Ricorso Patteggiamento Limiti: Quando l’Appello è Inammissibile
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è una scelta processuale che comporta benefici significativi ma anche precise limitazioni, soprattutto per quanto riguarda le successive impugnazioni. Comprendere i ricorso patteggiamento limiti è fondamentale, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile l’appello di un imputato, ribadendo la natura tassativa dei motivi di ricorso.
Il Caso in Esame: Dal Patteggiamento al Ricorso
La vicenda trae origine da una sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Cagliari, con la quale un imputato, a seguito di accordo con la pubblica accusa, otteneva l’applicazione di una pena di cinque anni di reclusione e 18.000,00 euro di multa. Nonostante l’accordo, la difesa decideva di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge. In particolare, si sosteneva che il giudice di primo grado avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato per la presenza di una causa di non punibilità, secondo quanto previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento e l’Analisi della Cassazione
La Corte Suprema ha prontamente respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su una norma chiave introdotta dalla riforma del 2017: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Tali motivi sono:
1. Errata espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Il motivo sollevato dalla difesa, relativo alla mancata declaratoria di una causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p., non rientra in nessuna di queste categorie. Di conseguenza, il ricorso è stato considerato proceduralmente inaccettabile.
Le Motivazioni della Decisione
I giudici della Cassazione hanno chiarito che la scelta del patteggiamento implica una parziale rinuncia al diritto di impugnazione. L’elenco previsto dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. è esaustivo e non ammette interpretazioni estensive. La censura dell’imputato, non essendo riconducibile a nessuno dei vizi specificamente previsti, esulava dal perimetro di controllo concesso al giudice di legittimità in caso di patteggiamento. La Corte ha quindi proceduto a una declaratoria di inammissibilità “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, confermando la solidità della sentenza di primo grado.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: chi sceglie la via del patteggiamento deve essere consapevole dei limiti stringenti posti al diritto di ricorso. Non è possibile, in sede di Cassazione, rimettere in discussione l’intero quadro probatorio o sollevare questioni che non rientrino nei quattro motivi specifici previsti dalla legge. La conseguenza diretta dell’inammissibilità del ricorso è stata la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma significativa, fissata in 4.000,00 euro, in favore della Cassa delle ammende. Una lezione importante sull’importanza di una valutazione attenta e consapevole prima di accedere a riti alternativi.
Dopo un patteggiamento, è sempre possibile ricorrere in Cassazione?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un elenco tassativo di motivi stabiliti dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per impugnare una sentenza di patteggiamento?
I motivi validi riguardano esclusivamente l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se si presenta un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile senza esaminarlo nel merito. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31353 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31353 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NEW YERSEY( STATI UNITI AMERICA) il 17/06/1993
avverso la sentenza del 16/12/2024 del GIP TRIBUNALE di CAGLIARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 16 dicembre 2024 il G.U.P. del Tribunale di Cagliari ha applicato – per quanto di interesse in questa sede – a NOME COGNOME ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni cinque di reclusione ed euro 18.000,00 di multa in ordine ai reati a lui ascritti.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito, considerato che la dedotta censura non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ex art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2025