Ricorso Patteggiamento Inammissibile: La Cassazione Fissa i Paletti
La scelta di definire un procedimento penale attraverso l’applicazione della pena su richiesta, comunemente nota come patteggiamento, comporta conseguenze procedurali ben precise. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini stringenti per l’ammissibilità di un ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi la difesa può sollevare e quali invece sono destinati a un’inevitabile dichiarazione di inammissibilità. Questa decisione offre un’importante lezione sulla natura del patteggiamento come accordo processuale e sui limitati spazi di impugnazione.
Il Contesto del Caso Giudiziario
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Milano, con la quale un imputato si vedeva applicare una pena di un mese e dieci giorni di reclusione per un reato previsto dall’art. 334 del codice penale. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di non accettare questa conclusione e proponeva ricorso direttamente davanti alla Corte di Cassazione.
Le Ragioni del Ricorso Patteggiamento e la Difesa
La difesa dell’imputato basava il proprio ricorso su presunti vizi di motivazione e violazione di legge. In particolare, si lamentava la mancata assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale. Questo articolo impone al giudice di dichiarare d’ufficio determinate cause di non punibilità in ogni stato e grado del processo. Secondo la tesi difensiva, il giudice del patteggiamento avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato anziché ratificare l’accordo sulla pena.
La Decisione della Corte: Inammissibilità del Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile con una procedura semplificata (de plano). La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa delle norme che regolano l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, così come modificate dalla Legge n. 103 del 2017.
L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto da tale riforma, elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento. Questi includono:
* Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
* Errata qualificazione giuridica del fatto contestato.
* Difetto di correlazione tra la richiesta di pena e la sentenza emessa.
* Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
La Corte ha osservato che le censure sollevate dalla difesa, relative alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., esulano completamente da questo elenco. Pertanto, il ricorso è stato considerato inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti dalla legge.
Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni alla base della decisione della Suprema Corte sono chiare e riflettono l’intento del legislatore di limitare le impugnazioni avverso le sentenze che sono il frutto di un accordo tra le parti. Il patteggiamento è un rito premiale che si basa sulla rinuncia dell’imputato a contestare l’accusa nel merito in cambio di uno sconto di pena. Consentire un’impugnazione per motivi diversi da quelli, gravi e specifici, elencati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., significherebbe snaturare l’istituto stesso, trasformandolo in un’anticamera per un riesame completo del merito che le parti hanno scelto di evitare. La norma ha lo scopo di deflazionare il carico giudiziario e di assicurare la stabilità delle decisioni basate su un accordo processuale, ammettendo il controllo di legittimità solo per correggere errori procedurali o sostanziali di particolare rilievo che inficiano la validità dell’accordo o la legalità della pena.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame conferma un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento è un atto processuale ponderato e dalle conseguenze definitive. L’imputato che accede a questo rito speciale deve essere consapevole che le possibilità di rimettere in discussione la sentenza sono estremamente limitate. La decisione della Cassazione serve da monito: non è possibile utilizzare il ricorso patteggiamento come uno strumento per ottenere, in un secondo momento, quella valutazione di merito a cui si è volontariamente rinunciato. La condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende (€ 3.000 nel caso di specie) sottolinea ulteriormente le conseguenze negative di un ricorso infondato. Per i professionisti legali, ciò implica il dovere di informare compiutamente i propri assistiti sulla portata e sui limiti dell’accordo che si accingono a sottoscrivere.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. A seguito della riforma legislativa del 2017, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è ammesso solo per un numero limitato e specifico di motivi previsti dalla legge.
Quali sono i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, i motivi validi sono: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato, un’errata qualificazione giuridica del fatto, la non corrispondenza tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa, e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
La richiesta di assoluzione per una causa di non punibilità è un motivo valido per il ricorso patteggiamento?
No. Come chiarito da questa ordinanza della Cassazione, la richiesta di assoluzione ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale non rientra tra i motivi tassativi per cui è legalmente ammesso il ricorso in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23238 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 23238 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BERGAMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2024 del TRIBUNALE di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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OSSERVA
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe con cui, a richiesta delle par gli è stata applicata la pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione per il reato di cui all’ cod. pen.
Con il ricorso la difesa deduce vizi di motivazione e violazione di legge in relazio all’omessa assoluzione del ricorrente ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano perché le censure esulano da quelle che, a seguito delle modifiche apportate al codice di rito dalla legge n. 103 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017, possono essere dedotte con il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Il ricorso, inve ammesso ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, al di correlazione tra la richiesta e la sentenza e all’illegalità della pena o della misura di sic nessuno dei quali dedotto dal ricorrente (cfr. Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/05/2024