Ricorso Patteggiamento: La Cassazione e i Limiti dell’Impugnazione
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più comuni per la definizione accelerata dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un chiaro promemoria sui confini invalicabili del ricorso patteggiamento, specificando quali motivi possono essere validamente presentati e quali sono destinati a un’immediata declaratoria di inammissibilità.
La Vicenda Processuale
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Taranto, con la quale un imputato veniva condannato a quattro anni di reclusione e 18.000 euro di multa per un reato previsto dalla normativa sugli stupefacenti (art. 79, D.P.R. 309/1990).
Nonostante l’accordo raggiunto con la Procura, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione. La doglianza principale si concentrava su una presunta ‘manifesta illogicità della motivazione’ addotta dal giudice di primo grado a sostegno del riconoscimento della responsabilità penale e della pena applicata.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento e la Censura della Corte
La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione restrittiva dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla riforma Orlando (legge n. 103/2017).
Questa norma elenca tassativamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Essi sono:
1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato libero e consapevole.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha applicato una pena o una qualificazione del reato diversa da quella concordata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato contestato è stato inquadrato in una fattispecie errata.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza: se la sanzione viola i limiti edittali o altre disposizioni di legge.
La critica mossa dal ricorrente, relativa alla logicità della motivazione, non rientra in nessuna di queste categorie. Pertanto, la Corte ha concluso che il motivo addotto era ‘non consentito’.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Suprema Corte è netta e si basa su un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo processuale. Accettandolo, l’imputato rinuncia a contestare il merito dell’accusa in cambio di uno sconto di pena. Di conseguenza, non può, in un secondo momento, tentare di riaprire la discussione sulla sua responsabilità o sulla congruità della pena attraverso un’impugnazione basata su argomenti di merito.
La riforma del 2017 ha cristallizzato questo principio per deflazionare il carico della Cassazione, impedendo ricorsi palesemente dilatori o infondati. La Corte, applicando l’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., ha dichiarato l’inammissibilità ‘senza formalità’, una procedura accelerata riservata ai casi di palese infondatezza.
L’esito per il ricorrente è stato doppiamente negativo: non solo il ricorso è stato respinto, ma è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione inammissibile.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato e serve da monito per chi intende accedere al rito del patteggiamento. La decisione di patteggiare deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza che le possibilità di rimetterla in discussione sono estremamente limitate e circoscritte a vizi di natura puramente giuridica o procedurale.
Un ricorso patteggiamento che tenti di criticare l’apparato motivazionale o la valutazione del giudice sul fatto è destinato al fallimento e comporta l’applicazione di ulteriori sanzioni pecuniarie. È cruciale che il difensore illustri con chiarezza al proprio assistito i limiti e le conseguenze di questa scelta processuale, per evitare impugnazioni infruttuose e costi aggiuntivi.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento criticando la motivazione del giudice sulla responsabilità penale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la critica alla logicità della motivazione non rientra tra i motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento, come specificato dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa accade se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 4.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3126 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3126 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TARANTO il 03/10/1999
avverso la sentenza del 21/02/2024 del TRIBUNALE di TARANTO
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 21 febbraio 2024 il Tribunale di Taranto ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a COGNOME NOME la pena di anni quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 79, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, manifesta illogicità della motivazione in ordine alle ragioni di riconoscimento della sua responsabilità penale e del trattamento sanzionatorio impostogli.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito.
La dedotta censura, infatti, non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ai sensi di quanto disposto dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 18 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il-Prefidente