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Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile

Un imputato ricorre contro una sentenza di patteggiamento lamentando il mancato deposito contestuale delle motivazioni. La Cassazione dichiara il ricorso patteggiamento inammissibile, poiché i motivi di appello sono tassativamente elencati dall’art. 448 c.p.p. e quello addotto non vi rientra. Di conseguenza, l’imputato è condannato al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: la Cassazione ribadisce i limiti

Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle aree più delicate della procedura penale, dove la volontà delle parti si incontra con il rigido controllo della legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 812/2024) ci offre un’importante lezione sui limiti entro cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di accordo sulla pena. La decisione chiarisce che non ogni vizio procedurale può giustificare un appello, ma solo quelli specificamente previsti dal legislatore.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Rovigo, su richiesta concorde delle parti, applicava a un imputato la pena di un anno di reclusione (con pena sospesa) per i reati a lui contestati. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per Cassazione contro questa sentenza. Il motivo dell’impugnazione era specifico: il giudice non aveva depositato la motivazione della sentenza contestualmente alla lettura del dispositivo in udienza. Secondo la difesa, questa omissione costituiva una violazione di legge meritevole di censura.

La Questione Giuridica: I Limiti al Ricorso Patteggiamento

Il cuore della questione non risiede tanto nel merito della doglianza (cioè se il mancato deposito contestuale delle motivazioni costituisca o meno una nullità), quanto in un aspetto preliminare e dirimente: l’ammissibilità del ricorso stesso. Con la riforma introdotta dalla legge n. 103 del 2017, il legislatore ha inserito l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce un elenco tassativo e invalicabile dei motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Essi sono:

1. Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto (limitatamente ai casi di errore manifesto).
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.

Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in una di queste quattro categorie è, per definizione, inammissibile.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito della questione sollevata dalla difesa. Il ragionamento dei giudici è stato lineare e fondato sulla stretta interpretazione della legge. La doglianza relativa al mancato deposito della motivazione contestualmente al dispositivo non rientra in nessuno dei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Di conseguenza, il ricorso patteggiamento era stato proposto al di fuori dei casi consentiti.

La Corte ha specificato che questa circostanza impone una declaratoria di inammissibilità senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. Questo rende superflua ogni altra considerazione, compresa la valutazione sulla presunta nullità derivante dal ritardato deposito delle motivazioni. La Corte ha richiamato precedenti pronunce, anche a Sezioni Unite, che confermano come l’inammissibilità del ricorso per motivi non consentiti precluda l’esame di qualsiasi altra questione.

Le Conclusioni

La pronuncia in esame è un monito fondamentale per la pratica legale: l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è un’opzione eccezionale e non uno strumento per sollevare qualsiasi tipo di censura. La volontà del legislatore è chiara nel voler limitare le impugnazioni per dare stabilità alle sentenze frutto di accordo. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro alla Cassa delle Ammende. Questa decisione rafforza il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e sottolinea l’importanza di una valutazione attenta dei motivi prima di intraprendere un ricorso patteggiamento.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è possibile solo per i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questi includono vizi della volontà, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, errore manifesto nella qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa succede se si propone un ricorso per motivi non previsti dalla legge?
Se il ricorso è basato su motivi non inclusi nell’elenco dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., la Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile senza esaminare il merito della questione. La dichiarazione di inammissibilità rende superflua ogni altra valutazione.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso dichiarato inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende. Nel caso di specie, la somma è stata fissata in quattromila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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