Ricorso Patteggiamento: La Cassazione e i Limiti all’Impugnazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è una procedura che consente di definire il processo penale in modo rapido. Ma una volta che l’accordo è stato ratificato dal giudice, quali sono le possibilità di contestarlo? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi limiti del ricorso patteggiamento, chiarendo in particolare quando una pena può essere considerata ‘illegale’.
I Fatti del Caso
Nel caso in esame, un imputato aveva concordato una pena con il pubblico ministero, e il Giudice per le indagini preliminari (GIP) aveva emesso la relativa sentenza. Successivamente, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la pena applicata fosse illegale. Il motivo? La sentenza aveva tenuto conto di una recidiva che, a dire dell’imputato, non doveva essere considerata, poiché il reato precedente era già stato dichiarato estinto.
L’imputato, in sostanza, non contestava l’accordo in sé, ma uno dei presupposti del calcolo che aveva portato alla determinazione della pena finale: la valutazione di una circostanza aggravante.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento secondo la Legge
La Corte di Cassazione ha immediatamente dichiarato il ricorso inammissibile, basandosi su una norma specifica del codice di procedura penale: l’articolo 448, comma 2-bis. Questa disposizione, introdotta nel 2017, stabilisce che una sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per un numero molto limitato di motivi:
1. Difetti nel consenso espresso dall’imputato.
2. Mancata corrispondenza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza del giudice.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
La doglianza dell’imputato non rientrava in nessuno dei primi tre punti. Restava da capire se potesse essere considerata un’ipotesi di ‘illegalità della pena’.
Cosa si intende per ‘Pena Illegale’?
Questo è il cuore della decisione. La Corte, richiamando un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n. 877/2023), ha ribadito un principio fondamentale. Una pena è considerata ‘illegale’, e quindi motivo valido per un ricorso patteggiamento, solo in due casi:
* Quando la sanzione non è prevista dall’ordinamento giuridico (es. una pena detentiva per un reato che prevede solo una multa).
* Quando la sanzione, per tipo o quantità, supera i limiti massimi stabiliti dalla legge per quel specifico reato.
Un errore nei passaggi intermedi del calcolo, come il bilanciamento tra circostanze aggravanti (la recidiva) e attenuanti, non rende la pena ‘illegale’ se il risultato finale rimane comunque all’interno della cornice edittale prevista dalla norma.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Cassazione ha spiegato che il giudizio di bilanciamento delle circostanze è parte integrante del ‘negozio processuale’ che l’imputato stipula con il pubblico ministero. Accettando il patteggiamento, l’imputato accetta anche la valutazione complessiva che porta a quella determinata pena. Non può, in un secondo momento, contestare un singolo elemento di quella valutazione, a meno che non porti a un risultato finale contrario alla legge.
Nel caso specifico, la Corte ha inoltre osservato un dettaglio decisivo: nella sentenza impugnata, le attenuanti generiche erano state considerate prevalenti sulla recidiva. Questo significa che, di fatto, la recidiva non aveva prodotto alcun effetto negativo sulla determinazione della pena finale. La contestazione dell’imputato era, quindi, non solo inammissibile dal punto di vista procedurale, ma anche infondata nel merito.
Le Conclusioni
La sentenza riafferma la stabilità e la definitività degli accordi di patteggiamento. L’impugnazione di tali sentenze è un’eccezione, non la regola, e può basarsi solo su vizi gravi e specifici. L’illegalità della pena, in particolare, deve essere intesa in senso stretto, come violazione dei limiti massimi imposti dal legislatore. Le valutazioni discrezionali del giudice, che rientrano nell’accordo tra le parti, non possono essere rimesse in discussione tramite un ricorso in Cassazione, a meno che non producano un risultato palesemente contra legem.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento è possibile solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come un vizio del consenso o l’illegalità della pena.
Un errore nel calcolo della pena la rende sempre ‘illegale’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una pena è ‘illegale’ solo se non è prevista dall’ordinamento o se supera i limiti massimi stabiliti dalla legge per quel reato. Un errore nel bilanciamento delle circostanze non la rende illegale se il risultato finale è entro i limiti di legge.
L’errata valutazione della recidiva può essere motivo di ricorso contro un patteggiamento?
No. La valutazione della recidiva fa parte del giudizio di bilanciamento delle circostanze, che è oggetto dell’accordo tra imputato e pubblico ministero. Se l’imputato ha concordato la pena finale, non può successivamente contestare questo aspetto, poiché non rientra tra i motivi di ricorso consentiti dalla legge.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22577 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2023 del GIP TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha applicato ai sensi dell’art. 444 c.p.p. ad COGNOME NOME la pena da questi concordata con il pubblico ministero per i reati contestatigli.
Avverso l’ordinanza ricorre l’imputato deducendo l’illegalità della pena applicata in ragione della ritenuta sussistenza della contestata recidiva, invece insussistente in ragione del fatto che il reato oggetto della condanna pregiudicante era stato dichiarato estinto ai sensi dell’art. 445 c.p.p. già prima della pronunzia della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
2. Infatti, ai sensi dell’art. 448 comma 2-bis c.p.p., così come introdotto dalla I. n. 103/2017, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena concordata esclusivamente per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed all’illegalità dell pena o della misura di sicurezza, mentre le censure proposte con il ricorso attingono profili affatto diversi da quelli tassativamente elencati dalla disposizione richiamata. Conseguentemente è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca motivi concernenti, non l’illegalità della pena, intesa come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale, ma i presupposti del giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato, la cui configurazione ha peraltro costituito oggetto del negozio processuale stipulato dall’imputato (ex multis Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019, Bonfiglio, Rv. 276509). In tal senso va infatti ricordato come, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, la pena determinata a seguito dell’erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti è illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, c.p., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rileva il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886). Ed è appena il caso di evidenziare come, nel caso di specie, non solo la pena applicata non eccede alcuno dei limiti che ne conformano la legalità, ma altresì come
le attenuanti generiche riconosciute all’imputato sono state ritenute prevalenti sulla recidiva, talché quest’ultima non ha influito sulla determinazione della pena finale, che, come già ricordato, è stato l’imputato a concordare con la parte pubblica.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1110/4/2024