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Ricorso patteggiamento: limiti e motivi di inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso patteggiamento, ribadendo che i motivi di impugnazione sono tassativamente limitati dall’art. 448, co. 2-bis, c.p.p. La presunta mancata verifica delle cause di proscioglimento da parte del giudice non rientra tra i motivi consentiti, portando alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: i Motivi di Appello sono a Numero Chiuso

Il ricorso patteggiamento rappresenta un istituto fondamentale nel nostro ordinamento processuale penale, ma le sue vie di impugnazione sono state oggetto di importanti riforme legislative volte a garantirne la stabilità. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna a ribadire i confini invalicabili del ricorso avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, chiarendo quali motivi sono ammessi e quali, invece, conducono a una declaratoria di inammissibilità.

I Fatti del Caso

Un imputato, dopo aver concordato la pena con il Pubblico Ministero e ottenuto una sentenza di patteggiamento dal Giudice per l’Udienza Preliminare, decideva di impugnare tale decisione davanti alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso si fondava su un’unica doglianza: la presunta violazione di legge da parte del giudice di merito per non aver verificato l’eventuale sussistenza di cause di proscioglimento, così come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale. Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto, prima di ratificare l’accordo, accertarsi che non vi fossero le condizioni per un’assoluzione piena.

La Decisione della Corte di Cassazione sul ricorso patteggiamento

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile. Gli Ermellini hanno adottato una procedura snella, detta de plano, riservata ai casi in cui l’esito del ricorso è palese. La Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per le impugnazioni temerarie o palesemente infondate.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si basa su un’interpretazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta “Riforma Orlando”). Questa norma ha limitato in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento in Cassazione. L’elenco fornito dal legislatore è esclusivo e non ammette interpretazioni estensive.

La Corte ha chiarito che, tra i motivi consentiti, non figura la lamentata mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. Sebbene il giudice del patteggiamento abbia il dovere di effettuare tale controllo prima di emettere la sentenza, un’eventuale omissione non costituisce un vizio che può essere fatto valere in sede di legittimità.

La ratio della norma è quella di conferire maggiore stabilità alle sentenze di patteggiamento, evitando che l’accordo tra accusa e difesa possa essere messo in discussione per motivi diversi da quelli, specifici e gravi, individuati dal legislatore. La giurisprudenza citata nell’ordinanza (Cass. n. 1032/2019 e n. 28742/2020) conferma questo orientamento consolidato, che considera il catalogo dei motivi di ricorso come un “numero chiuso”.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante promemoria sulle conseguenze della riforma del 2017 in materia di impugnazioni. La scelta del patteggiamento implica una rinuncia a far valere determinate doglianze in un’eventuale fase di appello. Il ricorso patteggiamento non è uno strumento per rimettere in discussione l’intero operato del giudice di merito, ma un rimedio eccezionale, esperibile solo per vizi specificamente previsti dalla legge, come errori nella qualificazione giuridica del fatto o nell’applicazione della pena. Questa decisione rafforza la natura negoziale e la stabilità del patteggiamento, invitando le difese a una ponderazione attenta prima di intraprendere la via del ricorso in Cassazione.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per qualsiasi violazione di legge?
No, l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca tassativamente i motivi per cui si può ricorrere, e non sono ammesse altre presunte violazioni di legge.

La mancata verifica da parte del giudice delle cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per impugnare un patteggiamento?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che questo motivo non rientra tra quelli tassativamente previsti dalla legge per l’impugnazione della sentenza di patteggiamento.

Cosa succede se si propone un ricorso per patteggiamento basato su motivi non consentiti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile con una procedura semplificata (“de plano”) e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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