Ricorso Patteggiamento: I Limiti Stretti dell’Impugnazione in Cassazione
Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle aree più delicate della procedura penale, dove la volontà delle parti si incontra con il controllo di legalità del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23040/2024) ci offre l’occasione per fare chiarezza sui motivi, estremamente limitati, per cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta. Il caso in esame evidenzia come una contestazione generica sulla misura della pena non sia sufficiente per accedere al giudizio di legittimità, portando a una declaratoria di inammissibilità con conseguenze economiche per il ricorrente.
I Fatti del Caso in Esame
Un imputato, dopo aver concordato una pena con il pubblico ministero nell’ambito di un procedimento di patteggiamento, decideva di presentare ricorso per cassazione. L’oggetto della sua contestazione non riguardava errori procedurali o vizi della volontà, bensì esclusivamente il trattamento sanzionatorio applicato, ritenuto non congruo. In pratica, l’imputato si doleva della quantificazione della pena che egli stesso aveva concordato.
La Disciplina del Ricorso Patteggiamento in Cassazione
Con la riforma introdotta dalla legge n. 103 del 2017, il legislatore ha drasticamente limitato la possibilità di impugnare le sentenze di patteggiamento. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca in modo tassativo i motivi per cui l’imputato e il pubblico ministero possono presentare ricorso in Cassazione. Essi sono:
1. Vizi della volontà: quando il consenso dell’imputato all’accordo non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione: se la sentenza del giudice non corrisponde alla richiesta di pena concordata tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica: nel caso in cui il fatto sia stato inquadrato in una fattispecie di reato errata.
4. Illegalità della pena: qualora la pena applicata sia illegale (ad esempio, perché superiore ai massimi edittali o di una specie non prevista dalla legge).
Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in questo elenco è destinato a essere dichiarato inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, nell’analizzare il caso, ha applicato in modo rigoroso la normativa vigente. I giudici hanno constatato che la lamentela del ricorrente, focalizzata unicamente sul trattamento sanzionatorio, non rientrava in nessuna delle quattro categorie ammesse dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La doglianza sulla congruità della pena è una valutazione di merito che, una volta accettato il patteggiamento, non può più essere messa in discussione davanti alla Corte di Cassazione, a meno che la pena stessa non sia illegale.
La Corte ha quindi ribadito un principio fondamentale: il patteggiamento è un accordo tra le parti e, una volta ratificato dal giudice, cristallizza la pena. Contestare la sua entità ex post equivale a rimettere in discussione il cuore stesso dell’accordo, una possibilità che il legislatore ha voluto escludere per garantire la stabilità di tali decisioni e deflazionare il carico giudiziario. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile senza neppure entrare nel merito della questione.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione in commento conferma l’orientamento consolidato della giurisprudenza e la chiara volontà del legislatore di blindare le sentenze di patteggiamento. Le implicazioni pratiche sono significative: chi accede a questo rito alternativo deve essere pienamente consapevole che le possibilità di impugnazione sono estremamente ridotte. La scelta del patteggiamento è un atto che preclude, in larga misura, future contestazioni sul quantum della pena.
Inoltre, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende funge da monito. Presentare un ricorso palesemente inammissibile non è un’azione priva di conseguenze. Il sistema giudiziario sanziona l’uso strumentale o infondato degli strumenti di impugnazione, per evitare un inutile dispendio di risorse. Questa ordinanza, dunque, non solo chiarisce i limiti del ricorso patteggiamento, ma sottolinea anche la responsabilità che deriva dalla sua proposizione.
È possibile contestare la misura della pena concordata in un patteggiamento con un ricorso in Cassazione?
No, secondo la Corte, una contestazione generica sulla misura della pena (trattamento sanzionatorio) non rientra tra i motivi tassativi per cui è consentito il ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento, come stabilito dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi sono esclusivamente: vizi nella formazione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, errata qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23040 Anno 2024
I
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23040 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SIRACUSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2023 del TRIBUNALE di SIRACUSA
dato avviso alle72
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., deducendo violazione di legge e vizio della motivazione in ordine trattamento sanzioNOMErio.
Il ricorso (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile. Deve invero rammentarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. – disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico mini e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena s richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’ della pena o della misura di sicurezza.
Nel caso in esame il ricorrente lamenta vizi in ordine al trattamento sanzioNOMErio, ponendo a sostegno del suo ricorso alcuna della ipotesi per le quali è attualmente consentito ricorso per cassazione avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta.
Si tratta di doglianze non consentite.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia prop il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente