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Ricorso Patteggiamento: limiti e inammissibilità

Un imputato, dopo aver concordato la pena tramite patteggiamento, ha presentato ricorso lamentando una carenza di motivazione sulla congruità della sanzione. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile, ribadendo che, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis c.p.p., l’appello è consentito solo per vizi di legalità della pena (es. sanzione non prevista o fuori dai limiti edittali) e non per censure relative alla valutazione discrezionale che ha portato alla sua quantificazione.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: I Limiti Imposti dalla Cassazione

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento processuale volto a definire rapidamente il procedimento penale. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo, quali sono i limiti per impugnare la sentenza? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini del ricorso patteggiamento, chiarendo quando è possibile contestare la decisione del giudice e quando, invece, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile.

Il Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione

Nel caso in esame, un imputato aveva concordato con la Procura una pena di tre anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione, oltre a una multa, per una serie di reati unificati dal vincolo della continuazione. La pena detentiva era stata poi sostituita con la detenzione domiciliare. Nonostante l’accordo, l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del G.I.P. del Tribunale. La doglianza non riguardava un errore di calcolo o l’illegalità della pena, ma la presunta insufficienza della motivazione del giudice nell’apprezzare la congruità e la correttezza della pena concordata.

I Motivi del Ricorso Patteggiamento e la Normativa

L’imputato sosteneva che la sentenza violasse il principio di motivazione dei provvedimenti, poiché non permetteva di comprendere le valutazioni del giudice sulla giustezza della pena pattuita. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente richiamato l’attenzione sull’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla riforma del 2017, ha circoscritto in modo netto i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento.

Secondo tale articolo, il ricorso è ammesso solo per motivi attinenti a:

1. L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La motivazione alla base di questa decisione è cruciale per comprendere i limiti attuali dell’impugnazione del patteggiamento.

Le Motivazioni

I giudici hanno chiarito la distinzione fondamentale tra “illegalità della pena” e censure sulla “commisurazione della pena”. L’illegalità, unico motivo di ricorso pertinente nel caso specifico, si verifica solo quando la sanzione applicata non è prevista dall’ordinamento giuridico o quando supera, per specie o quantità, i limiti massimi stabiliti dalla legge.

La lamentela dell’imputato, invece, non riguardava l’illegalità, ma atteneva a profili “commisurativi”, cioè al percorso logico-valutativo che ha portato alla quantificazione della pena all’interno della cornice edittale. Questi aspetti, che coinvolgono parametri come quelli dell’art. 133 del codice penale o il bilanciamento delle circostanze, non rientrano tra i motivi ammessi dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. Come ribadito da un precedente orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 19757/2019), il ricorso che deduce motivi relativi alla commisurazione della pena, e non alla sua illegalità, è inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un principio consolidato dopo la riforma del 2017: l’accordo raggiunto con il patteggiamento cristallizza la pena, e il controllo successivo è limitato a vizi specifici e gravi. Non è più possibile rimettere in discussione la congruità della sanzione concordata attraverso un ricorso patteggiamento basato sulla presunta carenza di motivazione del giudice. Questa limitazione mira a garantire la stabilità delle sentenze di patteggiamento e a evitare impugnazioni dilatorie. La conseguenza per il ricorrente è stata non solo la conferma della sentenza, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza del ricorso.

È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento se si ritiene che la pena non sia stata motivata adeguatamente?
No. Secondo l’art. 448, comma 2-bis c.p.p., il ricorso non è ammesso per motivi legati alla motivazione sulla congruità della pena concordata tra le parti, ma solo per specifici vizi di legalità.

Cosa si intende per “illegalità della pena” ai fini del ricorso contro un patteggiamento?
Si intende una sanzione che non è prevista dalla legge per quel reato oppure che eccede i limiti massimi, per tipo o quantità, fissati dalla norma. Non riguarda la valutazione discrezionale del giudice all’interno di tali limiti.

Quali sono le conseguenze se si presenta un ricorso inammissibile contro un patteggiamento?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisano profili di colpa nella proposizione del ricorso, anche al pagamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie (€ 3.000,00).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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