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Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12088/2024, dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento proposto per motivi non previsti dalla legge. La decisione ribadisce che, a seguito della riforma Orlando, l’impugnazione di una sentenza di applicazione della pena è consentita solo per vizi specifici e tassativi, escludendo censure generiche sulla motivazione o sulla valutazione dei fatti.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: la Cassazione Conferma i Rigidi Limiti all’Impugnazione

Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate della procedura penale, specialmente dopo le modifiche introdotte dalla Riforma Orlando (legge n. 103/2017). Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12088/2024) torna sul tema, chiarendo in modo inequivocabile i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La decisione sottolinea come la volontà del legislatore sia stata quella di limitare drasticamente le possibilità di appello, rendendo il patteggiamento una scelta processuale con conseguenze quasi definitive.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare. L’imputato lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto proscioglierlo per l’esclusione della punibilità, secondo quanto previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale. In sostanza, il ricorrente non contestava l’accordo sulla pena, ma la mancata valutazione di una causa di non punibilità che, a suo dire, avrebbe dovuto prevalere.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Ricorso Patteggiamento

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile de plano, ovvero senza nemmeno procedere alla discussione in udienza. I giudici hanno stabilito che l’unico motivo di ricorso proposto non rientrava in nessuna delle categorie tassativamente previste dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa evidente nella proposizione di un’impugnazione priva di fondamento legale.

Le Motivazioni: I Limiti Imposti dall’Art. 448 c.p.p.

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione restrittiva dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha ricordato che, a seguito della riforma del 2017, il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento solo per specifici motivi:

1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso all’accordo non è stato prestato liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha emesso una decisione che non corrisponde a quanto concordato tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo giuridicamente scorretto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione irrogata è contraria alla legge (es. superiore ai limiti edittali).

Nel caso di specie, le censure del ricorrente relative alla mancata applicazione di una causa di non punibilità (art. 129 c.p.p.) sono state considerate estranee a questo elenco chiuso. La Corte ha ribadito un principio già consolidato in giurisprudenza (citando la sentenza n. 38235/2018), secondo cui le doglianze generiche sulla motivazione o sulla valutazione di merito, come quella sollevata, non sono più ammesse per questo tipo di sentenze. La scelta del patteggiamento implica una rinuncia a contestare l’accertamento del fatto e la responsabilità, focalizzando l’accordo unicamente sulla misura della pena.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa

L’ordinanza in esame è un monito importante per gli operatori del diritto. La decisione di accedere al rito del patteggiamento deve essere ponderata con estrema attenzione, poiché le possibilità di rimetterla in discussione in sede di impugnazione sono estremamente limitate. Proporre un ricorso patteggiamento basato su motivi non consentiti dalla legge non solo è inutile, ma espone l’imputato a conseguenze economiche negative, come la condanna alle spese e al pagamento di una sanzione alla Cassa delle ammende. La strategia difensiva deve quindi concentrarsi sulla validità dell’accordo e sul rispetto dei parametri legali della pena, unici veri spiragli per un eventuale ricorso in Cassazione.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato e specifico di motivi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento in Cassazione?
I motivi validi sono esclusivamente: vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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