema attenzione. Il ricorso patteggiamento non è uno strumento per ottenere un “secondo tempo” del giudizio di merito, ma un rimedio eccezionale per correggere specifici errori di diritto.
Per gli operatori del diritto, ciò significa che la consulenza legale all’imputato che valuta il patteggiamento deve essere chiara sui limiti delle successive impugnazioni. La stabilità dell’accordo processuale è un valore che il legislatore ha inteso tutelare con forza, e la giurisprudenza continua a darvi rigorosa applicazione.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per motivi molto specifici previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come ad esempio l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.
Per quale motivo il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti (la presunta mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. per un’assoluzione immediata) non rientravano tra quelli tassativamente consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 4.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37152 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 37152 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/05/2024
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2024 del TRIBUNALE di ASCOLI PICENO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME,
o
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza in data 25 gennaio 2024, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di Ascoli Piceno ha applicato a NOME COGNOME, con le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, la pena di un anno e sei mesi di reclusione in relazione ai reati, unificati dal vincolo del continuazione, previsti dagli artt. 81, cpv., 495, 337 e 385 cod. pen.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo stesso COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo, con un unico motivo di impugnazione formulato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., nonché la mancanza della motivazione in relazione all’assenza di taluna delle situazioni previste dalla predett disposizione processuale.
Tanto premesso, osserva il Collegio che il ricorso avverso la sentenza indicata deve ritenersi inammissibile, perché proposto al di fuori dei casi previst dall’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1, comma 63, legge 23/06/2017, n. 103. L’inammissibilità deve essere dichiarata de plano, senza formalità di procedura a norma dell’art. 610, comma 5 -bis, cod. proc. pen.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 4.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle ammende.
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Così deciso in data 10 maggio 2024