Ricorso Patteggiamento: la Cassazione Conferma i Rigidi Limiti all’Impugnazione
Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate della procedura penale, specialmente dopo le modifiche introdotte dalla Riforma Orlando (legge n. 103/2017). Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12088/2024) torna sul tema, chiarendo in modo inequivocabile i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La decisione sottolinea come la volontà del legislatore sia stata quella di limitare drasticamente le possibilità di appello, rendendo il patteggiamento una scelta processuale con conseguenze quasi definitive.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare. L’imputato lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto proscioglierlo per l’esclusione della punibilità, secondo quanto previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale. In sostanza, il ricorrente non contestava l’accordo sulla pena, ma la mancata valutazione di una causa di non punibilità che, a suo dire, avrebbe dovuto prevalere.
La Decisione della Corte di Cassazione sul Ricorso Patteggiamento
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile de plano, ovvero senza nemmeno procedere alla discussione in udienza. I giudici hanno stabilito che l’unico motivo di ricorso proposto non rientrava in nessuna delle categorie tassativamente previste dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa evidente nella proposizione di un’impugnazione priva di fondamento legale.
Le Motivazioni: I Limiti Imposti dall’Art. 448 c.p.p.
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione restrittiva dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha ricordato che, a seguito della riforma del 2017, il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento solo per specifici motivi:
1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso all’accordo non è stato prestato liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha emesso una decisione che non corrisponde a quanto concordato tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo giuridicamente scorretto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione irrogata è contraria alla legge (es. superiore ai limiti edittali).
Nel caso di specie, le censure del ricorrente relative alla mancata applicazione di una causa di non punibilità (art. 129 c.p.p.) sono state considerate estranee a questo elenco chiuso. La Corte ha ribadito un principio già consolidato in giurisprudenza (citando la sentenza n. 38235/2018), secondo cui le doglianze generiche sulla motivazione o sulla valutazione di merito, come quella sollevata, non sono più ammesse per questo tipo di sentenze. La scelta del patteggiamento implica una rinuncia a contestare l’accertamento del fatto e la responsabilità, focalizzando l’accordo unicamente sulla misura della pena.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa
L’ordinanza in esame è un monito importante per gli operatori del diritto. La decisione di accedere al rito del patteggiamento deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché le possibilità di rimetterla in discussione in sede di impugnazione sono estremamente limitate. Proporre un ricorso patteggiamento basato su motivi non consentiti dalla legge non solo è inutile, ma espone l’imputato a conseguenze economiche negative, come la condanna alle spese e al pagamento di una sanzione alla Cassa delle ammende. La strategia difensiva deve quindi concentrarsi sulla validità dell’accordo e sul rispetto dei parametri legali della pena, unici veri spiragli per un eventuale ricorso in Cassazione.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato e specifico di motivi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento in Cassazione?
I motivi validi sono esclusivamente: vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12088 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12088 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/11/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di NAPOLI
E tc) avviso alle arti·
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso di NOME COGNOME e la sentenza impugnata.
Rilevato che l’unico motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen;
Considerato, infatti, che in base al nuovo testo di tale norma, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra l richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed all’illegali della pena o della misura di sicurezza;
Rilevato che il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per l’omessa argomentazione circa l’esclusione della punibilità ai sensi dell’art.129 cod. proc. pen., anch’essi non più compresi tra i casi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze di applicazione della pena (v., tra le tante: Sez. 4, 5 giugno 2018, n.38235);
Rilevato che il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, de plano, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. e che il ricorrente deve essere condanNOME, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.