LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso patteggiamento presentato da un imputato che lamentava la mancata assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p. La Corte ha ribadito che, a seguito delle recenti riforme, tale motivo di ricorso è precluso e che il giudice del patteggiamento non è tenuto a motivare esplicitamente la mancata assoluzione, salvo casi eccezionali.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando l’Appello Diventa Inammissibile

Il patteggiamento è uno strumento processuale che permette di definire il processo penale con un accordo sulla pena tra imputato e pubblico ministero. Ma cosa succede se, dopo aver patteggiato, l’imputato ritiene che il giudice avrebbe dovuto assolverlo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso patteggiamento, confermando una stretta interpretazione delle norme introdotte dalla Riforma Orlando. Analizziamo insieme la decisione per capire perché non sempre è possibile contestare una sentenza di patteggiamento.

I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso

Nel caso in esame, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, su richiesta dell’imputato e con il consenso del pubblico ministero, aveva applicato la pena di cinque anni di reclusione e 2.800 euro di multa, oltre all’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione. Il motivo del contendere era la presunta violazione di legge da parte del giudice, reo, secondo il ricorrente, di non aver pronunciato una sentenza di proscioglimento secondo quanto previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale. Tale articolo impone al giudice di assolvere l’imputato in ogni fase del processo se emergono prove evidenti della sua innocenza.

La Decisione della Corte sul ricorso patteggiamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19179/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una norma specifica, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta con la legge n. 103 del 2017, stabilisce chiaramente che non è possibile presentare un ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento per lamentare l’omessa valutazione delle condizioni per un proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

La Corte ha quindi applicato la procedura semplificata del rito de plano, decidendo sulla base degli atti senza la necessità di un’udienza pubblica, e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La motivazione della Corte si articola su due principi fondamentali consolidati nella giurisprudenza.

Il primo è l’applicazione diretta e inequivocabile dell’art. 448, comma 2-bis c.p.p. La norma è stata introdotta proprio per limitare i ricorsi dilatori e pretestuosi contro le sentenze di patteggiamento, stabilendo che la scelta di questo rito alternativo implica una parziale rinuncia a far valere determinate questioni in sede di impugnazione.

Il secondo principio, richiamato dalle Sezioni Unite, riguarda l’obbligo di motivazione del giudice. La Corte ha specificato che il giudice che accoglie un patteggiamento non è tenuto a fornire una motivazione dettagliata sul perché non ha prosciolto l’imputato. Una motivazione specifica è richiesta solo se dagli atti processuali o dalle argomentazioni delle parti emergano elementi concreti che facciano dubitare della colpevolezza e suggeriscano una possibile causa di non punibilità. In assenza di tali elementi, si presume che il giudice abbia effettuato la necessaria verifica (anche in modo implicito) e abbia escluso la sussistenza delle condizioni per l’assoluzione.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che il giudice di merito si fosse correttamente attenuto a questo principio, escludendo la presenza di cause di proscioglimento.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza conferma un orientamento ormai consolidato che restringe notevolmente le possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento. La scelta di accedere a questo rito comporta una valutazione strategica fondamentale da parte della difesa: il beneficio di uno sconto di pena si accompagna alla quasi impossibilità di contestare successivamente la decisione nel merito.

In pratica, chi patteggia accetta che il controllo del giudice sulla propria colpevolezza sia più superficiale rispetto a un dibattimento ordinario. Il ricorso patteggiamento rimane possibile, ma solo per motivi strettamente procedurali, come errori nel calcolo della pena o vizi nel consenso, e non per rimettere in discussione la valutazione di colpevolezza che il giudice è chiamato a compiere, seppur in forma sintetica, prima di ratificare l’accordo tra le parti.

È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento lamentando che il giudice non mi ha assolto?
No, in base all’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento è inammissibile se si contesta la mancata pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione. Inoltre, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.

Quando il giudice del patteggiamento deve motivare specificamente la decisione di non assolvere l’imputato?
Il giudice deve fornire una motivazione specifica solo quando dagli atti processuali o dalle deduzioni delle parti emergano elementi concreti e evidenti che suggeriscano la possibile applicazione di una causa di non punibilità. In tutti gli altri casi, è sufficiente una motivazione implicita, che consiste nella stessa emissione della sentenza di patteggiamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati