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Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso patteggiamento presentato da un imputato che lamentava la non congruità della pena concordata. La decisione ribadisce che, a seguito della riforma del 2017, l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è consentita solo per vizi specifici, tra cui non rientra la valutazione sulla congruità della pena. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: la Cassazione chiarisce i limiti invalicabili

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini stringenti per l’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. L’analisi del Supremo Collegio offre uno spunto fondamentale per comprendere quando un ricorso patteggiamento è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguenze economiche per il ricorrente. La questione centrale riguarda l’impossibilità di contestare la congruità della pena una volta che l’accordo tra le parti è stato ratificato dal giudice.

I fatti del caso

Un imputato, dopo aver concordato la pena con il pubblico ministero secondo il rito del patteggiamento (ex art. 444 c.p.p.), decideva di impugnare la sentenza del GIP del Tribunale. Il motivo del ricorso si basava su una presunta violazione di legge, sostenendo che il giudice avesse errato nel ritenere congrua la pena concordata tra le parti. L’imputato chiedeva, pertanto, l’annullamento della sentenza.

I limiti al ricorso patteggiamento dopo la riforma

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile, fondando la propria decisione sulle modifiche legislative introdotte nel 2017. La legge n. 103/2017 ha infatti limitato drasticamente i motivi per cui è possibile presentare un ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento. Oggi, l’impugnazione è consentita soltanto per motivi attinenti a:

* L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato);
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza;
* L’erronea qualificazione giuridica del fatto;
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

La distinzione cruciale: pena ‘illegale’ e pena ‘non congrua’

Il cuore della pronuncia risiede nella distinzione tra pena ‘illegale’ e pena ritenuta ‘non congrua’. La doglianza del ricorrente, focalizzata sulla dosimetria e sulla congruità della pena, non rientra in nessuno dei motivi ammessi. Una pena è ‘illegale’ solo se non è prevista dall’ordinamento per quel tipo di reato o se la sua entità esce dai limiti minimi e massimi fissati dalla legge. Al contrario, una pena ‘non congrua’ è una pena che, pur essendo legale, viene percepita come sproporzionata o ingiusta nel caso specifico. La Cassazione chiarisce che, una volta raggiunto e ratificato l’accordo, le parti rinunciano a contestare la congruità della sanzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità richiamando la ratio della riforma del 2017. L’intento del legislatore era proprio quello di ridurre il contenzioso, stabilendo che, una volta che le parti si accordano sulla pena e il giudice verifica la correttezza dell’accordo, non sia più possibile rimettere in discussione il merito di tale patto. Contestare la congruità della pena concordata equivarrebbe a rinegoziare un accordo già siglato e validato giudizialmente. La Corte ha inoltre sottolineato che l’obbligo di motivazione del giudice del patteggiamento, in merito alla congruità, si ritiene assolto con la semplice affermazione dell’avvenuta verifica positiva dei termini dell’accordo. Pertanto, lamentarsi di una pena non ‘illegale’ ma solo ‘non congrua’ costituisce un motivo manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

In conclusione, l’ordinanza stabilisce un principio netto: il ricorso patteggiamento non può essere utilizzato come uno strumento per rinegoziare la pena. La decisione di inammissibilità ha comportato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., non solo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di quattromila euro alla cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito: le impugnazioni avverso sentenze di patteggiamento devono essere fondate esclusivamente sui ristretti motivi previsti dalla legge, pena la loro immediata reiezione e l’imposizione di sanzioni economiche.

È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento perché si ritiene la pena troppo alta?
No. Secondo quanto chiarito dalla Cassazione, un ricorso basato sulla sola ‘non congruità’ della pena, cioè sul fatto che sia percepita come eccessiva ma pur sempre entro i limiti di legge, è inammissibile.

Quali sono gli unici motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso per cassazione è ammesso solo per quattro motivi specifici: problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra la richiesta e la sentenza, errata qualificazione giuridica del reato, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non ammessi dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato palesemente inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 4.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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