Ricorso Patteggiamento: Limiti e Inapplicabilità delle Sanzioni Sostitutive
L’ordinanza n. 13282/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso patteggiamento e sull’applicazione delle norme relative alle sanzioni sostitutive. La Suprema Corte ha ribadito che l’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di accordo tra le parti è soggetta a vincoli precisi e che alcune garanzie previste per il rito ordinario non si estendono automaticamente ai procedimenti speciali. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per la corretta gestione dei riti alternativi nel nostro sistema processuale penale.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due imputati avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Bologna. Gli imputati, attraverso atti di impugnazione separati, lamentavano la violazione di legge, in particolare con riferimento all’art. 545-bis del codice di procedura penale. Tale norma impone al giudice, in caso di condanna a pena detentiva non superiore a quattro anni, di dare avviso alle parti sulla possibilità di convertire la pena detentiva in una sanzione sostitutiva. Secondo i ricorrenti, questa omissione avrebbe viziato la sentenza emessa su accordo.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento
I ricorrenti fondavano il loro ricorso patteggiamento su due principali argomentazioni:
1. La presunta violazione dell’art. 545-bis c.p.p., sostenendo che l’obbligo di avviso per la conversione della pena dovesse applicarsi anche al procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti.
2. Una generica violazione dell’art. 129 c.p.p., che disciplina l’obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.
L’obiettivo era ottenere l’annullamento della sentenza di patteggiamento per un vizio procedurale considerato fondamentale, legato alla mancata prospettazione di un’alternativa al carcere.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, basando la propria decisione su argomentazioni chiare e rigorose. In primo luogo, i giudici hanno ricordato che il ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento è consentito solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questi includono:
* Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
* Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
La Corte ha evidenziato come le censure mosse dai ricorrenti esulassero completamente da questo elenco. La presunta violazione dell’art. 545-bis c.p.p. non rientra in nessuna delle categorie ammesse per l’impugnazione di un patteggiamento.
Inoltre, la Cassazione ha affermato un principio di diritto fondamentale: la norma contenuta nell’art. 545-bis c.p.p. non si applica al procedimento di patteggiamento. I giudici hanno spiegato che, per ragioni sia testuali che sistematiche, tale disposizione è dettata esclusivamente per il giudizio ordinario. La natura negoziale del patteggiamento, basata su un accordo tra accusa e difesa, è intrinsecamente diversa dalla logica del dibattimento, dove il giudice valuta autonomamente la pena e le sue possibili conversioni solo al termine dell’istruttoria. A sostegno di questa interpretazione, sono state richiamate precedenti pronunce conformi (Sez. 2, n. 50010/2023; Sez. 6, n. 30767/2023).
Conclusioni
La decisione della Suprema Corte consolida la specialità del rito del patteggiamento e ne definisce con precisione i confini di impugnabilità. Viene stabilito che chi accede a un rito premiale come il patteggiamento accetta un quadro di garanzie e di possibilità di ricorso più circoscritto rispetto al rito ordinario. L’obbligo di avviso per la conversione in sanzioni sostitutive è una prerogativa del giudizio dibattimentale e non può essere esteso a un contesto basato sull’accordo processuale. Di conseguenza, l’inammissibilità dei ricorsi ha comportato la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende, a causa dell’assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, il ricorso è consentito solo per i motivi tassativamente indicati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., quali vizi del consenso, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.
Nel procedimento di patteggiamento, il giudice è obbligato ad avvisare della possibilità di convertire la pena in sanzioni sostitutive?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di avviso previsto dall’art. 545-bis c.p.p. è dettato esclusivamente per il giudizio ordinario e non si applica al rito del patteggiamento.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e non si ravvisa assenza di colpa nel ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13282 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13282 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/10/2023 del TRIBUNALE di BOLOGNA
dato NUMERO_DOCUMENTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che i ricorsi di COGNOME e di COGNOME, che, con separati at impugnazione, deducono la violazione di legge in relazione, rispettivamente, all’art. 545 cod. proc. pen. e all’art 129 cod. proc. pen. avverso sentenza di applicazione della p emessa su accordo delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., sono inammissibili esse proposti al di fuori dei casi espressamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., che consente il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex rt. 444 cod. proc. pen. soltanto per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del all’illegalità della pena o della misura di sicurezza – ipotesi, queste, che certamente e dalla vicenda in esame -, e dovendosi ribadire che il disposto dell’art. 545-bis, comma 1, proc. pen. – che prevede, per il caso di condanna a pena detentiva non superiore a quatt anni, l’obbligo per il giudice di dare avviso alle parti della possibilità della sua conve una sanzione sostitutiva -, non si applica al procedimento che conduce alla definizione giudizio con pena patteggiata, trattandosi di norma che, per ragioni di carattere testu sistematico, risulta dettata esclusivamente per il giudizio ordinario (Sez. 2, n. 500 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285690; Sez. 6, n. 30767 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 284978);
stante l’inammissibilità dei ricorsi e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procediment consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.00 euro in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processu della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 15/03/2024.