Ricorso Patteggiamento: Limiti e Inammissibilità secondo la Cassazione
Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più dibattute nella procedura penale. Sebbene il patteggiamento sia uno strumento per definire rapidamente un processo, le possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva sono estremamente limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 813/2024, ribadisce con chiarezza quali sono i confini invalicabili per presentare un ricorso, pena la sua immediata dichiarazione di inammissibilità.
I Fatti del Caso: un Ricorso Basato su Vizi Formali
Il caso ha origine da una sentenza del Tribunale di Rovigo, con cui un imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, aveva ottenuto l’applicazione di una pena di un anno di detenzione domiciliare sostitutiva. Nonostante l’accordo, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso in Cassazione.
I motivi del ricorso si concentravano su due presunte violazioni procedurali:
1. Il mancato deposito della motivazione della sentenza contestualmente alla lettura del dispositivo in udienza.
2. La mancata notifica della sentenza all’interessato.
Secondo la difesa, queste mancanze avrebbero costituito una violazione di legge tale da giustificare l’annullamento della sentenza.
La Decisione della Corte: un Ricorso Patteggiamento Fuori dai Binari
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito delle questioni sollevate. La decisione si fonda su un principio cardine introdotto dalla legge n. 103 del 2017, che ha modificato l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Secondo la Cassazione, i motivi addotti dalla difesa non rientrano in nessuna delle categorie tassative per le quali è consentito impugnare una sentenza di patteggiamento. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto in via preliminare, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Motivazioni della Cassazione
Il cuore della pronuncia risiede nell’interpretazione restrittiva dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha spiegato che la legge ha volutamente limitato le possibilità di impugnazione delle sentenze di patteggiamento per garantire la stabilità e la celerità di questo rito speciale. Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici, quali:
* Vizi nella formazione della volontà: Se il consenso dell’imputato all’accordo è stato viziato.
* Difetto di correlazione: Se la sentenza del giudice non corrisponde alla richiesta concordata tra le parti.
* Errata qualificazione giuridica: In caso di errore manifesto nella definizione legale del fatto contestato.
* Illegalità della pena: Se la sanzione applicata è illegale o non prevista dalla legge.
I motivi sollevati nel caso di specie, relativi a presunte irregolarità procedurali come il ritardo nel deposito delle motivazioni, sono estranei a questo elenco. La Corte ha sottolineato che, essendo il ricorso proposto per motivi non consentiti, ogni altra valutazione sulla fondatezza delle doglianze diventa superflua. L’inammissibilità del ricorso è una conseguenza automatica che non richiede ulteriori formalità.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato: la sentenza di patteggiamento gode di una stabilità rafforzata. Chi accetta di patteggiare rinuncia implicitamente a far valere gran parte dei vizi del procedimento, salvo quelli, gravissimi, espressamente indicati dalla legge.
Questa decisione serve da monito per la difesa: prima di intraprendere la via del ricorso avverso un patteggiamento, è fondamentale verificare scrupolosamente che i motivi rientrino nel perimetro ristretto delineato dall’art. 448 c.p.p. Tentare di far valere vizi formali o procedurali non inclusi in tale elenco si traduce non solo in un insuccesso processuale, ma anche in una condanna al pagamento delle spese e di una sanzione economica. La stabilità dell’accordo prevale su formalismi che non intaccano il nucleo essenziale del patto tra accusa e difesa.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è possibile solo per i motivi tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come vizi della volontà, errore nella qualificazione giuridica del fatto, illegalità della pena o difetto di correlazione tra richiesta e sentenza.
Il ritardo nel depositare la motivazione di una sentenza di patteggiamento è un valido motivo di ricorso?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questo tipo di vizio procedurale non rientra tra i casi specifici previsti dalla legge per i quali è ammesso il ricorso contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile senza un esame nel merito. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro in favore della Cassa delle Ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 813 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 813 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2023
sul ricorso proposto da:
NOME CODICE_FISCALE nato a CASTELLAMONTE il 07/04/1977
avverso la sentenza del 17/04/2023 del TRIBUNALE di ROVIGO
sentita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 17/04/2023, su concorde richiesta delle parti, il Tribunale di Rovigo ha applicato ad NOME COGNOME la pena di un anno di detenzione domiciliare sostitutiva per i reati a lui ascritti.
L’imputato ricorre avverso la citata decisione, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge per non avere il giudice depositato la motivazione della sentenza contestualmente alla lettura del dispositivo e per non aver disposto la notificazione della sentenza all’interessato.
Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto al di fuori dei casi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 103 del 2017.
Detta norma ha infatti stabilito che il ricorso avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta è proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, · all’erronea qualificazione giuridica del fatto (nel caso di errore manifesto: cfr. Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Gamal, Rv. 283023) e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Nessuno dei casi indicati nella norma ricorre nel caso di specie.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto al di fuori dei casi previsti ne impone la declaratoria di inammissibilità senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 5, n. 28604 del 04/06/2018, Imran, Rv. 273169; Sez. 6, n. 8912 del 20/02/2018, S., Rv. 272389), e ciò rende superflua ogni considerazione circa la manifesta infondatezza della pretesa di far derivare una qualsivoglia nullità dal mancato deposito della motivazione della sentenza di “patteggiamento” contestualmente al dispositivo (cfr. Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, P., Rv. 273934-02).
Dall’inammissibilità del ricorso discende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle Ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/10/2023